giovedì 30 settembre 2010

Un Montecompatri da "Promised Land"

In questi giorni stavo liberando il cell da una marea di sms che mi avevano intasato la memoria della Sim e mi sono ritrovato questo messaggio salvato nella cartella bozze.
"Virtù Romane, Tenuta Le Quinte, Montecompatri Superiore 2008".
E mi sono ricordato.
Della lunga attesa fuori dall'Olimpico, della voce di Bruce che rimbalzava contro la Monte Monte Mario con un'irriverente eco, della caccia alla band, di Trastevere e di quella bandana in vertina.

A CENA CON LITTLE STEVEN
Domenica 19 luglio 2009, stadio Olimpico di Roma. Prima delle tre tappe italiane del nuovo tour di Bruce Springsteen con la E Street Band, a un solo anno di distanza dal mostruoso Magic Tour. Inizio previsto ore 22, per colpa della concomitanza dei mondiali di nuoto, in scena nell'adiacente villaggio olimpico. Concerto bello ma non epico, per via della lunga snervante attesa e di un'acustica pessima. Ma il Boss come al solito non si risparmia e, tra cavalli di battaglia vecchi e nuovi e ripescaggi a sorpresa, manda in delirio lo stadio.
Tant'è che, sulla scia dell'esaltazione della sera prima, il lunedì lo passiamo a dare la caccia alla band, asserragliata nell'Hotel De Russie, a due passi da piazza del Popolo.
Ed è così che, tra una fugace stretta di mano a Charlie Giordano e una pacca sulla spalla a Max Weimberg, un autista ci fa la soffiata: Bruce e Little Steven andranno a cena in un noto ristorante a Trastevere, dalle parti di Ponte Cestio.
Risultato: dopo aver battuto in lungo e in largo le numerose trattorie e pizzerie del quartiere tiberino, mia sorella ci dà la dritta che aspettavamo:
"Da quella vertina si vede un tipo con la bandana...".
Eccolo. Little Steven. E...Bruce?
L'insegna è quella dell'Osteria La Gensola.
Entriamo e veniamo accompagnati dal cameriere nella saletta interna, osservando di soppiatto la tavolata del chitarrista newyorkese alla ricerca di un suo sguardo e, soprattutto, del suo Boss. Nulla. Little è da solo, con amici. Però, che figata...a cena nello stesso ristorante di Little Steven!

Volevo il Frascati ma...viva il Montecompatri!
La cena è stata ottima, il locale delizioso e il personale molto cordiale.
Altri dettagli, via di uno stupendo spaghetto cacio e pepe e di un'amatriciana da urlo, non li ricordo, tale era lo stato di trance al pensiero che verosimilmente, di lì a poco, avrei conosciuto una leggenda del rock.
Però il nome del vino me lo sono segnato sul telefonino.
Avevo chiesto un Frascati Superiore ma il sommelier, figlio del titolare, è riuscito a rifilarmi un'altra etichetta con la sfacciata spontaneità che solo i romani e i napoletani riescono ad avere.
Però mi è andata bene, perché ho scoperto un grande vino bianco di una denominazione che non avevo ancora assaggiato: Montecompatri Doc Superiore "le Virtù Romane" 2008, Tenuta Le Quinte.
Accattivante blend di tutte le uve bianche tipiche del Lazio, dalla malvasia puntinata, al trebbiano, bellone e bonvino, si presenta al naso con fragranti profumi di pesca, caprifoglio, erba fresca e mandorle, sospinti da un delicato alito etereo molto seducente. Sensazioni che ritornano in bocca inserite in un corpo di grande freschezza e buona struttura, per un vino che invoglia fino all'ultimo sorso e si congeda con un appetitoso retrogusto fruttato e ammandorlato. In enoteca si trova a circa 10 euro, per una gradazione alcolica di 13,5%.
E Little Steven? Beh, addolcito dalla buona cena e sedotto dal vino romano, si è concesso per sigaretta e foto di rito, con tanto di battuta ironica quando gli abbiamo detto che l'indomani ci saremmo rivisti a Torino e, due giorni dopo ancora, a Udine.
"You're crazy, my friends!".

giovedì 23 settembre 2010

A spasso per la Bussia

Ventuno ettari in Monforte d'Alba, con vista sulle vigne di Prunotto poco più in basso e, a voltar lo sguardo verso la collina più in alto, sulla meravigliosa tenuta di Aldo Conterno, l'azienda Bussia Soprana è una delle rarissime realtà di quantità, oltre che di qualità, in terra di Barolo. Centomila bottiglie di Barolo l'anno, prodotte dalle uve delle vigne Colonnello, Mosconi, Gabutti e Bussia, e numeri da grande azienda anche per le varie Barbera, per il Dolcetto e il Langhe Rosso Zenit, da uve nebbiolo, barbera e cabernet sauvignon.
Proprio l'argomento del taglio è stato al centro di un acceso dibattito tra un compagno di visita in azienda e Silvano Casiraghi, imprenditore brianzolo dal 1992 titolare di Bussia Soprana.
Concedere che anche in un grande vino da monovitigno come il Barolo possa finire una piccola percentuale di altri vitigni finiti nel vigneto magari per errore del vivaista, poteva avere un senso una volta. Tutti si sentivano autorizzati a raccogliere e vinificare le uve tutte assieme. Oggi i disciplinari non consentono più nemmeno quel margine del 5%, che in molti casi magari raggiungeva pure tacitamente il 15-20%. "Come è successo a Montalcino con il sangiovese "tagliato" merlot", ci ricorda Silvano.
Oggi però, con i nuovi metodi elettronici di riconoscimento dell'uva nel vigneto, c'è poco da fare i furbi. O ci si adegua, o si rischia la gogna mediatica.
Ecco perché alcuni grandi come lo stesso Angelo Gaia a Barbaresco, hanno scelto di creare delle versioni langarole dei supertuscan, in cui vitigni locali e internazionali si fondono in prodotti invisi ai tradizionalisti ma di indubbia qualità.

La degustazione. Grandi Barolo ma che Barbera!
Quando versiamo e portiamo alla bocca un sorso di Barolo 2006, quello più giovane oggi in commercio, strabuzziamo gli occhi e Casiraghi ci anticipa:
"Bere oggi la 2006 è commettere un infanticidio". Proprio così. La sensazione evidente è proprio quella di aver commesso un delitto, come aver colto una mela acerba nel giardino dell'Eden. Ciò non toglie che è fin troppo evidente che si tratta di un vino di enorme potenzialità, e la fantasia vola a quando, tra qualche anno, i tannini si saranno evoluti e l'acidità si sarà ridotta fino a creare un ambiente ideale per valorizzare tutto l'infinito ventaglio di sensazioni gusto-olfattive tipiche del vitigno.
E stupisce trovarlo ancora giovane e in piena evoluzione a dieci anni dalla vendemmia. Anche la 2000, infatti, ci restituisce un vino un tantino scorbutico e spigolosetto, sebbene già di grande personalità.
La vera goduria comincia dalla 1998 a scendere. Dai 12-14 anni in avanti si può capire se un Barolo è degno del nome che porta. E i vari cru dell'azienda sono decisamente prodotti "a lungo termine". Potenti, strutturati, complessi ed eleganti, le migliori annate sono la 97-98-99, ma se abbiamo soldi e spazio in cantina la 2006 merita un investimento. Casiraghi giura che tra qualche anno sarà un vino fuori dal comune, figlio di una grande annata.
Noi ci fidiamo, ci lasciamo trasportare ad assaggiar l'uva matura tra i filari protetti da reti antigrandine garantite 15 anni, e ce ne torniamo in azienda per gli acquisti. Tutti si lanciano sul Barolo. Io no, con le poche finanze rimaste mi concedo qualche bottiglia della Barbera d'Alba Doc Mosconi 2007 bevuta a pranzo.
12 euro a bottiglia, è un magnifico esempio di come anche da queste parti di botti grandi e barriques la barbera possa venire da dio, anche se affinata solo in acciaio.
Unico neo della giornata, a parte le 50 euro buttate al ristorante, la visita cantina. Non pervenuta.