lunedì 29 dicembre 2014

Sorprendente metodo classico bergamasco

La Franciacorta è poco più a sud-est, distante una ventina di km, ed è tutta bresciana. Qui siamo prima del lago di Iseo, a Cenate Sotto, in piena terra bergamasca. Eppure questo pluripremiato spumante metodo classico dimostra un caratterino degno dei più pregiati cugini bresciani Docg.


Brut Metodo Classico 2010 "Ripa di Luna" - az. agr. Caminella
A lavorare per il pubblico a Pavia sotto le feste si finisce per fare incetta di bollicine dell'Oltrepo che, per esser buoni, il mio gusto giudica spesso indegne per il palato e lo stomaco umani. Fortuna che, alle volte, arriva anche qualcosa di buono da altrove.
E' il caso di questo metodo classico che l'azienda Caminella produce in quel territorio calcareo pedemontano nei pressi di Cenate Sotto, quei "Sas de la luna" esposti al sole e asciugati spesso dal vento tiepido e secco che soffia dalle Orobie poco più a nord, il Fohn.
Figlio dell'annata favorevole del 2010, è il frutto di una cuvée tra chardonnay (90%) con quel tocco di pinot nero a dare ulteriore struttura e complessità al vino.
Colore giallo paglierino cristallino, ha bollicine finissime e persistenti e un naso vivo e accattivante che invita subito all'assaggio. Le note fragranti di lievito sono sospinte da un agrume spumeggiante, dall'aroma della frutta esotica matura e da una mineralità che, per il gusto personale, è il vero punto di forza di questo metodo classico di ottima finezza e complessità. L'assaggio è accattivante e di carattere, freschissimo e sapido, con note lievi di pasticceria che arricchiscono senza appesantire, e un finale di agrume maturo che invita a portare di nuovo il calice alle labbra. Uno spumante davvero ben fatto, che ho abbinato a Natale con vari antipasti di pesce, come il salmone affumicato con i riccioli di burro, o le cappesante in foto con le quali si è sposato a meraviglia. Sconsigliato sui salumi troppo saporiti per via della sospinta acidità e sapidità del vino che farebbe a gomitate con il sale e le spezie di certi affettati. Consigliatissimo invece con un Prosciutto di Parma o di San Daniele, con dei crostini con il fegato d'oca oppure a fine pasto con un bel pezzetto di Parmigiano stagionato almeno 24 mesi.
Voto: 90

venerdì 21 novembre 2014

Fay una sera a Bergamo alta

Bergamo, come tutte le città con una doppia anima data dalla dicotomia storica ed estetica tra un nucleo "alto" e uno, più moderno, "basso", è un capoluogo dalle mille sorprese, spesso celate dietro l'angolo di un vicoletto come tanti.
E' il caso della Trattoria Le Tre Torri, posta in città alta nella graziosissima Piazza Mercato del Fieno, che propone un menu tipico bergamasco molto amato, cosa fondamentale, non solo dai forestieri ma soprattutto dai bergamaschi, popolazione molto godereccia soprattutto dal punto di vista culinario.
Oltre a proporre un menu a base di piatti forti come i classici casoncei, stinchi di maiale e brasati con i funghi e l'immancabile polenta taragna, questa trattoria ha anche una carta di vini ristretta ma ben congegnata. L'ultima volta che ci siamo stati abbiamo puntato su un nebbiolo valtellinese "sui generis", il Sassella di Fay.


Sandro Fay - Valtellina Superiore Docg Sassella 2011
Un valtellinese particolare perché, in Sassella e Valgella, dove il sig. Fay e suo figlio Marco, enologo appassionato della Borgogna, hanno i loro vigneti, il loro nome è legato alla ricerca di rossi più delicati ed eleganti rispetto ad altri conterranei più muscolosi e ruvidi. Impressione confermata anche da questo Sassella che ci ha fatto compagnia dai casoncelli con il guanciale saltato, fino al coniglio arrosto con polenta e funghi porcini.
Colore rosso rubino scarico con sfumature arancio e di bella consistenza, profumi di piccoli frutti rossi, viole, tabacco e sottobosco. In bocca è caldo e armonioso, con un tannino pienamente maturo che invita alla beva. Non eccezionale la persistenza anche perché comunque non ci troviamo di fronte al "Glicine", Sassella di punta dell'azienda, bensì al prodotto base, ma comunque un vino ben fatto, piacevole e perfetto con un menu di questo tipo. Con altre portate tipo "cervo in salmì" sarebbe certamente consigliabile salire di struttura. Voto: 84

lunedì 17 novembre 2014

Pizzoccheri e bollicine da rivedere

Da qualche anno uno degli abbinamenti enogastronomici più riusciti e in voga presso le serate di degustazione invernali proposte da vari ristoranti lombardi, accosta la cassoeula, tipico piatto della tradizione brianzola a base di carne di maiale e verze, allo Champagne. Del resto la finissima effervescenza e la freschezza del re degli spumanti ben si prestano ad esaltare la tendenza dolce di questo piatto robusto e popolare.
E allora perché non provare a proporre un altro abbinamento simile, mettendo tra noi e la bottiglia di metodo champenois un bel piatto di pizzoccheri valtellinesi?

Per l'occasione abbiamo scelto però il re degli spumanti italiaci, il Franciacorta Docg, precisamente l'Extra brut de La Montina, acquistato direttamente in cantina non più di un mese fa. Vediamo com'è andata.

Franciacorta Docg Extra Brut La Montina
Non male, decisamente non male. La freschezza e la ricca effervescenza di questo spumante prodotto a Monticelli Brusati nella tenuta storicamente di proprietà della famiglia Montini, che ha dato i natali al Papa Paolo VI fresco di beatificazione, ben si presta ad esaltare la tendenza dolce data dalla pasta del pizzocchero ma soprattutto dalle patate e dal formaggio. Così come i vivaci profumi agrumati e di crosta di pane valorizzano gli aromi del piatto, molto profumato. In realtà però questo pizzocchero non è venuto per la verità granché, perché troppo ricco di acqua di cottura e di formaggio latteria molto fresco che insieme hanno dato al piatto una succulenza eccessiva. Di conseguenza si è avvertita netta la mancanza della componente tannica ed alcolica, capace di fare a spallate alla pari con la robustezza del pizzocchero. Insomma, va bene l'esperimento ma un buon rosso ruvido valtellinese sarebbe stato ancora la soluzione canonica più consigliata per questo piatto. Anche se l'accostamento Extra Brut - pizzocchero è stato tutt'affatto sgradevole, anzi. Ma contro burro e  formaggio fuso ci vuole altro che questo pur buon Franciacorta.

martedì 11 novembre 2014

Trattoria rara a Pavia


La cosa curiosa è che,fino a dieci minuti prima di capitarci x caso davanti,si stava discutendo sull'assoluta mancanza a Pavia di una genuina e onesta trattoria-osteria, quando, inaspettatamente, ci siamo ritrovati davanti all'insegna de L'angolo di casa, in Piazza XXIV Maggio, 1.
Lontana dallo squallido struscio, posta in una piazzetta a un crocevia dei vicoli che dal Ticino - e dai parcheggi - salgono nel centro storico, questo locale unisce splendidamente quella sobrietà e quel calore tipico dei locali di una volta, a una gestione giovane attenta ai particolari come una cucina casereccia genuina, la musica soffusa e piacevole e una scelta dei vini fatta con criteri precisi. Certo, su alcune cose si può ancora migliorare, per esempio sulla doratura dello gnocco fritto e sulla scelta dei salumi da accompagnarvi, dando più spazio a prosciutto e culatello sacrificando la meno nobile mortadella, ma se non altro il rapporto qualità prezzo è super competitivo in una città dai locali pretenziosi quale è Pavia. Ottimi i ravioli di brasato e i dolci fatti in casa. E il vino? Onorando l'abbinamento territoriale abbiamo optato per un autoctono pavese, quell'uva rara che, unita alla croatina e alla barbera, rientra in percentuali minori nell'uvaggio della Bonarda e che, in purezza, non avevo mai assaggiato prima.

Provincia di Pavia Igt Pietro Torti Uva Rara 2013
Colore rosso violaceo molto scuro e denso, di discreta consistenza, al naso si presenta con un intenso aroma di viole e piccoli frutti rossi su un tessuto speziatissimo e selvatico. Un bouquet che è la nota distintiva dei rustici rossi della zona, e che è gradevolissima se ben equilibrata, come in questo caso. In bocca ha un frutto di eccellente freschezza che invita alla beva e aiuta a gustare meglio tutto ciò che la tradizione padana può offrirci a tavola, a partire dai salumi ai quali si accompagna bene anche per la not speziata, passando per tortelli e tortellini per arrivare, chi ce lo vieta, anche a qualche bollito misto. Davvero un ottimo vino tipico e rispettoso del terroir.

lunedì 10 novembre 2014

Cimice didattica

Curioso, che proprio quest'anno climaticamente strano anche per la scarsa presenza delle consuete cimici che sono solite intrufolarsi nelle nostre abitazioni attraverso il bucato steso e ritirato, è capitato di portare in tavola un vero e proprio succo di cimice.
Il cavallo di Troia è stato un Pinot Nero dell'Oltrepo, che mi è stato regalato e presentato come vero succo d'uva...

Ora, estimatori e detrattori a parte dell'espressione pavese di quell'uva scontrosa e volubile che è il pinot nero, interessa in questa circostanza prendere nota di uno dei più didattici difetti del vino di cui si parla nei corsi di degustazione, e che tuttavia, per fortuna, non è così come frequente come la classica "puzza di tappo" o di "straccio bagnato".


Difetto di fermentazione
Come possiamo facilmente leggere su internet, la colpa di questa terribile sensazione olfattiva è dovuta a un ceppo di alcoli superiori che si sviluppano durante la fermentazione, riconducibili a una sorta di sensazioni "erbacee distorte" che ricordano in maniera inequivocabile, appunto, la puzza delle cimici quando vengono schiacciate.
Il problema è che questo Pinot Nero pavese all'inizio si è presentato nel bicchiere con una bella effervescenza accompagnata da degli odori "confusi" ma per nulla sgradevoli. Se non fosse che, svanita dopo qualche attimo l'effervescenza iniziale, ha cominciato subito ad emanare il vomitevole difetto. Niente, cena rovinata, bottiglia nel lavandino. Pinot nero pavese rimandato a settembre dell'anno prossimo, quando le cimici, si spera, svaniranno dal vino e torneranno nell'atmosfera. 

martedì 12 agosto 2014

Weingut Hanka, ospitalità renana

Il nostro breve tour nel Rheingau (vedi post precedente) è incominciato dal celeberrimo Kloster Eberbach, monastero benedettino al cui interno sono state girate le scene del film Il nome della rosa, al quale però dedicherò il prossimo post. Faccio quindi un salto avanti di una giornata e andiamo a Johannisberg, considerato da molti il territorio più vocato per il Riesling renano e località nel comune di Geisenheim, che ospita una delle più importanti scuole di enologia del mondo. Nota anch'essa per l'omonimo monastero da dove mosse i primi passi la viticoltura renana dopo l'input iniziale dato dai romani, Johannisberg è una piccola frazione di mezza collina, dove domina lo "Schloss", il castello, che si sviluppò dall'antico monastero. Qui, per caso, nel corso del 1700 nacque l'abitudine di vinificare le uve intaccate dalla muffa nobile, che danno quel tratto dolce così caratteristico dei vini renani, dagli "spatlese" ai vari "auslese".
Oggi il castello, che ancora offre il nome alle etichette dell'omonima casa vinicola, è sede di importanti eventi e conferenze. Noi siamo invece ridiscesi un pochino verso la strada principale e abbiamo fatto visita alla famiglia degli Hanka, il cui stile, in quanto ad ospitalità e capacità enologica, è quanto di meglio l'enonauta possa chiedere ai propri viaggi.


La presentazione dell'azienda ve la lascio leggere sul sito internet o sul profilo facebook, qui andiamo subito alla sostanza. Prima di tutto, rispetto ad altre zone d'Italia assai meno blasonate o alla super celebrata Borgogna, stupiscono la semplicità e la cordialità da parte di una famiglia che apre la porta di casa a due giovanotti la cui competenza potrebbe essere misera quanto la disponibilità economica. Invece Sigrid Hanka e suo figlio Sebastian, enologo, ci fanno accomodare a un tavolino e ci fanno assaggiare a nostro piacimento tutto ciò che indichiamo loro sulla lista della loro produzione. Proviamo un Riesling Trocken, uno Spatlese Feinherb, un Kabinett e un Auslese. Per pudore - e tasso alcolico ormai sopra i livelli di guardia - evitiamo di continuare la nostra "messa all'indice" verso i più impegnativi e costosi Beerenauslese e TBA. Ma siamo sicuri che i due non avrebbero fatto una grinza e avrebbero seguitato a servirci quanto richiesto.
C'è da dire, a onor del vero, che sarebbe stato alquanto strano se due italiani - mosche rare, a queste latitudini - saliti in macchina sin lassù per scoprire i gioielli di questa zona vinicola avrebbero bevuto senza caricarsi nulla nel bagagliaio. Ma tant'è. Viva l'ospitalità renana.

Geisenheimer Klauserweg Riesling Spatlese Feinherb 2013
I Riesling.. beh, che dire? Nulla al confronto con i Riesling didattici tutto "frutto ed elasticone" serviti durante le costose serate di degustazione in Italia. Questi sono vini eleganti, dove la componente aromatica e fruttata del riesling si incontra alla perfezione con le componenti minerali del terreno, e dove la nota dolce si sposa meravigliosamente con una freschezza che spinge la beva sempre un gradino più in là.
Personalmente io amo i Riesling più secchi, ma la freschezza e l'eleganza dei "botritizzati" manda a carte all'aria tutta la nostra scala di dolcezze a cui siamo abituati.
Alla fine ho comprato quattro Pradikat "feinherb" (amabili) e due Pradikat Riesling "3 Generationen", tutti del 2013, e due mezze bottiglie di Auslese del 2005. Di volta in volta dedicherò loro un post a parte.
Domenica ho "sacrificato" uno dei feinherb vendemmia tardiva per uno dei miei ricorrenti piatti estivi, un risotto con il pesce persico.
Davvero eccellente. Un vino profumato - il riesling è un'uva semi-aromatica - accanto a un piatto profumato è già un ottimo preambolo per un buon abbinamento. Che si esalta tra reciproche dolcezze vivacizzate dall'ottima acidità del vino e dalla sua importante struttura. Il finale stenta a venire e lascia in bocca un dolce ricordo che allontana e rimanda "a dopo" il rituale caffé.

lunedì 4 agosto 2014

Alla scoperta del Rheingau, culla del Riesling renano

Una sconfinata distesa di vigneti di colore verde tenue. E' questa la prima cosa che balza all'occhio percorrendo da est a ovest la strada a veloce scorrimento che collega la ricca città termale di Wiesbaden, porta della regione del Rheingau, e la piega che il Reno fa verso nord nei pressi del villaggio fluviale di Rudesheim, da dove parte la funivia che sale al belvedere del monumento del Niederwald (vedi foto), ricordo di uno dei tanti allori militari prussiani. A nord lo scudo naturale delle pendici del monte Taunus, a sud il bacino fluviale che in questo tratto si allarga fino a raggiungere un'ampiezza di 400 metri. Quasi un lago, color marrone e verde e torbido, dove le lunghe chiatte dell'industria fluviale renana si incrociano continuamente con i battelli turistici, e dove il sole riflette i propri raggi donando alla zona un microclima talmente dolce da essere accostato a quello mediterraneo.
La vegetazione è rigogliosa e i paesi con le tipiche case colorate in legno e cemento, con i tetti spioventi, sono dei giardini fioriti. Rose, principalmente, di ogni varietà e colore. E poi alisso, bocche di leone, begonie e girasoli, ed erbe aromatiche.
I terreni, in questa striscia collinare lunga poco più di 30 km, presentano una tale varietà di composizioni da permettere al riesling, che qui domina incontrastato i filari con quasi l'80% di presenza, di dare vita a un ventaglio di espressioni vinicole davvero entusiasmanti, favorito anche dalle diverse declinazioni sviluppate dalla tradizione vinicola locale.
Si va dalle versioni assolutamente secche e beverine di alcuni Riesling Kabinett "trocken" ("secco", appunto) per raggiungere le vette di complessità dei vari auslese botritizzati.
I suoli del Rheingau sono composti da scisti argillosi, quarzite, fillite, sedimenti del terziario e dal loess, la
polvere dell'era glaciale. Quest'ultimo, presente un po' ovunque, è alla base della delicatezza e della freschezza fruttata dei Riesling, così come la quarzite regala maggiore struttura ai Riesling della collina di Rüdesheim, e la marna argillosa a fondo valle rende la collina di Hochheim un'énclave per la produzione di eccezionali Pinot Nero che davvero poco hanno da invidiare ai grandi della cote de nuits.
Ma andiamo con ordine. Il viaggio inizia alla stazioncina di Walluf, direzione Kloster Eberbach, monumento monastico,cinematografico e, soprattutto, vinicolo. continua...

venerdì 21 marzo 2014

Epifanie primaverili a Castel Grumello

Ci sono dei momenti in cui si è talmente assorti nelle proprie faccende lavorative che si finisce per perdere il contatto con la realtà. Ma basta poco, anche solo una gocciolina d'acqua caduta da un pergolato apparentemente rinsecchito, per smontare in un millisecondo il castello di carte sopra cui siamo saliti e  riportarci con i piedi per terra a ricordarci chi siamo e da dove veniamo.
Peccato che queste joyciane epifanie capitino di rado. Ebbene, una mi è piovuta nel piatto qualche giorno fa, durante un assolato pranzo di lavoro a Sondrio, in verità un duecento metri sopra il capoluogo valtellinese, precisamente sotto un berceau del ristoro sospeso tra le vigne di Nino Negri e il panoramico Castel Grumello, di proprietà del FAI.
A maniche di camicia rimboccate sotto un sole già cocente a metà marzo, si parlava di mutui, di politica e società con due pezzi grossi della Banca popolare di Sondrio, quando una gocciolina è caduta sul telefonino appoggiato sulla tavola. Poi un'altra sul coltello e un'altra ancora sulla testa. Preoccupato dello scherzo di qualche passero in volo radente sopra la torre diroccata del castello, alzo lo sguardo strizzando gli occhi al sole e mi accorgo che, invece, sono protagonista del fenomeno più commovente per un viticoltore: il pianto della vite.
La linfa che dalle radici ricomincia a pulsare nella pianta finisce per trovare sfogo nei tagli delle potature più recenti. E' la più preziosa testimonianza dell'eterna rinascita della natura, che fa da contrasto con un corpo ancora secco e apparentemente privo di vita.

Per brindare a un simile evento in compagnia dei tradizionali kiscioeul, le frittelline di grano saraceno ripiene di Casera (varianti locali degli sciatt del fondovalle), e di una tagliata di manzo da tagliarsi con lo sguardo, abbiamo scelto il vino più territoriale possibile, perché proveniente dai vigneti terrazzati poco sotto di noi, sulla collina rocciosa del Sassorosso.

Valtellina Superiore Docg "Sassorosso" 2009 A.Pelizzatti
Da uve chiavennasca, locale varietà del nebbiolo, questa etichetta entrata a far parte negli anni Ottanta della grande famiglia vinicola di Nino Negri e del GIV, è un grandioso rappresentante del "cru" del Grumello, uno dei 5 supervaltellinesi insieme al Sassella, all'Inferno, al Maroggia e al Valgella. Colore rosso granato scarico, ha profumo etereo di piccoli frutti rossi e di viole appassite, accompagnati da un coro di note speziate dolciamare di cannella, tabacco e cacao. In bocca è caldo e armonioso, asciutto e di ottima acidità, sapido e con una persistenza che, sorso dopo sorso, tiene il ritmo delle goccioline che seguitano a cadere, rare e leggere, sulla tavola.
Un vino territoriale buono e commovente, da non lasciarne sul fondo della bottiglia nemmeno una lacrima.
Voto: 88.

venerdì 3 gennaio 2014

Una punzecchiatura per Bastianich

Star della ristorazione mondiale, produttore di vini, superstar della trasmissione Masterchef e musicista rock nei - pochi - ritagli di tempo. Non li avevo ancora provati, i vini di Joe Bastianich, eclettico 45enne italoamericano con la passione per la buona tavola, i cani e la musica rock. Dopo averlo sfiorato nell'estate del 2010 quando per mie vicissitudini personali ho dovuto declinare la proposta di andare ad intervistarlo a Milano in occasione dei primi ciak della serie d'esordio di Masterchef Italia, dopo averlo sbeffeggiato, 3 giugno 2013, da una transenna di San Siro dove il buon Joe si era infilato di sfroso per assistere cocktail in mano al concerto di Springsteen prima di essere allontanato dalla security ("Joe, che dilusione!"), finalmente ci siamo incontrati.
Enologicamente, intendo.

Venezia Giulia Igt "Vespa Rosso" 2010, Bastianich Winery
Questo bel rosso "da arrosti" nasce da un mélange di uve merlot, refosco, cabernet sauvignon e cabernet franc, coltivate nei vigneti di Buttrio e Premariacco, sui Colli Orientali del Friuli una ventina di km a est da Udine. In tutto l'azienda Bastianich, fondata nel 1997, è costituita da 35 ettari di vigneto. I vigneti del Vespa Rosso beneficiano del calore proveniente dal mare e si trovano in un territorio ideale per la produzione di vini corposi e strutturati. Ecco l'annata 2010, gustata in queste festività per accompagnare un'anatra all'arancia.
Colore rosso rubino scuro, limpido e consistente, al naso rivela una buona complessità olfattiva di discreta finezza. Frutti rossi maturi e sottobosco, spezie e una pennellata erbacea tipica delle uve e del territorio, conditi da un sentore di legno dolce. Sensazioni che tornano in bocca in una struttura calda e morbida, di discreta acidità e persistenza. Pregevoli le note fruttate e speziate, personalmente odio la percezione decisa del legno d'affinamento, non perfettamente integrata nel vino. L'invecchiamento nei tonneaux e il successivo passaggio in barriques si fa un po' troppo sentire. L'impressione finale è quella di un buon prodotto fatto anche bene ma ancora incapace di emozionare. Un vino ambizioso le cui vere radici, forse, non sono nel Friuli degli avi di Bastianich ma in quel gusto americano un po' omologato che non rende piena giustizia a un terroir straordinario. Con un prezzo, 30 euro cca in enoteca, altrettanto poco italiano e molto da turista born in the Usa.
Voto: 82.