giovedì 29 gennaio 2009

Dal Roero appassionatamente


A sentire accostare il suo nome alla viticoltura piemontese di qualità verrebbe da immaginarselo come un anziano viticoltore a spasso per le vigne nebbiose del Roero a bordo del suo trattorino con tanto di cani al seguito. Invece no. Di quell'Enrico Serafino che nel 1891 fondò a Canale (Cn) la sua omonima cantina, è da tempo rimasto solo il marchio di una rinomata azienda langarola che dal 2004 è entrata a far parte del Gruppo Campari.
Resta, l'aspetto poetico, nella bellissima sede storica a Canale e nell'incantevole dolcezza del paesaggio che disegna anche questa parte di Langhe alla sinistra del fiume Tanaro. Quella per intenderci, sulla sponda opposta rispetto ad Alba, Barolo e Barbaresco, i feudi dell'eccellenza del nebbiolo.
Ciò non toglie che questa uva straordinaria possa dare grandiosi risultati anche qua, nel Roero. Domenica scorsa mi è capitato, per esempio, di stappare una bottiglia di "Pasiunà", il Roero Docg "Cantina Maestra", la linea di punta della Enrico Serafino.

Roero Docg Pasiunà 2005 Enrico Serafino
In piemontese "pasiunà" significa appassionato, fatto con passione. Parola che ben si addice a questo Roero 100% nebbiolo, dal colore granato limpido con caratteristica unghia aranciata e bella consistenza. Intenso, complesso e fine al naso, seduce con una ricchezza di sensazioni che rimandano alla frutta rossa sotto spirito, alla marmellata di prugne, ai fiori secchi, al tabacco, alle spezie dolci, alle caramelle balsamiche, per finire con quel tocco di "tartufato" molto tipico e gradevole. In bocca è robusto, morbido, di bella freschezza e sapidità, con un tannino elegante che provoca una gustosa sensazione di astringenza. Ottimo il ritorno delle sensazioni avute al naso, bella la persistenza fruttata, non infinita ma comunque ottima per portarsi via gli aromi dell'ultimo boccone. Magari di un gorgonzola dolce, di un Parmigiano 24-36 mesi oppure di un pecorino di media stagionatura.
Decisamente appetibile anche il prezzo, visto che con 18 euro è difficile trovare in enoteca un nebbiolo migliore di questo "appassionato" piemontese. (foto sotto: il fiume Tanaro e, in fondo, il territorio del Roero, visti dal castello di Barbaresco)
Nicola Taffuri

sabato 24 gennaio 2009

Alla faccia del "prosecchino"

L'altro ieri sono andato a fare un giro per le agenzie interinali alla ricerca di un qualsiasi lavoro che possa rendere meno penoso l'inesorabile assottigliamento del mio conto in banca. Missione, per il momento, fallita. A differenza di una decina di anni fa quando, ai tempi dell'università, un giorno sì e un altro pure mi telefonava la cooperativa per la quale lavoravo saltuariamente, offrendomi manovalanze di ogni tipo nelle industrie della zona, al giorno d'oggi non è mica scontato riuscire a faticare nemmeno come operaio semplice. Anzi.
Sconsolato, ho deciso di andare a cercare commiserazione presso il mio caro professore di italiano delle medie e pure del liceo (!). Sapendo che mi diletto da tempo di vini, il mitico prof. mi ha accolto annunciandomi "dammi tempo 10 minuti che ho appena messo un prosecchino in frigo". Erano quasi le 18, orario perfetto per l'aperitivo.
Sul grande tavolo dove il caro amico ormai in pensione continua a svolgere privatamente il suo ruolo di maestro di vita per le nuove generazioni, incastrato tra vocabolari di latino, appunti sparsi, ritagli di articoli di giornale e il libro di Stefano Rodotà "Perché Laico", c'era bell'e pronto un vassoio con olive, pistacchi, salatini e patatine.
"Ok, ora dovrebbe essere fresco, vado a prendere la bottiglia".
Dopo qualche secondo riappare tenendo tra le dita due flûtes e nell'altra mano l'inconfondibile silohuette della Cuvée Prestige di Cà del Bosco.
"Scusa, eh, ma sarebbe questo il tuo "prosecchino"?"
"eh, va beh, me l'ha regalata una ragazza che viene a fare lezioni"
"ho capito, ma questa è una bottiglia di lusso, è un peccato aprirla ora"
"taci e stappa"
"ok, prof."


Franciacorta Docg Brut Cuvée Prestige Cà del Bosco
Il raffinatissimo packaging che avvolge l'ultimo nato dell'azienda di Erbusco vuole forse strizzare l'occhio al mitico Champagne Cristal di Roederer. E qui chiudo le analogie con le leggendarie bollicine francesi.
Frutto dell'assemblaggio di vini da uve chardonnay (75%), pinot nero (15%) e pinot bianco (10%), questo Metodo Classico ha spuma ricca e perlage fine e persistente. Come colore siamo sul paglierino con riflessi verdolini. Al naso spiccano le sensazioni fruttate di agrumi e pesca gialla, accompagnati da altre note minerali e dal profumo dei lieviti della rifermentazione che danno l'inconfondibile aroma di pane appena sfornato. In bocca è cremoso, fresco, di ottima acidità e pregevole complessità aromatica. Non ha una grandissima persistenza ma stuzzica davvero il palato e invoglia a berne ancora e ancora. Magari non con le patatine, meglio con gli antipasti e primi piatti con salmone, oppure con i gamberi e altri crostacei. In enoteca costa intorno ai 25 €, poco per un Franciacorta perfetto da regalare ma anche da bere! Alla nostra, prof.
Nicola Taffuri

lunedì 19 gennaio 2009

Un rosso rotondo? Quello di Cà del Bosco, per esempio

In questo continuo impazzare di rubriche giornalistiche dedicate al mondo del vino c'è uno stucchevole (oddio, eccone qui uno!) abuso di sostantivi e aggettivi inflazionati che oramai il nostro cervello non registra più. Come con i profumi, anche con le parole è alto il rischio di assuefazione. E il passo verso la noia, prima, il rigetto, poi, è davvero breve. Ieri sera, per esempio, una mia amica mi prendeva amabilmente per i fondelli perché avevo definito "rotondo", il vino rosso con cui stavo pasteggiando. Fateci caso. Non c'è vino che qualsiasi sedicente esperto ci consigli che non sia "rotondo". Beh? E che mi sta a significare? Scivoloso? Morbidoso? Roteante? Premesso che un grande vino non deve essere necessariamente rotondo ma, a mio giudizio, deve farsi notare per personalità (no, ne ho detta un'altra!), ecco come ho cercato di spiegare il concetto alla mia amica, alle prese con una forsennata roteazione di uno Chardonnay barricato.
Un vino è rotondo quando nessuna delle componenti del gusto prevarica sulle altre. Ovvero quando l'acidità, la sapidità, l'astringenza amarognola del tannino (solo x i rossi), le parti alcoliche e quelle dolci sono in equilibrio reciproco. Uno degli esempi più in voga in ambito giornalistico è quello musicale del coro o dell'orchestra dal suono armonico e melodioso. Io che ho la fissa per il rock e il Boss potrei dirvi: ascoltatevi Born to run, No surrender, Hungry Heart e avrete un esempio del concetto di "rotondità"! Ascoltatevi un pezzo dei Rage against the machine o dei White Stripes e avrete un esempio, invece, di "spigolosità". Rotondità e spigolosità, termini contrapposti che tuttavia non hanno necessariamente una connotazione positiva o negativa. Questione di gusti.

La degustazione
Il vino che ho assaggiato ieri, senza voler ambire alla stoffa del campione, vanta comunque evidenti caratteristiche di rotondità. Si tratta del Curtefranca Doc Rosso 2002 di Cà del Bosco. Maurizio Zanella, presidente della maison spumantistica di Erbusco, e il suo enologo Stefano Capelli lo fanno con una miscela di merlot, cabernet franc, cabernet sauvignon, nebbiolo, barbera. Uve che danno, ciascuna, un personale contributo all'ottima fattura di questo vino. Colore rosso granato scuro, profumi intensi ed eleganti di frutta rossa, spezie ed erbe aromatiche, quando entra in bocca ci riporta delicatamente alle sensazioni avute al naso, tenendo ben salde le redini di tutte le componenti del gusto. Si lascia bere con un piacere e una facilità tali che il secondo calice è automatico. Soprattutto se ci troviamo di fronte, come nel mio caso, a un ricco tagliere di salumi e formaggi misti. Costo in enoteca, circa 13 euro.
Nicola Taffuri

mercoledì 14 gennaio 2009

Ultimi Raggi ricordando Marco

Dal 2002 è sempre un vendemmia tardiva ma è entrato nella denominazione Valtellina Superiore Docg Sassella. Fino al 2001 è stato invece un Terrazze Retiche di Sondrio Igt, nebbiolo in purezza. Io ho avuto il grande privilegio di assaggiare proprio quell'ultima annata di quello che potremmo tranquillamente definire, facendoci gioco degli amici toscani, un "Supervaltellinian". Anche se, vista la limitata quantità di bottiglie prodotte, l'Ultimi Raggi non ha la competitività internazionale dei blasonati Igt toscani noti come "Supertuscan" (vedi il Fontalloro della Fattoria di Felsina, il Tignanello dei Marchesi Antinori, il Suolo di Argiano, l’Acciaiolo del Castello d’Albola e via dicendo).
Il produttore di questo superbo valtellinese è la famiglia Pelizzatti Perego (Ar.Pe.Pe.), profondi conoscitori del nebbiolo e vignaioli senza compromessi. I loro vini lasciano la cantina quando sono davvero pronti, il mercato può aspettare. Si fanno attendere, come gli ospiti più importanti, ma quando arrivano prendono la parola e non ce n'è più per nessuno.

La degustazione presso l'Agriturismo Il Ronco, Garlate (Lc), 0341.682523
Attenzione quando lo stappiamo. Il tappo è lungo e per metà ben intriso di vino, quindi se non andiamo fino in fondo con la vite rischiamo di romperlo.
Ve lo dico perché a me è successo e mi sono sentito un po' un pirla, per dirla alla Mourinho.
Per favorire una giusta ossigenazione abbiamo usato un décanter, nel timore, rivelatosi poi inutile, che ci potesse essere del deposito sul fondo della bottiglia.
Colore granato, scuro e consistente. Profumi ampi ed eleganti, ricchi di magnifici sentori di more e ribes, ciliege sotto spirito, viole appassite e rosa canina, accompagnati da deliziose note di tabacco, pepe nero e humus.
In bocca è morbido, caldo ed avvolgente, è sapido, ha ancora una buona acidità e un'elegantissima componente tannica. Le sensazioni avute al naso trionfano in un corpo da fuoriclasse e continuano a deliziare a lungo il palato.
A mio avviso questo vino se la gioca alla grande con i migliori Sforzati, guadagnandoci qualcosa in facilità di beva grazie ai suoi 13,5 gradi alcolici. Giusti per un vendemmia tardiva, pochi per un passito quale è lo Sforzato.
Noi lo abbiamo accompagnato a un Bitto da capogiro, delle estati 2008 e 2007.
Le forme erano quelle che Marco Donizetti, l'infermiere morto prima di Natale cadendo dalla parete Medale del Monte San Martino (Lecco), era andato a prendere con le sue mani negli alpeggi della Val Gerola, cuore della zona di produzione. Io non l'ho conosciuto, ma sono sicuro che un ragazzo 34enne con moglie, figlia e un grande amore per la montagna, la natura e il "fare caciara" attorno a una tavola non poteva che essere una persona speciale.
Nicola Taffuri

domenica 11 gennaio 2009

Italici luoghi comuni

Ieri sera sono andato con un'amica in una pizzeria in Brianza. Bel posto, uno tra i più gettonati della zona, servizio cortese e puntuale, pizze impeccabili. Per gli standard lecchesi, s'intende.
Dopo aver faticato un buon quarto d'ora per convincere la mia compagna di tavola che il vino non è più "cosa da vecchi" - ebbene sì, molti giovani la pensano ancora così! - all'uscita mi è toccato alzare nuovamente gli scudi in favore del vino italiano proprio con il gestore del locale. Tipo simpatico ma, in quanto astemio, persona decisamente poco lucida. Irrimediabilmente convinto che la figura del sommelier con tanto di tasse-de-vin appeso al collo sia qualcosa di superfluo che solo i ristoranti cinquestellati si possono permettere.
Ma dico io, possibile che ci sia gente del settore che crede ancora che ogni sommelier è come il Paolo Lauciani nosioso e ingessato dell'altrettanto noiosa e ingessata rubrica del Tg5 "Gusto"? Un sommelier bravo, capace e cordiale può benissimo lasciare palandrana e tasse-de-vin a casa e presentarsi al nostro tavolo con tanto di maniche rimboccate e grembiule macchiato di sugo. Allargare le braccia con aria profetica e rivelarci, a voce bassa: "Ditemi cosa desiderate e lasciate fare a me, ci penso io a farvi godere". Senza buttarla necessariamente sull'"hard" o sul "trash", la competenza del sommelier, inteso come esperto di vini e abbinamenti, è fondamentale per qualsiasi ristorante, agriturismo e trattoria di buon livello. Un po' meno per quegli strani ibridi che sono i ristoranti-pizzerie. Lì può essere sufficiente anche la simpatia di un oste astemio.
Nicola Taffuri

martedì 6 gennaio 2009

Ottimo rosso della Linguadoca

Bottiglia ammaccata e svenevole che avrebbe ispirato Salvador Dalì, etichetta anticata in stile piratesco. Non c'è che dire: il J.P.Chenet non passa certo inosservato e strizza abilmente l'occhio a tutti coloro che, con sguardo avido, vagano scannerizzando gli scaffali del supermercato alla perenne ricerca di qualcosa di nuovo.
Se poi, come nel caso di questo rosso francese, la curiosità può essere soddisfatta con meno di 5 euro, come non riporne immediatamente un paio di bottiglie nel carrello?

J.P.Chenet Cabernet-Syrah 2007 - Vin de Pays D'Oc
Innanzitutto una precisazione per coloro che non hanno dimestichezza con le denominazioni d'Oltralpe. In Francia i Vin de Pays corrispondono agli italici Igt. Quella specifica "D'Oc" indica la provenienza geografica dalla regione del Languedoc Roussillon. Nulla c'entra, quindi, con le Doc nostrane!
Frutto dell'unione delle uve cabernet sauvignon e syrah, questo vino ha colore rosso rubino con violacei riflessi giovanili e buona consistenza.
I profumi sono intensi, fini e caratterizzati da aromi di frutta fresca come le ciliege e le fragole, seguite da lievi note di erbe aromatiche e dolci speziature di liquerizia. In bocca è corposo, secco e morbido, è fresco e sapido, di rotondo tannino. Ottimo il riscontro gusto-olfattivo e pregevole la persistenza di frutta rossa. Per apprezzarlo meglio non serviamolo sopra i 16 gradi, perché le note dolci potrebbero appesantire il piacere della beva. Io l'ho provato con delle tagliatelle al ragù e con del pecorino sardo di media stagionatura. Davvero eccellente. Finalmente, dopo aver assaggiato Borgogna e Bordeaux tanto cari quanto deludenti, posso dire anch'io, per una volta, "Vive la France!".
Nicola Taffuri

venerdì 2 gennaio 2009

Brindisi australiani, tra pandoro e carne di canguro

*foto presa dal sito del Sydney Morning Herald) Riporto il racconto della mia cara ex collega Arianna, da poco trasferitasi a Sydney assieme al marito. Un ultimo dell'anno speciale, che hanno passato sdraiati su un prato a guardare i fuochi d'artificio sopra l'Opera House e l'Harbour Bridge, nella baia di Sydney. Brindando con ottimi vini. Australiani, naturalmente.
"HAPPY NEW YEAR! Prima di tutto, mi chiedevi cosa abbiamo bevuto col canguro. ;-) Allora, il negozietto sotto casa propina per lo più syrah, cabernet o i due uniti insieme. Quindi, andando del tutto a sentimento, abbiamo provato un Cabernet Sauvignon 2005 della Wyndham Estate che sta proprio in quella Hunter Valley di cui mi accennavi. Non ti so dare le specifiche, of course, ma ti devo dire che ci è piaciuto assai... Mi è sembrato morbido e "ruffiano", ma lo dico solo perché a me, di solito, il Cabernet non piace per niente...invece questo l'ho proprio apprezzato, quindi doveva essere una versione per ignoranti del genere ;-)
Per Capodanno, invece, ci siamo buttati su uno spumante Brut Cuvée della Barossa Valley, il Jackob's Creek. L'etichetta ci tiene a sottolineare che si tratta di un "bottle fermented". Anche in questo caso, io non amo per nulla i brut e invece la bottiglietta si è difesa tanto che ce la siamo bevuta sia insieme a uno spaghetto alla marinara (dove la parte marinara arrivava dalla Thailandia... speriamo in bene! ;-)), sia per il brindisi con una santa fetta di pandoro.
Poi, l'atro vino che abbiamo provato fino ad ora e che ci è piaciuto è lo Chardonnay Rawson's Retreat di Penfolds, che sta nel Sud dell'Australia, dalle parti di Adelaide.
Se mai, per caso, ti capitasse di trovarli e di berli, fammi sapere che te ne pare.
Per quanto riguarda le Blue Mountains, ci siamo stati tre anni fa. Ci sono piaciute, anche perché la loro particolarità è una sottilissima “nebbiolina blu” che avvolge la distesa infinita di piante di eucalipto che copre la zona. Ti dirò che qui ne parlano come se fossero una delle sette meraviglie del mondo. In realtà, se pensi alle nostre Dolomiti… non c’è proprio storia… A confronto sono delle montagnette…
Della Hunter Valley sto leggendo qualcosa ma non ci siamo stati. E’ a un paio di ore di macchina a nord di Sydney, da quel che ho capito. Con i mezzi non è proprio comoda da raggiungere, ma soprattutto da girare… E noi, per il momento, non siamo ancora motorizzati. Ad ogni modo, se ci andrò, ti saprò dire! Tanti auguri ancora e...stay tuned!"

Arianna Lucini