Resistono, più ci si allontana dalle città e dalle grandi arterie di comunicazione, quei piccoli templi del gusto dove da diverse generazioni si celebra la squisita tradizione della cucina casereccia. Quella delle massaie, che passano le giornate tra l'orto, la cucina e un amorevole scapaccione ai figli destinati ad ereditare la tradizione di famiglia. Un lascito impegnativo di cui bisogna essere quanto mai orgogliosi di questi tempi in cui imbranate conduttrici televisive vendono milioni di copie dei loro best-seller di ricette quotidiane spacciando i mondeghili per misteriose prelibatezze preistoriche.
Quando si ha la fortuna di capitare in uno di questi santuari del gusto è consigliabile rimandare qualsiasi impellenza "a dopo", mettere le gambe sotto alla tavola e lasciarsi guidare dal menu del giorno in un viaggio della memoria alla riscoperta dei sapori genuini che resistono ancora oggi lontano dalle città.
La gloriosa e orgogliosa Valtellina è una zona ricchissima di questi posti, arroccati qua e là dal versante assolato dei vini a quello quasi perennemente in ombra, oscurato dai ripidi contrafforti delle Orobie il cui primo bastione è il Legnone, all'imbocco della valle. Ricco di fattorie e allevamenti ma povero dal punto di vista vinicolo e frutticolo, il tratto basso della Valtellina che da Delebio porta ad Ardenno coincide con la Costiera dei Cech, ovvero con quella linea di paesini antichi a mezza costa del versante baciato da un sole che in virtù dell'inclinazione riesce a far cuocere i muretti a secco anche in pieno inverno. Cino, Siro, Cercino, Mello, Poira, Civo, Caspano (sui cui muri delle case secolari si leggono ancora scritte sbiadite come W Badoglio W il Re). L'ultimo, all'imbocco della perpendicolare Val Masino, prima di scendere ad Ardenno, è Cevo.
Qui, a pochi metri dalla strada protetta da una rete paramassi e dalla confluenza di due vorticosi torrenti, c'è L'albergo ristorante Ponte del Baffo, gestito da più generazioni della stessa famiglia. E', insomma, quanto di meglio può offrire una locanda del viandante, in termini di qualità, accoglienza, ospitalità e genuinità della cucina. Ai fornelli smanettano due arzille signore che hanno superato di slancio le ottanta primavere a forza di pizzoccheri, sciatt, bitto, casera e verdure dell'orto, e che non sanno nemmeno che cosa significhi la parola "colesterolo". Però la titolare, la signora Angela, ammette di mangiare tante noci, che pare aiutino a smaltire i grassi saturi. In sala la nipote si prodiga nella spiegazione dei piatti e della loro tradizione. Fatta di cucina di terra, e quindi salumi, formaggi, grano saraceno, manzo, cervo, funghi porcini, con la meravigliosa eccezione nel pescato che tutte le mattine arriva guizzando direttamente nelle reticelle dei pescatori locali: le eccellenti trote del fiume Masino, cucinate in tutte le salse.
Ecco il mio menu:
crespella al pomodoro e casera: voto 8.
sciatt più piccoli del formato usuale, per garantire la perfetta fusione del formaggio alleggerendo i tempi della frittura: voto 10.
trota in carpione: voto 9.
Vino sfuso di casa Nera, con la quale la locanda lavora da oltre sessant'anni: voto 7.
Prezzo: 24 euro acqua, caffé e grappa alle erbe locali inclusi.
Ideale per le coppie così come per le famiglie e le compagnie, prezzi a scalare sulla quantità dei convitati.
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