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martedì 13 settembre 2022

Cenere e vino

Picon, viento y océano. Sta tutta qua Lanzarote, la più selvaggia delle Isole Canarie, forgiata dai vulcani, morsa dalle onde dell'Atlantico e modellata dagli Alisei - quelli che diedero una spintarella a Cristoforo Colombo nel suo viaggio verso il nuovo mondo, per intenderci - che soffiano quasi incessantemente sulle sue coste. Un'isola estrema dall'aspetto lunare con un cuore ricco di meraviglie, proprio come la verde olivina incastonata nella nerissima pietra lavica che ricopre interamente l'isola.
L'ultima catastrofica eruzione fu quella che diede origine al parco vulcanico del Timanfaya, principale attrazione dell'isola valorizzata, come le altre perle locali, da quel geniaccio di Cesar Manrique

Vigneti a La Geria. Sullo sfondo, 
il profilo dell'imponente Caldera Blanca.
Dal 1730 al 1736 le eruzioni coprirono interamente la parte agricola di Lanzarote, costringendo nei decenni successivi gli abitanti rimasti ad abbandonare la coltura cerealicola puntando sulla viticoltura.
Una manciata di ettari in mano a pochi proprietari, spesso legati al potentato ecclesiastico, che hanno adattato la nuova coltura alle condizioni climatiche: viti basse, interrate in piccole fosse di cenere protette dal vento da muretti di pietra lavica. Queste piccole conche aiutano anche a trattenere per quanto possibile l'umidità notturna o delle rare piogge stagionali.
Risultato: poca uva di eccellente qualità, i cui aromi sono amplificati dalle forti escursioni termiche tra il giorno e la notte, come si conviene a una terra posta all'altezza del Sahara, che ogni tanto allunga sull'isola il suo alito caldo tramite la calima.
In un ambiente del genere la scelta del vitigno non poteva che ricadere su una malvasia, uva aromatica già rodata in territori estremi simili, come la nostra Pantelleria.


Lanzarote Doc Malvasia Rubicon 2021
La cantina Rubicon si trova a La Geria, piccola località nel cuore vitivinicolo di Lanzarote, nella zona centro sud, a ridosso del parco vulcanico del Timanfaya. La sua malvasia secca del 2021 è un mirabile esempio di quello che può regalare questa terra solo all'apparenza sterile. Colore giallo paglierino limpido con riflessi dorati, consistente, conquista subito per l'incredibile potenza ed eleganza dei suoi intensi profumi fruttati. Pesca gialla, ananas e mango cedono il posto al pompelmo maturo per sfumare su venature più minerali che ricordano lo zolfo e la polvere pirica. Sensazioni che si ripresentano in bocca, incastonate nel tessuto alcolico importante (13,5°) e che restano a lungo per sfumare su un finale dolceamaro. Un vino sorto dall'inferno per rallegrare la vita dei residenti e dei turisti che decidono di concedersi una pausa all'ombra di uno degli eucalipti fuori dalla bodega.
Per poi portarsi a casa qualche bottiglia da accompagnare a un pesce al forno, a un piatto di crostacei, a un formaggio duro stagionato o a qualche fetta di pata negra
L'ultimo sorso è per chiudere gli occhi e sognare di essere ancora lì, tra picòn, viento y océano. Prezzo in cantina: 10 euro.

lunedì 10 novembre 2014

Cimice didattica

Curioso, che proprio quest'anno climaticamente strano anche per la scarsa presenza delle consuete cimici che sono solite intrufolarsi nelle nostre abitazioni attraverso il bucato steso e ritirato, è capitato di portare in tavola un vero e proprio succo di cimice.
Il cavallo di Troia è stato un Pinot Nero dell'Oltrepo, che mi è stato regalato e presentato come vero succo d'uva...

Ora, estimatori e detrattori a parte dell'espressione pavese di quell'uva scontrosa e volubile che è il pinot nero, interessa in questa circostanza prendere nota di uno dei più didattici difetti del vino di cui si parla nei corsi di degustazione, e che tuttavia, per fortuna, non è così come frequente come la classica "puzza di tappo" o di "straccio bagnato".


Difetto di fermentazione
Come possiamo facilmente leggere su internet, la colpa di questa terribile sensazione olfattiva è dovuta a un ceppo di alcoli superiori che si sviluppano durante la fermentazione, riconducibili a una sorta di sensazioni "erbacee distorte" che ricordano in maniera inequivocabile, appunto, la puzza delle cimici quando vengono schiacciate.
Il problema è che questo Pinot Nero pavese all'inizio si è presentato nel bicchiere con una bella effervescenza accompagnata da degli odori "confusi" ma per nulla sgradevoli. Se non fosse che, svanita dopo qualche attimo l'effervescenza iniziale, ha cominciato subito ad emanare il vomitevole difetto. Niente, cena rovinata, bottiglia nel lavandino. Pinot nero pavese rimandato a settembre dell'anno prossimo, quando le cimici, si spera, svaniranno dal vino e torneranno nell'atmosfera. 

martedì 12 agosto 2014

Weingut Hanka, ospitalità renana

Il nostro breve tour nel Rheingau (vedi post precedente) è incominciato dal celeberrimo Kloster Eberbach, monastero benedettino al cui interno sono state girate le scene del film Il nome della rosa, al quale però dedicherò il prossimo post. Faccio quindi un salto avanti di una giornata e andiamo a Johannisberg, considerato da molti il territorio più vocato per il Riesling renano e località nel comune di Geisenheim, che ospita una delle più importanti scuole di enologia del mondo. Nota anch'essa per l'omonimo monastero da dove mosse i primi passi la viticoltura renana dopo l'input iniziale dato dai romani, Johannisberg è una piccola frazione di mezza collina, dove domina lo "Schloss", il castello, che si sviluppò dall'antico monastero. Qui, per caso, nel corso del 1700 nacque l'abitudine di vinificare le uve intaccate dalla muffa nobile, che danno quel tratto dolce così caratteristico dei vini renani, dagli "spatlese" ai vari "auslese".
Oggi il castello, che ancora offre il nome alle etichette dell'omonima casa vinicola, è sede di importanti eventi e conferenze. Noi siamo invece ridiscesi un pochino verso la strada principale e abbiamo fatto visita alla famiglia degli Hanka, il cui stile, in quanto ad ospitalità e capacità enologica, è quanto di meglio l'enonauta possa chiedere ai propri viaggi.


La presentazione dell'azienda ve la lascio leggere sul sito internet o sul profilo facebook, qui andiamo subito alla sostanza. Prima di tutto, rispetto ad altre zone d'Italia assai meno blasonate o alla super celebrata Borgogna, stupiscono la semplicità e la cordialità da parte di una famiglia che apre la porta di casa a due giovanotti la cui competenza potrebbe essere misera quanto la disponibilità economica. Invece Sigrid Hanka e suo figlio Sebastian, enologo, ci fanno accomodare a un tavolino e ci fanno assaggiare a nostro piacimento tutto ciò che indichiamo loro sulla lista della loro produzione. Proviamo un Riesling Trocken, uno Spatlese Feinherb, un Kabinett e un Auslese. Per pudore - e tasso alcolico ormai sopra i livelli di guardia - evitiamo di continuare la nostra "messa all'indice" verso i più impegnativi e costosi Beerenauslese e TBA. Ma siamo sicuri che i due non avrebbero fatto una grinza e avrebbero seguitato a servirci quanto richiesto.
C'è da dire, a onor del vero, che sarebbe stato alquanto strano se due italiani - mosche rare, a queste latitudini - saliti in macchina sin lassù per scoprire i gioielli di questa zona vinicola avrebbero bevuto senza caricarsi nulla nel bagagliaio. Ma tant'è. Viva l'ospitalità renana.

Geisenheimer Klauserweg Riesling Spatlese Feinherb 2013
I Riesling.. beh, che dire? Nulla al confronto con i Riesling didattici tutto "frutto ed elasticone" serviti durante le costose serate di degustazione in Italia. Questi sono vini eleganti, dove la componente aromatica e fruttata del riesling si incontra alla perfezione con le componenti minerali del terreno, e dove la nota dolce si sposa meravigliosamente con una freschezza che spinge la beva sempre un gradino più in là.
Personalmente io amo i Riesling più secchi, ma la freschezza e l'eleganza dei "botritizzati" manda a carte all'aria tutta la nostra scala di dolcezze a cui siamo abituati.
Alla fine ho comprato quattro Pradikat "feinherb" (amabili) e due Pradikat Riesling "3 Generationen", tutti del 2013, e due mezze bottiglie di Auslese del 2005. Di volta in volta dedicherò loro un post a parte.
Domenica ho "sacrificato" uno dei feinherb vendemmia tardiva per uno dei miei ricorrenti piatti estivi, un risotto con il pesce persico.
Davvero eccellente. Un vino profumato - il riesling è un'uva semi-aromatica - accanto a un piatto profumato è già un ottimo preambolo per un buon abbinamento. Che si esalta tra reciproche dolcezze vivacizzate dall'ottima acidità del vino e dalla sua importante struttura. Il finale stenta a venire e lascia in bocca un dolce ricordo che allontana e rimanda "a dopo" il rituale caffé.

giovedì 26 dicembre 2013

Un Moscato di montagna

 Le feste di fine anno sono un momento unico per assaggiare vini e stappare bottiglie che amici, parenti e anche noi stessi abbiamo "tenuto da parte" in attesa della proverbiale "occasione giusta". Bottiglie che abbiamo in cantina da anni, così come, più semplicemente, souvenirs di recenti vacanze.
Come il Moscato secco di Chambave che mio cugino aveva preso in Val d'Aosta durante un soggiorno estivo a Courmayeur. Destinato da mesi ad accompagnare i tradizionali antipasti di mare del pranzo di Natale: salmone, cappesante, scampi e cozze gratinate.

Vallée d'Aoste Doc Chambave Muscat 2012 "La crotta di vegneron"
Le uve di Moscato Bianco, utili alla vinificazione del Vallée d’Aoste Chambave Muscat DOC, raggiungono la giusta maturazione nei vigneti dislocati sulle colline di Chambave, Pontey, Verrayes, Saint-Denis, Châtillon e Saint-Vincent. Qui, a 30 km dal fondovalle e dal confine con il Piemonte, la cantina cooperativa "La crotta di vegneron" raccoglie le uve dei 120 soci produttori e le vinifica declinandole in 15 vini della macro Doc Valle d'Aosta, dal Petit Rouge al Fumin, fino, appunto, al Muscat de Chambave.
Colore giallo paglierino brillante con riflessi dorati e di bella consistenza, al naso svela un ventaglio di profumi di fiori gialli, pesca e frutta tropicale, da cui emerge nitido l'aroma del litchi a coprire le note di erbe aromatiche che ci aspetteremmo più evidenti da un moscato. Sensazioni che si ripresentano in bocca in un corpo caldo, fruttato, morbido e di ottima acidità, con una decisa vena amarognola finale ricorrente nei vini da uve aromatiche. Un Moscato, per chi non conosce la tipologia, senza dubbio "spiazzante", tanto che si potrebbe facilmente confondere con un Gewurztraminer altoatesino. Infatti l'ho apprezzato decisamente di più con la fontina di fine pasto piuttosto che con le entrée di pesce, eccezion fatta per gli scampi. Per queste molto meglio lo Spumante Fripon Extra Dry, altro souvenir altoatesino da uve prié blanc e muller thurgau, le più alte d'Europa perché coltivate vis-à-vis con il ghiacciaio del Monte Bianco.
Voto: 80.

lunedì 18 novembre 2013

Connubio Sirmione - squacquerone

Metti l'ennesima domenica grigia, di pioggerella e temperatura mite. Metti la voglia di consolarsi in tavola con un buon piatto di mezze maniche con squacquerone, prosciutto crudo e rucola. Cosa manca? Un bel bianco, ed ecco allora spuntare dalla cantina uno dei Lugana presi a fine agosto all'Enoteca della Civielle, a Moniga del Garda. Il Ca'Lojera 2012 prodotto a Sirmione dalla famiglia Tiraboschi, proprietaria, appunto, dei 18 ettari della celebre azienda "Casa dei lupi".

Lugana Doc "Ca'Lojera" 2012
Intanto già l'etichetta è assai invitante perché rimanda a uno stile rustico e tradizionale che vuole prendere subito le distanze da qualsiasi idea di "prodotto industriale di massa". 120mila bottiglie suddivise in 9 etichette dal Lugana base fino al Merlot Monte della Guardia passando per un rosato e due spumanti non sono molte, e permettono all'azienda di mantenere sempre le radici ben piantate nella propria tradizione senza rischiare di fare il passo più lungo della gamba.
Il colore è giallo paglierino brillante e i profumi rimandano subito al sole e alle limoniere del Garda, con quell'aroma di agrumi freschi, melone bianco, biancospino ed erbe mediterranee, meravigliosamente intessuto su una pregevole linea minerale. Sensazioni che tornano alla bocca sostenute da una viva vena fresca che lascia in bocca una gradevolissima nota finale di scorzetta di limone.
Un vino di buon corpo, rotondo e generoso, che appaga l'assaggio senza lasciare spazio a indugi di sorta.

Abbinamento peraltro azzeccatissimo perché i 13 gradi del vino si stemperano nell'acquosità dello squacquerone, mentre l'acidità e l'aromaticità spingono a tutta la delicatezza e i profumi del piatto. Ottimo anche, a seguire, in compagnia di un pollo masala, nonostante per la decisa speziatura di questo piatto sarebbe stato ancora meglio la versione Superiore del Ca' Lojera, quella affinata in barrique. Solo acciaio invece per il base.
Voto: 86.

giovedì 31 ottobre 2013

Il muschiatello della Loira

Ricordo con quanta enfasi e passione Guido Invernizzi, medico, sommelier e docente Ais, decantava le virtù di uve e vini "minori", dalla forastera di Ischia, al Gragnano di Sorrento fino al Muscadet della Loira. Buona la prima, imprescindibile il secondo, specie se di aziende come Grotta del Sole. E il "muschiatello" francese?
Trovato qualche giorno fa al supermercato a circa 9 euro e acchiappato al volo per fare compagnia a un pranzo a base di cozze.

Muscadet Sèvre et Maine AOC Ackerman 2011
I mitili, del resto, sono il naturale accostamento gastronomico di questo bianco tipico dell'ultimo tratto "atlantico" della Loira, il cui estuario va a gettarsi nell'oceano nei pressi di Saint-Nazaire, pochi km dopo aver attraversato Nantes. Prodotto con uve del vitigno a bacca bianca "melon de Bourgogne", forse "fuggito" dalla nobile Borgogna per trovare apprezzamento sulle tavole dei marinai, è un vino bianco leggero e molto, molto citrino, con vaghi sentori di muschio (da qui il nome), tanto che si presta alla grande per accompagnare alcune delle specialità dell'Atlantico, come crostacei, ostriche e saint-jacques, le "cappesante".
La spiccata acidità del vino e la sua discreta sapidità, infatti, ben si prestano ad esaltare il sapore delicato di queste prelibatezze a tendenza dolce e grassa, tanto che potremmo definirlo uno dei meglio riusciti abbinamenti territoriali per contrapposizione.
Io l'ho provato con un piatto di cozze in una preparazione troppo saporita per via dell'aggiunta di sale e peperoncino. Non male ma decisamente molto meno azzeccato dell'uso atlantico, più naturale e meno condito. Ad ogni modo un vino senz'altro curioso che però è assai difficile da apprezzare in un contesto geografico estraneo al suo.
Voto: 74.



martedì 15 ottobre 2013

Ageno, l'inganno è servito

In due anni di vita pavese non posso dire di aver conosciuto la metà dei ristoratori del centro storico e dintorni ma un'idea piuttosto precisa me la sono fatta: per mangiare bene a un prezzo onesto bisogna fuggire dalla città. Preso atto della tendenza cafon-fighetta di Pavia e dei suoi costi, mi sono finalmente deciso ad andare a passare una serata all'Infernot, un'enoteca della centralissima via Mascheroni, dietro il tribunale, di cui avevo sentito parlare bene da persone però poco attendibili.
Un po' "milanese" da fuori, molto graziosa e paradossalmente "sobria" all'interno. Accogliente e cordiale Manlio Manganaro, il riccioluto oste e titolare, sommelier Ais preparatissimo nella presentazione del menu e nella spiegazione dei vini, dei piatti e degli abbinamenti.
A far compagnia a un affettato di salumi misti, dal culatello alla mocetta valdostana fino al salame dei monti Nebrodi e a un crostone al lardo e miele, la mia compagna di bevute sceglie un profumatissimo Lacrima di Morro d'Alba, mentre io accetto la sfida del calice nero, un vino misterioso servito dietro al banco in un calice di cristallo nero come un cielo senza stelle. Convinto dell'assurdità della diceria che, privati della vista del colore, si possa  arrivare addirittura a confondere un bianco per un rosso e viceversa.
Io mai.

Emilia Igt "Ageno" 2008 La Stoppa
Touché. Colpito dai decisi aromi speziati e di pellame e affondato dal gusto tannico. Anche se, a mia discolpa, devo dire che quella freschezza marcata di agrumi come chinotto e bergamotto mi aveva mandato in tilt i sensi, tanto che, non fosse stata per la serietà del locale, avrei potuto sospettare un volgare mischione bianco + rosso.
Pace. Mi sono divertito. I piatti erano buoni, il prezzo nella media e la compagnia ottima. Però l'Ageno, che vino è? Un blend di uve bianche tra cui spicca la malvasia di Candia aromatica, che vengono lasciate a macerare per 30 giorni proprio per estrarre la massima concentrazione di aromi e di tannini, rinforzati ulteriormente dai sei mesi in barriques e dai due anni di affinamento in bottiglia, per poter dare vita a poco più che un vino "didattico", adatto a farsi gioco dei polli come il sottoscritto. Se volete giocare con gli amici - o, meglio, con i "nemici" - provatelo, costa circa 20 euro a bottiglia e all'Infernot viene servito a 6,50 il calice (nero). Voto: 74. Se volete bere qualcosa di buono, invece, scegliete altro. Questi ibridi lasciano un po' il tempo che trovano. A proposito, tra una cosa e l'altra non ho guardato bene la carta dei vini. Di conseguenza, ci rivediamo presto, caro Manlio.

lunedì 30 settembre 2013

Anche in Borgogna non è tutto oro, specie se bio!

Volevo conservarle entrambe per un'occasione importante ma, tornato dal mercato con dei meravigliosi porcini freschi con l'intenzione di farci un bel risotto con lo zafferano, non ce l'ho fatta e ne ho stappata una: Borgogna Bianco "La Combe" 2010, del  domaine Anne Bavard - Brooks.
Chardonnay in purezza da uve bio prodotte da questa piccola famiglia di vitivinicoltori di Puligny-Montrachet, patria dei migliori bianchi della Cote d'or e terra promessa di mr Brooks, simpatico e cordiale bostoniano che proprio qui ha trovato moglie con vigneto in dote.

Colore giallo paglierino limpido ma non particolarmente brillante, naso inconfondibilmente "borgognone" per via della decisa nota di polvere pirica e agrumi freschissimi, è all'assaggio che ha lasciato un tantino a desiderare. Entra freschissimo sostenuto da un corpo sì fruttato ma non abbastanza e continua citrino fino alla fine, zoppicando insieme a vaghe sensazioni dolcine di lieviti, coprendo anche la componente minerale così consistente al naso. Finale medio di agrume acerbo. Un vino che, proprio per la sua esilità e la marcata acidità, ricorda gli Chablis che gli esperti meno gentili paragonano alla "base dello Champagne". Insomma, un vino troppo spigoloso ed esile per accompagnare un piatto strutturato come un risotto allo zafferano con grana e funghi porcini. Decisamente meglio in compagnia di una focaccia bianca con zucchine e Parmigiano. Evitare la pizza, il cui pomodoro non farebbe che aumentare le sensazioni acide.
Voto: 74

P.S. occhio ai porcini che si trovano in circolazione al nord, per belli che siano è probabile che vengano dall'Europa dell'Est. Quest'anno, infatti, le condizioni climatiche non hanno favorito il loro tradizionale sviluppo. Lasciate stare quindi la vista e affidatevi all'olfatto, il Boleus edulis italiano è inconfondibile!!


lunedì 2 settembre 2013

Un Lugana dall'ottimo rapporto qualità-prezzo


Secondo capitolo dedicato al Lugana, il bianco gardesano prodotto tra Brescia e Verona con le uve del trebbiano di Lugana, localmente noto come turbiana, che altro non è che la stessa varetà di verdicchio che dà prestigio alla tradizione vinicola delle Marche.
Il Lugana Doc è tradizionalmente associato alla cucina di pesce di lago, o comunque d'acqua dolce, per via dell'ottima struttura alcolica e sapida e della spiccata acidità agrumata che ben valorizzano la decisa tendenza dolce e grassa di gran parte delle preparazioni a base di lavarello, pesce persico, trote, tinche, ecc.ecc.
Ciò non toglie, chiaramente, che questo vino possa allietare qualsiasi piatto a base di verdure e carni bianche. Evitiamo magari di svilirlo su pur squisite minestre di verdura e sulla classica pizza. Si tratta infatti di un bianco, come detto, soltamente "importante", con una componente alcolica minima del 13%, che rischierebbe di fare la voce grossa con pietanze non altrettanto strutturate. E parliamo della versione base, figuriamoci la "Superiore" e la "Riserva"!
Piuttosto beviamolo da solo, come aperitivo. Ed è stato proprio nel corso di un semplice aperitivo in un bar nel centro di Lecco che ho scoperto il "Pergola" della Civielle, la "Cantina della Lugana e della Valtènesi".

Ritrovato presso il punto vendita della cantina nella mia recente visita a Manerba, l'ho riassaggiato sul posto e mi ha deluso un pochino per colpa della temperatura di servizio un po' altina. L'ho stappato domenica a pranzo bello freddo di frigorifero x accompagnare un risotto limone e rosmarino seguito da una trota al curry con patate e, che dire, notevole.

Lugana Doc "Pergola" 2012
Colore giallo paglierino brillante con riflessi verdolini, ha spiccati aromi agrumati, di limoni freschi e pompelmo, seguito da note floreali e da un tocco di erba fresca appena tagliata. In bocca è dotato di una buona struttura alcolica che scalda la bocca, ha una bellissima acidità sostenuta anche dalle decise sensazioni agrumate che corrono parallele alla buona sapidità. Il finale amarognolo ha discreta persistenza. Davvero un buon vino a 6,70 €. Per i miei gusti l'avrei preferito con almeno mezzo grado alcolico di meno e con una sapidità ancora più marcata, ma sono, appunto, gusti personali.
Punteggio: 80.

domenica 25 agosto 2013

Gioioso matrimonio lacustre con altarino

In attesa di mettere insieme le idee sparse e le meravigliose foto sulla mia seconda scampagnata ferragostana in Borgogna - a proposito, Beaune a metà agosto è una strepitosa alternativa agli affollati lidi italici ma si conferma uno dei periodi meno felici per l'enoviaggiatore per via della chiusura per ferie di molti pregiati "domaines", in attesa del tour de force della vendemmia prevista quest'anno a partire dal 20 settembre - ecco qualche riga dedicata alla fine delle vacanze, per il resto spese tra la mia terra lariana e un'improvvisata sul Garda bresciano, a Desenzano e dintorni.

E qui devo subito fare una rapida ammenda: snobbate da sempre le località gardesane perché liquidate come "tristi e per famiglie tedesche in sandali e calzini", devo dire che mi è bastato un soggiorno tra Sirmione e Manerba per farmi promettere che ci tornerò presto per dedicarci un'intera vacanza, tale è la bellezza dei paesaggi, la delicatezza dei sapori, la ricchezza e la varietà dell'offerta turistica, e l'accoglienza dei gestori improntata sulla volontà di sfidare le località marittime con listini dall'ottimo rapporto qualità-prezzo.

La cantina della Valtenesi
Sulla via per lo splendido resort sulla collina dietro Moniga del Garda ho incrociato per caso il punto vendita dei vini della Civielle, la Cantina della Valtenesi costruita dal mitico valtellinese Nino Negri attorno al 1920.
Da amante del Lugana, ricordo ancora l'assaggio casuale del loro Pergola in un bar di Lecco, e non ho perso l'occasione per assaggiarlo di nuovo, a distanza di qualche anno, direttamente alla sorgente.
Annata 2012 buona ma al di sotto delle mie aspettative. Guidato dalla gentilissima  proprietaria ho deciso allora di portarmi via, oltre a una bottiglia di Lugana Doc Pergola 2012, anche altre cinque bottiglie di cinque diversi produttori di Lugana, che Civielle con una brillante operazione di scontistica riesce a vendere allo stesso prezzo operato in cantina dal produttore.

E così oggi, tornato alla base lecchese per riportare gatto e valige in quel di Pavia, ho fatto saltare il tappo del Lugana Doc 2012 della famiglia Olivini, destinandolo a una delle mie specialità, il risotto con il pesce persico.

Pesce di lago e Lugana, supremo abbinamento territoriale
Un piatto saporito e delicato al contempo, dove spicca la dolcezza del risotto, la delicatezza del pesce persico, l'aromaticità della salvia e l'untuosità del condimento. Il piatto tipico del lago di Como, ancor più "locale" dei missoltini che si ritrovano anche nei menu gardesani alla voce "aringhe di lago con polenta alla brace".
Insomma, una specialità che va davvero a nozze con un buon Lugana, come quello della famiglia Olivini.
Colore giallo paglierino brillante, profumato di fiori bianchi e limoni freschi, seguiti dalla pesca bianca e da una nota minerale. Ottimo il riscontro in bocca, un vino morbido e freschissimo, con una decisa nota agrumata che fila a braccetto con una finissima vena minerale che a tratti mi fa volare con la mente alla recente visita francese a Meursault e dintorni. Chiusura piacevolmente amarognola di buona persistenza.
Punteggio: 84.

Un matrimonio azzeccatissimo, insomma. Costo della cerimonia: 7 euro la bottiglia 36 euro al kg il pesce persico. E a questo punto vi svelo l'altarino: quello nella foto non è pesce persico ma tilapia, un "surrogato" del Vietnam. Buono e molto più economico, visto che si trova a 16 euro al kg, esattamente la metà del pregiato simile lariano. Per questo molti ristoratori comaschi e lecchesi, specie i risto-pizza che giocano al ribasso, fanno i furbetti..

mercoledì 27 febbraio 2013

Una Passerina scaccia Sanremo

Andata in archivio anche questa edizione del Festival di Sanremo, l'unico ricordo che mi resta di quelle noiose serate di zapping alla vana ricerca della quotidiana psicodose di talk show pre-elettorale, è la bottiglia di Passerina del Frusinate che mi ha fatto compagnia per due sere consecutive.
Uva autoctona italica tipica della fascia adriatica tra le Marche e l'Abruzzo, la passerina, per lungo tempo a torto considerata parente stretta del trebbiano giallo, compare a macchia di leopardo anche in tutto il centro Italia, Lazio compreso, dove viene coltivata da diversi secoli. E' proprio dalla provincia di Frosinone che arriva questa bottiglia che ho pescato tra le offerte più appetibili dell'Esselunga di Pavia.

Frusinate Igt Passerina 2012, Cantina sociale di Piglio
Colore giallo paglierino brillante e abbastanza consistente, si presenta con aromi di fiori bianchi rinfrescati da un temporale di inizio primavera (che immagine, eh!?), accompagnati da delicati sentori di pesca bianca e melone bianco con contorni minerali. Questo insieme accattivante si ripresenta in bocca sostenuto da una grande freschezza che invita alla beva. Chiaramente da un vino di fascia bassa non ci si può attendere chissà quale persistenza, però ciò non toglie che possa essere un piacevolissimo compagno di una gustosa minestra di legumi, piuttosto che di un risotto alle verdure o di un filetto di merluzzo in padella senza pomodoro né limone, per evitare di accentuare la naturale acidità del vino.

Passserina consolatoria, insomma, in mancanza della farfalla di Belen...

giovedì 17 gennaio 2013

Una Forastera a Milano

Capita, con cadenza ormai mensile, di uscire per una pizza a Milano con i colleghi d'Avellino e dintorni che, come tanti altri ragazzi della Campania, si sono trasferiti da tempo nella metropoli lombarda per lavoro. Una volta erano le fabbriche ad attirare la manodopera "forestiera", oggi, a seguito della corsa alle lauree che ha intasato la domanda di lavoro nel nostro Paese, sono gli uffici.
Detto questo, è inevitabile che per un campano doc il richiamo per la propria terra sia irresistibile soprattutto quando si parla di pizza, e così da tempo abbiamo consacrato la pizzeria Sciuscià di via Procaccini come il luogo della nostra piacevole consuetudine.

L'ultima volta che ci siamo stati, ad accompagnare gli ottimi friarelli di antipasto e la successiva "bufala alla napoletana" con soffice cornicione "vista Vomero", abbiamo scelto un bianco tipico della Campania. Anzi, delle isole napoletane, di Ischia, per la precisione.
Ricordo che ne parlava con entusiasmo con la sua inconfondibile passione contagiosa il buon Guido Invernizzi, medico e sommelier docente AIS, durante una sua memorabile lezione sui vitigni autoctoni italiani.
Dissertava con tale godimento di "biancolella e forastera", che il binomio mi è rimasto in mente per anni e finalmente mi sono ritrovato a testarlo, almeno in parte, di persona.

Ischia Igt Forastera "Euposia" 2010 - Casa d'Ambra
Un bianco profumato di fiori, agrumi freschi e di erbe mediterranee, di buon corpo e dalla seducente struttura sapida, condita da un frutto gustoso dal finale leggermente amaricante. Un insieme che ben si presta a fare da spalla all'esplosione di sapore e aromi della pizza con la mozzarella di bufala.
Restando sugli autoctoni campani ma saltando sulla sponda dei rossi, il Gragnano della Penisola Sorrentina resta il miglior alleato della pizza, capace di giocarsela con il migliore dei Lambruschi in circolazione. Provare quello di Grotta del Sole per credere.

lunedì 12 novembre 2012

L'eccellenza biologica in Oltrepo

Dopo varie vicissitudini lavorative che mi hanno per forza di cose allontanato non solo dal mondo della scrittura e dei blog ma anche da quello dell'enogastronomia vedo con piacere che Vinoscopio seguita ad essere visitato da passanti e aficionados. E allora non mi resta che ricominciare con estremo piacere proprio da dove un anno fa è ripartita la mia vita professionale, da Pavia.

Azienda Agricola Bisio Devis
Quando hai un amico o un parente che si diletta di biologico e biodinamico non c'è titolo di esperto di enogastronomia che tenga: occorre mettersi in seconda fila e seguire il segugio di turno, nella punta della preda prescelta. Da tempo quel salutista di mio cugino voleva fare un'incursione in Oltrepo per comprare della Bonarda biologica, e l'occasione si è presentata sul finir di vendemmia, un weekend di inizio autunno.
Meta prescelta: Bisio Devis, azienda dell'eccellenza biologica con vigneti a far da vassalli al castello di Montalto Pavese.

La degustazione in cantina è filata via liscia in maniera simpaticamente informale e ha fatto capire che, nonostante qui siamo in terra di Riesling, i prodotti meglio riusciti sono i rossi Bonarda e Barbera. Eccellente la prima per chi ama questo classico vivace dell'Oltrepo, tanto ricco di dolci richiami di piccoli frutti rossi da sfiorare la definizione di "amabile", ottima la seconda per chi desidera una briosità più fresca e beverina. Due ottimi compagni, insomma, di tutta la ricca tradizione gastronomica a base di maiale e dei tortelli di ogni genere e tipo, con la Bonarda sfiziosa alternativa al Lambrusco per accompagnare anche una buona pizza napoletana.
Da tenere in cantina e rivedere tra 1-2 anni invece il Riesling, che picchia ancora un po' troppa sull'acidità.
Molto buono, infine, il dolce Moscato, che in quanto a beva nulla ha da invidiare al più rinomato cugino astigiano.
Assolutamente competitivi i prezzi: 3,50 Bonarda e Barbera, 3,80 il Riesling.

martedì 24 maggio 2011

Montevecchia, una bellissima alla ricerca della propria identità

Non sarà più il "vin de Milàn" che aveva assaggiato Mario Soldati nei suoi viaggi enogastronomici che negli anni '60 lo avevano portato fino alle ultime propaggini dei depositi morenici del lecchese. Ma il vino di Montevecchia, nelle sue fedeli e molteplici reinterpretazioni seguite alla riscoperta della viticoltura in questo angolo di Toscana in terra brianzola, è sempre un buon pretesto per una visita al territorio.
Da oltre 15 anni il progetto vinicolo più ambizioso è quello dell'azienda La Costa, proprietaria di diverse cascine ristrutturate su e giù tra ordinati filari di ogni età e maestosi e profumatissimi cespugli di rosmarino. Elena Crippa, classe 1976, porta avanti con passione il sogno cominciato da suo padre, imprenditore milanese dai natali brianzoli, di tornare sui luoghi dell'infanzia e rimettere ordine a quelle colline dimenticate dai forestieri.
A spasso tra filari vecchi e nuovi, parla dei loro impianti a cordone speronato, dei vitigni, del terreno pietroso e ricco di minerali, del significato dell'agricoltura biologica a cui loro aderiscono senza per questo rinnegare i classici interventi in vigna con sostanze naturali come lo zolfo e il rame contro oidio e peronospora. Parla del pianto della vite e della nuova moda di alcuni coltivatori di raccogliere le lacrime di linfa che colano in primavera dai tagli delle potature, per produrre prodotti cosmetici.
Parla dell'allegagione, ovvero del passaggio dal fiore al frutto, e dei fatidici "3 giorni" in cui il tempo deve essere clemente per non dilavare la preziosa opera di impollinazione da parte del vento e degli insetti, dei delicatissimi fiori della vite, pianta ermafrodita. Spiega il significato dell'invaiatura e, di nuovo, sottolinea quanto il lavoro dell'uomo diventa piccolo e debole di fronte alle bizze della natura. Per poi, a vendemmia fatta e vinificazione avvenuta, lasciarsi andare a un sospiro di sollievo lungo qualche mese. Mica tanti, perché anche nella stagione fredda il viticoltore, a differenza della vigna, non dorme mai. E i vini? Valgono tutti questi patimenti?

Un bianco, due rossi e un dolce esperimento
Dai terrazzamenti fioriti scendiamo a cascina Galbusera Nera, dove c'è la cantina con la sala degustazioni.
TERRE LARIANE IGT BIANCO "SOLESTA" 2009
70% riesling, 30% chardonnay + pinot bianco
Un "SOLstizio d'ESTAte" giallo paglierino brillante e consistente, con un naso intenso, complesso e fine. Con il passare dei minuti gli effluvii di acacia e sambuco vengono affiancati da sentori fruttati di ananas e banana, mentre emerge decisa la nota minerale di grafite con un velo di "gomma da riesling". Bocca caldo, morbido, fruttato e polposo, con un finale ammandorlato sin troppo deciso, destinato certamente ad attenuarsi negli anni. E' infatti un bianco da invecchiamento con una componente alcolica ben decisa.
13 % alcol, affinamento botti di acacia. A seguire acciaio e bottiglia.

TERRE LARIANE IGT "SéRIZ" 2008
Annata disastrosa per via delle piogge, per questo blend tra merlot (70%), cabernet sauvignon e syrah, che prende il nome dalle pietre ollari tipiche dei depositi glaciali dalla Valtellina alla Brianza.
Colore rubino consistente, naso dominato dalle amarene e dalle more, accompagnate da sentori vegetali e di erbe aromatiche e da un pizzico di spezie. In bocca è caldo, morbido e balsamico ma lo vorremmo meno alcolico e più corposo e strutturato in tannini. Chiude su pepe verde.
Solo legno grande, poi acciaio e chiarifica. 13,5 % vol.

PINOT NERO "SAN GIOBBE" 2009
Anno dopo anno il pinot nero si lascia addomesticare e il San Giobbe si incammina a diventare il vino di punta dell'azienda, pur non essendo ancora iscritto alla recente Igt Terre Lariane e pur nato per caso visto che, all'origine, il sig. Giordano Crippa voleva farne uno spumante bianco.
Colore rubino scarico, di bella consistenza, naso di caramelle di frutti di bosco, rosa canina, cuoio, ciliegia sotto spirito e liquerizia. Buon riscontro in bocca, per un vino che si lascia bere con piacere.
Macerazioni non troppo lunghe, in parte con i raspi. No follature, vinificazione parte in acciaio parte in rovere. Affinamento in botti grandi.
13 % vol.

CALIDO 2010
Poco più che famigliare la produzione di questo Vendemmia tardiva da traminer e moscato di Scanzo vinificato in bianco.
Colore dorato intenso con riflessi ambrati, naso di arance candite e rosa canina, con note di smalto molto spinte. In bocca caldo, morbido e ben equilibrato tra dolcezza e acidità, chiude con una leggera sensazione di effervescenza per via del basso contenuto di solforosa che permette una leggera rifermentazione.
100 ml residuo zuccherino.

CONCLUSIONI: PERCHE' NON FARE SOLO CHARDONNAY E PINOT NERO?

Zona splendida, cascine meravigliose, vini buoni e in sicura crescita. Resta una constatazione: curioso notare come la mappa viticola di Montevecchia metta fianco a fianco su una collina vitigni assai diversi gli uni dagli altri, come riesling, chardonnay, merlot, cabernet, syrah e pinot nero che altrove, in regime però di monoculture distanti anche parecchie centinaia di km, danno vita ai vini più grandi della terra. Non sarebbe meglio, per esempio, lasciare che la Valcalepio si occupi dei bordolesi e concentrarsi solo su pinot nero e chardonnay? Dopotutto non sono in pochi a soprannominare queste colline moreniche del milanese esposte verso sud-est "la piccola Borgogna brianzola". Da lì l'azienda La Costa potrebbe in futuro abbandonare l'incoerenza della Igt Terre Lariane per diventare titolare in regime di "monopole" di una nuova Doc Montevecchia tutta per sé.

sabato 30 aprile 2011

Ottima bevuta pasquale con 16 euro

Quando lavoravo a Milano nella redazione di un mensile di enogastronomia uno dei pezzi più pallosi che mi spettavano di diritto, in qualità di ultimo dei redattori in ordine di importanza, bravura e considerazione, era quello dedicato a "Bere bene con meno di 50 euro". Si trattava, in sostanza, di inventare una storiella attorno a un menu di diverse portate accompagnate da vini differenti e con un ottimo rapporto qualità prezzo. La regola era, appunto, che bisognava riuscire a comprare 5-6 bottiglie in enoteca senza superare la soglia dei 50 euro. Ho rispolverato questo giochetto per Pasqua ma, invece che in enoteca, sono andato a far spesa all'Ipercoop di Cantù, il supermercato tra le province di Como e Lecco che ha la migliore selezione di vini.
Sapendo che eravamo una decina dei quali solo 3-4 discreti bevitori e che il menu pasquale avrebbe previsto antipasti, torte salate alle verdure, lasagne alle verdure e lasagne di carne, arrosto di vitello, agnello al forno con patate, colomba artigianale e pastiera napoletana, ho scelto cinque etichette:
Muller Thurgau Spumante Brut "Lilium" Concilio, Conegliano e Valdobbiadene Docg Prosecco Extra Dry Carpené Malvolti, Gutturnio Doc 2010 Casabella, Alto Adige Doc Pinot Nero 2009 Erste & Neue, Moscato liquoroso di Pantelleria Doc 2008 Carlo Pellegrino.
In tutto ho speso poco più di 22 euro e mi sono pure beccato i complimenti di amici e parenti che hanno apprezzato la scelta dei vini. Non solo. Furbescamente sono riuscito a risparmiare il Pinot Nero, mio preferito, per un'altra occasione di minor condivisione.
Servito molto freddo, a non oltre 7°, gli aromi fruttati e erbacei del Brut di Concilio sono come una salda stretta di mano che invita a sedersi e cominciare a stuzzicare i primi bocconi degli antipasti, per poi continuare con la fresca morbidezza dell'Extra Dry di Carpené Malvolti, eccellente esempio di Prosecco a tutto pasto che mette d'accordo tutti i palati, da quelli più raffinati a quelli abituati alla gassosa. Sul Gutturnio vale il parere del mio vecchio zio, che da una vita si fa spedire i vini da un produttore dell'Oltrepo, che ha dichiarato "questo sembra quasi più buono di quello che prendo io!". Saltiamo, come anticipato, il Pinot Nero e passiamo al vino da dessert. Ecco, qui il palato allenato sorride apprezzando il gusto ruffiano del moscato liquoroso di Pellegrino, molto simile al vero e proprio Passito di Pantelleria sebbene meno alcolico e meno ricco di aromi e gusto. Resta comunque un ottimo vino dolce, perfetto per valorizzare il sapore della pastiera napoletana e per ripulirci la bocca dal velo della ricotta richiamando il gusto della frutta candita e del fior d'arancio.
Diamo un'occhiata allo scontrino: quattro ottimi vini stappati, 16 euro spesi. Mica male, no?

venerdì 1 aprile 2011

Primavera tempo di banchetti

Ai primi di marzo sono stato invitato a un matrimonio con tanto di banchetto nuziale in un noto ristorante brianzolo specializzato in questo tipo di eventi. Sui tavoli c'erano due vini, un bianco e un rosso. Il rosso era un Dolcetto di Terre del Barolo davvero assai poco gradevole, tanto che tutti si sono lanciati su un Bianco di Custoza che, invece, si è subito presentato assai beverino e ci ha fatto compagnia per tutto il pranzo.
Custoza Doc "Elite" 2009 Az. Agr. Giarola
Giallo paglierino scarico, brillante e di media consistenza, per questo blend di uve bianche lavorate da questa azienda a due passi dalla sponda veronese del Garda: garganega con l'aggiunta di tocai, cortese, trebbiano toscano.
Al naso ha una discreta complessità aromatica, è floreale e agrumato, con una nota sapida che torna con evidenza in bocca, accompagnata da un'ottima freschezza. Un vino semplice, elegante e piacevole, troppo debole per elevare un normale pasto a qualcosa di indimenticabile, ma anche sufficientemente ben fatto da rendere gradite tutte le portate degli irrinunciabili banchetti da grandi eventi. E' il classico bianco che, dopo averne svuotate diverse bottiglie, suscita nei convitati le classiche espressioni del tipo "però, mica male 'sto vinello!".

lunedì 21 marzo 2011

Un Arneis per brindare alla primavera

Ieri sono andato a prendere i primi raggi di sole primaverile dalle parti di Villa del Balbianello, sul lago di Como, e per evitare la coda dei milanesi che non conosce stagioni ma orari sì - micidiale il lasso 17-19 - ho deciso di fermarmi a mangiare qualcosa in un grazioso ristorantino a Lenno. Si chiama Trattoria S. Stefano ed è un localino a gestione famigliare con una cinquantina di coperti tra saletta e verandina, dall'atmosfera antica e dagli importanti riconoscimenti di Slow Food appiccicati belli in mostra in vetrina, accanto al menu.
Ci sediamo, diamo un'occhiata alla carta mentre la titolare ci anticipa l'assenza di parecchi piatti, evidentemente esauriti dal doppio turno di affamati turisti per pranzo, e scegliamo di farci un antipasto e un secondo.
Filetto di pesce in salsa verde e lavarello al burro e salvia con patatine fritte.
Da bere noto con piacere la presenza di bottiglie da 0,375 l. Prendo l'Arneis di Malvirà.

Roero Arneis Docg 2009 Malvirà
Colore giallo paglierino cristallino e abbastanza consistente, al naso rivela subito la vivace florealità di acacia e biancospino e la mineralità tipiche del vitigno, sensazioni che si ripresentano in bocca accompagnate da una piacevole nota agrumata di limoni freschi che va sfumando su un finale ammandorlato davvero piacevole. Un vino secco e abbastanza caldo, che gioca molto sull'acidità e sulla sapidità, capace di valorizzare con personalità ed eleganza i piatti di pesce di lago.
In carta 11 euro, un po' caruccio visto che la bottiglia intera di questo Arneis 'base' dei rinomati fratelli Roberto e Massimo Damonte si trova in enoteca a non più di 10 euro. Ma tant'è. Tutto ottimo. E pazienza se alla fine la signora si fa scappare 3 acque al posto di una. E' domenica sera, e per lei e l'anziano marito chef con tatuaggio da marinaio sul polso, sta per cominciare il giorno di riposo.

mercoledì 9 marzo 2011

Tentazioni borgognone da Villa Cavenago (pt. 1)

Grande affluenza di ristoratori e ottima organizzazione anche per questa nuova anteprima primaverile dei vini distribuiti da Pellegrini. L'atmosfera è quella di una prestigiosa fiera del vino, inserita nella cornice nobiliare della splendida Villa Cavenago di Trezzo sull'Adda. L'anno scorso avevamo cercato di rendere omaggio a una selezione di vini italiani ed esteri, con il risultato di arenarci su prosecchi del nord e bianchi del sud e di perderci la créme della degustazione, ovvero i vini francesi, quelli del resto del mondo e i distillati.
E allora quest'anno la decisione è stata ferma. "Si parte dalla Francia".
Salvo poi una tanto rapida quanto gradevole sosta da Bisci per inchinarci di fronte al suo "Senex" 2003, uno straordinario Verdicchio di Matelica che si meriterà presto un post tutto suo. Diciamo che è stato il giusto aperitivo che ci ha introdotti nell'adiacente sala della Borgogna. Resto sempre più convinto, infatti, che l'unico bianco italiano capace di non sfigurare con i grandi chardonnay di Francia per complessità, eleganza e raffinatezza è proprio il Verdicchio, di Jesi ma soprattutto quello di Matelica.

E così dalle Marche entriamo nel regno del pinot nero e dello chardonnay. Precisamente a Meursault, in Cote de Beaune, terra di bianchi straordinari. Un paio d'anni fa durante un viaggio in Borgogna ci eravamo innamorati degli Chardonnay di Michel Bouzereau e di suo figlio Jean-Baptiste, il cui stile inconfondibile abbiamo ritrovato con immenso piacere nei vini di Ballot Millot & Fils, che scopriamo essere parenti stretti del buon Bouzereau. Bianchi di grande eleganza e raffinatezza, giocati su una concentrazione di agrumi e mineralità che acquistano forza e complessità salendo dai 'villages' fino ai 1er Cru senza mai concedere nulla allo scontato, al banale o allo stancante.
Per la goduria massima occorre però lasciare Meursault per andare nell'altra grande appellation dei sublimi bianchi di Borgogna, ovvero a Chassagne-Montrachet, che sul tavolo di degustazione è proprio lì a fianco, per assaggiare gli Chardonnay di Domaine Amiot Guy & Fils.
E da lì un salto indietro per pulire la bocca con grissino e sorso d'acqua per apprezzare anche i grandissimi pinot noir di entrambi i produttori.
Dopo questi primi assaggi eravamo già talmente soddisfatti da essere tentati di trasferirci in zona Champagne ma la vista del Syrah del Rodano e del banco dei bordolesi ci ha convinti a complicarci il cammino..continua

giovedì 30 settembre 2010

Un Montecompatri da "Promised Land"

In questi giorni stavo liberando il cell da una marea di sms che mi avevano intasato la memoria della Sim e mi sono ritrovato questo messaggio salvato nella cartella bozze.
"Virtù Romane, Tenuta Le Quinte, Montecompatri Superiore 2008".
E mi sono ricordato.
Della lunga attesa fuori dall'Olimpico, della voce di Bruce che rimbalzava contro la Monte Monte Mario con un'irriverente eco, della caccia alla band, di Trastevere e di quella bandana in vertina.

A CENA CON LITTLE STEVEN
Domenica 19 luglio 2009, stadio Olimpico di Roma. Prima delle tre tappe italiane del nuovo tour di Bruce Springsteen con la E Street Band, a un solo anno di distanza dal mostruoso Magic Tour. Inizio previsto ore 22, per colpa della concomitanza dei mondiali di nuoto, in scena nell'adiacente villaggio olimpico. Concerto bello ma non epico, per via della lunga snervante attesa e di un'acustica pessima. Ma il Boss come al solito non si risparmia e, tra cavalli di battaglia vecchi e nuovi e ripescaggi a sorpresa, manda in delirio lo stadio.
Tant'è che, sulla scia dell'esaltazione della sera prima, il lunedì lo passiamo a dare la caccia alla band, asserragliata nell'Hotel De Russie, a due passi da piazza del Popolo.
Ed è così che, tra una fugace stretta di mano a Charlie Giordano e una pacca sulla spalla a Max Weimberg, un autista ci fa la soffiata: Bruce e Little Steven andranno a cena in un noto ristorante a Trastevere, dalle parti di Ponte Cestio.
Risultato: dopo aver battuto in lungo e in largo le numerose trattorie e pizzerie del quartiere tiberino, mia sorella ci dà la dritta che aspettavamo:
"Da quella vertina si vede un tipo con la bandana...".
Eccolo. Little Steven. E...Bruce?
L'insegna è quella dell'Osteria La Gensola.
Entriamo e veniamo accompagnati dal cameriere nella saletta interna, osservando di soppiatto la tavolata del chitarrista newyorkese alla ricerca di un suo sguardo e, soprattutto, del suo Boss. Nulla. Little è da solo, con amici. Però, che figata...a cena nello stesso ristorante di Little Steven!

Volevo il Frascati ma...viva il Montecompatri!
La cena è stata ottima, il locale delizioso e il personale molto cordiale.
Altri dettagli, via di uno stupendo spaghetto cacio e pepe e di un'amatriciana da urlo, non li ricordo, tale era lo stato di trance al pensiero che verosimilmente, di lì a poco, avrei conosciuto una leggenda del rock.
Però il nome del vino me lo sono segnato sul telefonino.
Avevo chiesto un Frascati Superiore ma il sommelier, figlio del titolare, è riuscito a rifilarmi un'altra etichetta con la sfacciata spontaneità che solo i romani e i napoletani riescono ad avere.
Però mi è andata bene, perché ho scoperto un grande vino bianco di una denominazione che non avevo ancora assaggiato: Montecompatri Doc Superiore "le Virtù Romane" 2008, Tenuta Le Quinte.
Accattivante blend di tutte le uve bianche tipiche del Lazio, dalla malvasia puntinata, al trebbiano, bellone e bonvino, si presenta al naso con fragranti profumi di pesca, caprifoglio, erba fresca e mandorle, sospinti da un delicato alito etereo molto seducente. Sensazioni che ritornano in bocca inserite in un corpo di grande freschezza e buona struttura, per un vino che invoglia fino all'ultimo sorso e si congeda con un appetitoso retrogusto fruttato e ammandorlato. In enoteca si trova a circa 10 euro, per una gradazione alcolica di 13,5%.
E Little Steven? Beh, addolcito dalla buona cena e sedotto dal vino romano, si è concesso per sigaretta e foto di rito, con tanto di battuta ironica quando gli abbiamo detto che l'indomani ci saremmo rivisti a Torino e, due giorni dopo ancora, a Udine.
"You're crazy, my friends!".

venerdì 26 marzo 2010

Vini Pellegrini: appunti da Villa Cavenago (2a parte)


Veniamo ai bianchi e cominciamo dal nostro vicino di casa, ovvero da quel Solesta, particolare blend di chardonnay, riesling e manzoni bianco, che nasce dai vigneti terrazzati dell'azienda La Costa di Montevecchia, prezioso angolo di Toscana sospeso tra Lecco, l'Adda e Milano.

Fermentato in massima parte in vasche d'acciaio con una piccola percentuale che passa invece per la botte grande, il vino viene poi affinato parte in barrique e parte in vasche di cemento; dopodiché un ulteriore anno di permanenza in bottiglia completa la sua maturazione.

Quando a Claudia Crippa, giovane figlia del titolare Giordano, chiedo notizie dei nuovi scassi e terrazzamenti che l'autunno scorso, di passaggio per una scampagnata a funghi, ho notato sulle colline nei pressi delle tre cascine - Costa, Scarpata e Galbusera Nera - di proprietà dell'azienda, lei si schermisce promettendo: "sì però ora basta, con questi arriviamo a 12 ettari e per una piccola realtà come la nostra sono già più che sufficienti".
Per poi tornare al vino: "com'è, ti piace?".

Piace, piace eccome. Fresco e floreale, parte di slancio con la frutta gialla dello chardonnay per poi rendere il giusto merito anche all'eredità del riesling, percepibile in fini note muschiate e di pietra focaia. La barrique c'è ma non appesantisce una beva che tiene bene e si fa via via più intrigante assaggio dopo assaggio. Da servire fresco ma non freddo, magari in compagnia di un risotto alle verdure oppure con un piatto di formaggi a pasta morbida tipici di Montevecchia o anche con un Quartirolo o un Taleggio della vicina Valsassina.

Del Pinot Nero Sangiobbe, per il quale l'azienda ha profuso i suoi sforzi maggiori in questi anni cercando la migliore collocazione dei vigneti e affinando le più efficaci tecniche di lavorazione in cantina, ne parleremo in seguito.

Ora andiamo in Sardegna ad assaggiare il Vermentino dell'azienda 6 Mura, ultima arrivata in casa Pellegrini.

VERMENTINO DI GALLURA O DI SARDEGNA?
Assieme al titolare del ristorante dove lavoro eravamo alla ricerca di un Vermentino di Gallura, quindi DOCG, buono, tipico e meno conosciuto dei vari Sella e Mosca e simili.
Lo abbiamo detto al simpatico mescitore sardo e lui ci ha proposto un indovinello:
"ve ne faccio assaggiare due e voi dovete indovinare quale è il Doc di Sardegna e quale il Docg"
.
Mica facile, entrambi eccellenti. Mi butto su quello più strutturato.
"Il Gallura è lui".
"Giusto. Ma anche quell'altro. Cambiano solo le annate".
Fresco, sapido e floreale, secco come il vento carico di salsedine che batte le vigne del nord dell'Isola e ricco delle dolceamare sfumature mediterranee che gli regalano un carattere inconfondibile. Peccato per la pessima grafica dell'etichetta ma pace. Avevamo trovato il nostro Vermentino.
continua...