mercoledì 18 marzo 2009

Globalizzazione fuori moda

Ormai siamo agli sgoccioli con il corso Ais. A fine aprile mega-esamone generale e poi via, tutti a 'mbriacarsi in giro x il mondo. Un mondo di colori, carnagioni, lacrime amare e sorrisi brillantati, volti rugosi cotti dal sole, lifting e paillettes, unghie sporche di terra, cantine fantascientifiche e piccoli laboratori alchimistici. Un universo di colori, profumi e sapori che alle volte, alle latitudini più disparate, ci fa esclamare "Quant'è piccolo il mondo!". Da anni ormai il miglior Sauvignon non è più quello della Loira ma quello neozelandese, così come il Syrah australiano le suona tranquillamente a quelli dell'alta valle del Rodano e di tagli bordolesi capaci di stare al passo con un buon Bordeaux ne è pieno il Pianeta, da Bolgheri alla California. Così come in Cile possiamo bere una buona Bonarda e qualcuno, in altri continenti, comincia pure a cimentarsi con il mitico nebbiolo, il più grande vitigno italiano, fino a pochi anni fa escluso dagli interessi degli investitori esteri.

Globalizzazione? Forse. Ma, se ci pensiamo bene, la tendenza globalizzatrice non ha sempre fatto parte della storia della civiltà? Da quando esistono i commerci le società si sono sempre scambiate prodotti di ogni genere, agricoli, manifatturieri e persino "merce umana". Il riso ce l'hanno portato mille anni fa gli Arabi assieme allo zafferano (--> az-za-faran), così come il pomodoro, il mais e la patata , i peperoni e le melanzane sono gentile omaggio degli indios d'America, il grano è originario della Cina, mentre gran parte della frutta così come ogni vitigno di vitis vinifera sativa, quella commestibile e adatta per fare il vino, proviene dall'Asia Minore. E questo solo per citare gli esempi più clamorosi di questo tipo di antica globalizzazione che ha salvato nel corso dei secoli miliardi di persone dalla carestia e dalla denutrizione. In tempi più recenti il commercio globale ha pure consentito a storiche economie locali non solo di sopravvivere, ma anche di trarre grandi profitti vendendo altrove prodotti di alta qualità che altrimenti sarebbero rimasti confinati in un anonimato ad uso e consumo della gente del posto. Penso alla Valtellina e alla sua Bresaola fatta interamente con manzi provenienti da Brasile e Argentina, così come il grano saraceno dei pizzoccheri e degli sciatt viene oggi importato dalla Cina, peraltro sua vera terra d'origine.
La globalizzazione ha cominciato ad assumere una connotazione negativa con l'inarrestabile intensificazione dei traffici aerei e con l'imposizione sul mercato di poche cultivar geneticamente modificate e rinforzate chimicamente da parte delle multinazionali alimentari, chimiche e farmaceutiche. E' a quel punto che il millenario scambio di merci ed esperienze è deragliato su un campo minato, andando dietro alla perversa tirannide del mercato globale ma dimenticando le sacre leggi della Natura e dei suoi tempi. In nome di un mercato vorace e impaziente e delle sue spietate strategie di marketing, la nuova globalizzazione non porta più ricchezza ma impoverisce ciò che abbiamo di più prezioso: la VARIETA'. Inaridisce la biodiversità premiando pochissime specie vegetali e animali superresistenti e superproduttive, e allo stesso tempo devasta le economie locali asservite alla produzione di monocolture da destinare agli insaziabili mercati occidentali. A noi. La forma mentis di chi favorisce tutto ciò è la stessa di chi vorrebbe che ognuno parlasse la stessa lingua e predicasse la medesima religione, prendesse gli stessi medicinali e guardasse gli stessi programmi televisivi. In nome del profitto e del consenso, ci dimentichiamo che quello che ci ha salvato dall'estinzione è stata proprio la ricchezza e la varietà, di razza e di cultura, anche alimentare. La salvezza non può passare che da un rinnovato rispetto dei cicli stagionali e delle economie locali, cercando di portare in tavola sempre e comunque i prodotti del territorio provenienti da aziende di piccole o medie dimensioni. Quelle che non sono soggette alla tirannide delle multinazionali finanziarie. Slowfood lo dice da più di vent'anni e ha fondato pure una rete internazionale che si chiama Terramadre. Oggi finalmente pare che essere "bio" e "local" sia diventato trendy e il consumatore stia interessandosi anche a questa nuova moda, una volta tanto virtuosa. A dimostrazione di ciò vale la pena segnalare il fenomeno dei numerosi Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) che stanno sorgendo in tutta Italia.
Nicola Taffuri

Nessun commento: