martedì 24 maggio 2011

Montevecchia, una bellissima alla ricerca della propria identità

Non sarà più il "vin de Milàn" che aveva assaggiato Mario Soldati nei suoi viaggi enogastronomici che negli anni '60 lo avevano portato fino alle ultime propaggini dei depositi morenici del lecchese. Ma il vino di Montevecchia, nelle sue fedeli e molteplici reinterpretazioni seguite alla riscoperta della viticoltura in questo angolo di Toscana in terra brianzola, è sempre un buon pretesto per una visita al territorio.
Da oltre 15 anni il progetto vinicolo più ambizioso è quello dell'azienda La Costa, proprietaria di diverse cascine ristrutturate su e giù tra ordinati filari di ogni età e maestosi e profumatissimi cespugli di rosmarino. Elena Crippa, classe 1976, porta avanti con passione il sogno cominciato da suo padre, imprenditore milanese dai natali brianzoli, di tornare sui luoghi dell'infanzia e rimettere ordine a quelle colline dimenticate dai forestieri.
A spasso tra filari vecchi e nuovi, parla dei loro impianti a cordone speronato, dei vitigni, del terreno pietroso e ricco di minerali, del significato dell'agricoltura biologica a cui loro aderiscono senza per questo rinnegare i classici interventi in vigna con sostanze naturali come lo zolfo e il rame contro oidio e peronospora. Parla del pianto della vite e della nuova moda di alcuni coltivatori di raccogliere le lacrime di linfa che colano in primavera dai tagli delle potature, per produrre prodotti cosmetici.
Parla dell'allegagione, ovvero del passaggio dal fiore al frutto, e dei fatidici "3 giorni" in cui il tempo deve essere clemente per non dilavare la preziosa opera di impollinazione da parte del vento e degli insetti, dei delicatissimi fiori della vite, pianta ermafrodita. Spiega il significato dell'invaiatura e, di nuovo, sottolinea quanto il lavoro dell'uomo diventa piccolo e debole di fronte alle bizze della natura. Per poi, a vendemmia fatta e vinificazione avvenuta, lasciarsi andare a un sospiro di sollievo lungo qualche mese. Mica tanti, perché anche nella stagione fredda il viticoltore, a differenza della vigna, non dorme mai. E i vini? Valgono tutti questi patimenti?

Un bianco, due rossi e un dolce esperimento
Dai terrazzamenti fioriti scendiamo a cascina Galbusera Nera, dove c'è la cantina con la sala degustazioni.
TERRE LARIANE IGT BIANCO "SOLESTA" 2009
70% riesling, 30% chardonnay + pinot bianco
Un "SOLstizio d'ESTAte" giallo paglierino brillante e consistente, con un naso intenso, complesso e fine. Con il passare dei minuti gli effluvii di acacia e sambuco vengono affiancati da sentori fruttati di ananas e banana, mentre emerge decisa la nota minerale di grafite con un velo di "gomma da riesling". Bocca caldo, morbido, fruttato e polposo, con un finale ammandorlato sin troppo deciso, destinato certamente ad attenuarsi negli anni. E' infatti un bianco da invecchiamento con una componente alcolica ben decisa.
13 % alcol, affinamento botti di acacia. A seguire acciaio e bottiglia.

TERRE LARIANE IGT "SéRIZ" 2008
Annata disastrosa per via delle piogge, per questo blend tra merlot (70%), cabernet sauvignon e syrah, che prende il nome dalle pietre ollari tipiche dei depositi glaciali dalla Valtellina alla Brianza.
Colore rubino consistente, naso dominato dalle amarene e dalle more, accompagnate da sentori vegetali e di erbe aromatiche e da un pizzico di spezie. In bocca è caldo, morbido e balsamico ma lo vorremmo meno alcolico e più corposo e strutturato in tannini. Chiude su pepe verde.
Solo legno grande, poi acciaio e chiarifica. 13,5 % vol.

PINOT NERO "SAN GIOBBE" 2009
Anno dopo anno il pinot nero si lascia addomesticare e il San Giobbe si incammina a diventare il vino di punta dell'azienda, pur non essendo ancora iscritto alla recente Igt Terre Lariane e pur nato per caso visto che, all'origine, il sig. Giordano Crippa voleva farne uno spumante bianco.
Colore rubino scarico, di bella consistenza, naso di caramelle di frutti di bosco, rosa canina, cuoio, ciliegia sotto spirito e liquerizia. Buon riscontro in bocca, per un vino che si lascia bere con piacere.
Macerazioni non troppo lunghe, in parte con i raspi. No follature, vinificazione parte in acciaio parte in rovere. Affinamento in botti grandi.
13 % vol.

CALIDO 2010
Poco più che famigliare la produzione di questo Vendemmia tardiva da traminer e moscato di Scanzo vinificato in bianco.
Colore dorato intenso con riflessi ambrati, naso di arance candite e rosa canina, con note di smalto molto spinte. In bocca caldo, morbido e ben equilibrato tra dolcezza e acidità, chiude con una leggera sensazione di effervescenza per via del basso contenuto di solforosa che permette una leggera rifermentazione.
100 ml residuo zuccherino.

CONCLUSIONI: PERCHE' NON FARE SOLO CHARDONNAY E PINOT NERO?

Zona splendida, cascine meravigliose, vini buoni e in sicura crescita. Resta una constatazione: curioso notare come la mappa viticola di Montevecchia metta fianco a fianco su una collina vitigni assai diversi gli uni dagli altri, come riesling, chardonnay, merlot, cabernet, syrah e pinot nero che altrove, in regime però di monoculture distanti anche parecchie centinaia di km, danno vita ai vini più grandi della terra. Non sarebbe meglio, per esempio, lasciare che la Valcalepio si occupi dei bordolesi e concentrarsi solo su pinot nero e chardonnay? Dopotutto non sono in pochi a soprannominare queste colline moreniche del milanese esposte verso sud-est "la piccola Borgogna brianzola". Da lì l'azienda La Costa potrebbe in futuro abbandonare l'incoerenza della Igt Terre Lariane per diventare titolare in regime di "monopole" di una nuova Doc Montevecchia tutta per sé.