Niente da dire. Gli ungheresi sono stati più veloci e furbi di noi italiani e hanno provveduto per primi a registrare in sede europea il nome di "Tokaji" per il loro vino più tipico. Con buonapace dei viticoltori italiani che si sono ormai rassegnati a chiamare "tai" o "friulano" quel vitigno conosciuto fino a pochi anni fa come tocai e che da noi viene usato per fare esclusivamente un bianco secco.
E' dunque una mera questione di nomi, perché i due prodotti, quello ungherese e quello italiano, non hanno mai avuto nulla a che spartire l'uno con l'altro.
Il Tokaji ungherese viene fatto con tre uve differenti: furmint, hárslevelű e muscat. Può essere secco (Szàras), dolce (Edes) ma sono senza dubbio le versioni botritizzate (Aszù) quelle di maggior pregio.
Tanto da indurre persino lo Zar di Russia, nei secoli passati, a mandare truppe di cosacchi apposta in Ungheria per scortare il prezioso nettare sino a San Pietroburgo. In particolare lo Zar andava matto per una versione superconcentrata dell'"Essencia", il grado più stucchevole nella classificazione del Tokaji in base agli zuccheri contenuti. Ma tant'è.
Oggi come allora la dolcezza del Tokaji Aszù, fatto miscelando una parte di bianco secco con il mosto di uve appassite per via dell'attacco della botrytis cinerea, la cosiddetta "muffa nobile", si misura in puttonyos (da 2, il più amabile, fino a 8, la dolcissima Essencia).
Questi non sono altro che le tradizionali gerle contenenti ciascuna 25 kg di uva botritizzata. Più puttonyos di uva si aggiungono al vino secco, più il Tokaji Aszù sarà dolce e strutturato, al termine di un invecchiamento nelle botti che può andare dai 2 fino ai 10 anni e più.
Io ho avuto l'estremo piacere di assaggiare il Tokaji 6 Puttonyos 1998 50 cl. dell'azienda Baron Bornemisza, che troviamo anche da Peck al prezzo di 49 euro.
Colore dorato profondo e brillante, profumi molto intensi di rara complessità e assoluta eleganza. Si fa notare per prima la caramella al miele, seguita da squisite sensazioni di datteri, albicocche secche, marmellata di fichi, frutta candita, con una nota minerale di iodio. In bocca è dolce, caldo e morbido ma colpisce per la viva acidità che lo rende fresco e piacevole. E' l'esatto contrario di ciò che si definisce un vino stucchevole. Questo Tokaji non stanca mai - e perdonate la rima non voluta - per merito, oltre che della freschezza, del tenore alcolico di 12 gradi. Pochi, se pensiamo che, per esempio, un Passito di Pantelleria ne ha solitamente 15!
Come abbinamenti un consiglio. Bevetelo da solo, per apprezzare al meglio le mille sfumature di questo grandissimo vino dolce ungherese.
Nicola Taffuri
mercoledì 12 novembre 2008
Tokaji, quanti puttonyos hai?
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