
Ma si sa, questi eventi sono fatti apposta per, appunto, mettersi in mostra comunque e nonostante tutto. Per regalare sorrisi a profusione, farsi dei gran complimentoni e distribuire generose strette di mano a destra e a manca. E la crisi? Non c'è. Arriverà, forse. L'onda lunga dello Tsunami bancario scoppiato in America deve ancora travolgere il settore vinicolo europeo, specie quello italiano e francese, i due principali esportatori di vino del mondo. Tuttavia l'impressione è che la tanto paventata "onda lunga" arriverà, se arriverà, giusto a bagnare le punte dei piedi ai nostri produttori. Che si fanno forti di una fama costruita in anni e anni di lavoro serio, di selezioni in vigna sempre più esasperate, di sopraffine tecniche di cantina, di investimenti sull'enoturismo che fanno ben sperare.

Ho scoperto quanto sono buoni tutti i nebbiolo del Piemonte minore, soprattutto quelli di Boca, Lessona e Carema.
Mi sono illuso di essere al cospetto del mitico Giovanni Cherchi, icona della vitivinicoltura di Gallura e autore di un Vermentino e di un Cagnulari assolutamente impareggiabili. E invece era un suo parente affiancato dai nipoti del titolare, intagliati in lineamenti duri e cortesi alla Gianfranco Zola.
Ho avuto la conferma che l'Aglianico se la gioca alla grande con il Barolo per l'élite del miglior rosso d'Italia, quindi d'Europa, quindi del mondo.
Ho dovuto anche ricredermi sul Chianti Classico, che ho sempre giudicato "roba per americani" e che, invece, può ancora essere un grandissimo grazie a qualche produttore fedele per lignaggio alle tradizioni, come il Conte Sebastiano Capponi, o a enotecnici intelligenti e moderni come Paolo de Marchi di Isole e Olena, di cui ho apprezzato molto di più lo schietto Chianti Classico 2006 che non il blasonatissimo supertuscan Cepparello, annata 2005.
Ma, più che tutto, ho avuto la conferma che, spesso, le soprese migliori e gli aneddoti più interessanti è facile che arrivino proprio dagli stand meno frequentati dai lettori di guide, riviste e annuari vari. Metti il vino di San Colombano, per esempio. Il cosiddetto "vin de Milan", che in realtà è più piacentino che meneghino. Lo fanno una quindicina di aziende su una collina a sud di Lodi, a circa 50 km da Milano, presso il confine con l'Emilia. Indimenticabile, per esempio, il Franco Riccardi dell'azienda Nettare dei Santi, sorta di delizioso ed economico (solo 8 euro!) "Sforzato" o "Amarone", vedete un po' voi, da appassimento di uve merlot e cabernet sauvignon. Davvero un vino della madunina!
Nicola Taffuri
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