venerdì 21 novembre 2014

Fay una sera a Bergamo alta

Bergamo, come tutte le città con una doppia anima data dalla dicotomia storica ed estetica tra un nucleo "alto" e uno, più moderno, "basso", è un capoluogo dalle mille sorprese, spesso celate dietro l'angolo di un vicoletto come tanti.
E' il caso della Trattoria Le Tre Torri, posta in città alta nella graziosissima Piazza Mercato del Fieno, che propone un menu tipico bergamasco molto amato, cosa fondamentale, non solo dai forestieri ma soprattutto dai bergamaschi, popolazione molto godereccia soprattutto dal punto di vista culinario.
Oltre a proporre un menu a base di piatti forti come i classici casoncei, stinchi di maiale e brasati con i funghi e l'immancabile polenta taragna, questa trattoria ha anche una carta di vini ristretta ma ben congegnata. L'ultima volta che ci siamo stati abbiamo puntato su un nebbiolo valtellinese "sui generis", il Sassella di Fay.


Sandro Fay - Valtellina Superiore Docg Sassella 2011
Un valtellinese particolare perché, in Sassella e Valgella, dove il sig. Fay e suo figlio Marco, enologo appassionato della Borgogna, hanno i loro vigneti, il loro nome è legato alla ricerca di rossi più delicati ed eleganti rispetto ad altri conterranei più muscolosi e ruvidi. Impressione confermata anche da questo Sassella che ci ha fatto compagnia dai casoncelli con il guanciale saltato, fino al coniglio arrosto con polenta e funghi porcini.
Colore rosso rubino scarico con sfumature arancio e di bella consistenza, profumi di piccoli frutti rossi, viole, tabacco e sottobosco. In bocca è caldo e armonioso, con un tannino pienamente maturo che invita alla beva. Non eccezionale la persistenza anche perché comunque non ci troviamo di fronte al "Glicine", Sassella di punta dell'azienda, bensì al prodotto base, ma comunque un vino ben fatto, piacevole e perfetto con un menu di questo tipo. Con altre portate tipo "cervo in salmì" sarebbe certamente consigliabile salire di struttura. Voto: 84

lunedì 17 novembre 2014

Pizzoccheri e bollicine da rivedere

Da qualche anno uno degli abbinamenti enogastronomici più riusciti e in voga presso le serate di degustazione invernali proposte da vari ristoranti lombardi, accosta la cassoeula, tipico piatto della tradizione brianzola a base di carne di maiale e verze, allo Champagne. Del resto la finissima effervescenza e la freschezza del re degli spumanti ben si prestano ad esaltare la tendenza dolce di questo piatto robusto e popolare.
E allora perché non provare a proporre un altro abbinamento simile, mettendo tra noi e la bottiglia di metodo champenois un bel piatto di pizzoccheri valtellinesi?

Per l'occasione abbiamo scelto però il re degli spumanti italiaci, il Franciacorta Docg, precisamente l'Extra brut de La Montina, acquistato direttamente in cantina non più di un mese fa. Vediamo com'è andata.

Franciacorta Docg Extra Brut La Montina
Non male, decisamente non male. La freschezza e la ricca effervescenza di questo spumante prodotto a Monticelli Brusati nella tenuta storicamente di proprietà della famiglia Montini, che ha dato i natali al Papa Paolo VI fresco di beatificazione, ben si presta ad esaltare la tendenza dolce data dalla pasta del pizzocchero ma soprattutto dalle patate e dal formaggio. Così come i vivaci profumi agrumati e di crosta di pane valorizzano gli aromi del piatto, molto profumato. In realtà però questo pizzocchero non è venuto per la verità granché, perché troppo ricco di acqua di cottura e di formaggio latteria molto fresco che insieme hanno dato al piatto una succulenza eccessiva. Di conseguenza si è avvertita netta la mancanza della componente tannica ed alcolica, capace di fare a spallate alla pari con la robustezza del pizzocchero. Insomma, va bene l'esperimento ma un buon rosso ruvido valtellinese sarebbe stato ancora la soluzione canonica più consigliata per questo piatto. Anche se l'accostamento Extra Brut - pizzocchero è stato tutt'affatto sgradevole, anzi. Ma contro burro e  formaggio fuso ci vuole altro che questo pur buon Franciacorta.

martedì 11 novembre 2014

Trattoria rara a Pavia


La cosa curiosa è che,fino a dieci minuti prima di capitarci x caso davanti,si stava discutendo sull'assoluta mancanza a Pavia di una genuina e onesta trattoria-osteria, quando, inaspettatamente, ci siamo ritrovati davanti all'insegna de L'angolo di casa, in Piazza XXIV Maggio, 1.
Lontana dallo squallido struscio, posta in una piazzetta a un crocevia dei vicoli che dal Ticino - e dai parcheggi - salgono nel centro storico, questo locale unisce splendidamente quella sobrietà e quel calore tipico dei locali di una volta, a una gestione giovane attenta ai particolari come una cucina casereccia genuina, la musica soffusa e piacevole e una scelta dei vini fatta con criteri precisi. Certo, su alcune cose si può ancora migliorare, per esempio sulla doratura dello gnocco fritto e sulla scelta dei salumi da accompagnarvi, dando più spazio a prosciutto e culatello sacrificando la meno nobile mortadella, ma se non altro il rapporto qualità prezzo è super competitivo in una città dai locali pretenziosi quale è Pavia. Ottimi i ravioli di brasato e i dolci fatti in casa. E il vino? Onorando l'abbinamento territoriale abbiamo optato per un autoctono pavese, quell'uva rara che, unita alla croatina e alla barbera, rientra in percentuali minori nell'uvaggio della Bonarda e che, in purezza, non avevo mai assaggiato prima.

Provincia di Pavia Igt Pietro Torti Uva Rara 2013
Colore rosso violaceo molto scuro e denso, di discreta consistenza, al naso si presenta con un intenso aroma di viole e piccoli frutti rossi su un tessuto speziatissimo e selvatico. Un bouquet che è la nota distintiva dei rustici rossi della zona, e che è gradevolissima se ben equilibrata, come in questo caso. In bocca ha un frutto di eccellente freschezza che invita alla beva e aiuta a gustare meglio tutto ciò che la tradizione padana può offrirci a tavola, a partire dai salumi ai quali si accompagna bene anche per la not speziata, passando per tortelli e tortellini per arrivare, chi ce lo vieta, anche a qualche bollito misto. Davvero un ottimo vino tipico e rispettoso del terroir.

lunedì 10 novembre 2014

Cimice didattica

Curioso, che proprio quest'anno climaticamente strano anche per la scarsa presenza delle consuete cimici che sono solite intrufolarsi nelle nostre abitazioni attraverso il bucato steso e ritirato, è capitato di portare in tavola un vero e proprio succo di cimice.
Il cavallo di Troia è stato un Pinot Nero dell'Oltrepo, che mi è stato regalato e presentato come vero succo d'uva...

Ora, estimatori e detrattori a parte dell'espressione pavese di quell'uva scontrosa e volubile che è il pinot nero, interessa in questa circostanza prendere nota di uno dei più didattici difetti del vino di cui si parla nei corsi di degustazione, e che tuttavia, per fortuna, non è così come frequente come la classica "puzza di tappo" o di "straccio bagnato".


Difetto di fermentazione
Come possiamo facilmente leggere su internet, la colpa di questa terribile sensazione olfattiva è dovuta a un ceppo di alcoli superiori che si sviluppano durante la fermentazione, riconducibili a una sorta di sensazioni "erbacee distorte" che ricordano in maniera inequivocabile, appunto, la puzza delle cimici quando vengono schiacciate.
Il problema è che questo Pinot Nero pavese all'inizio si è presentato nel bicchiere con una bella effervescenza accompagnata da degli odori "confusi" ma per nulla sgradevoli. Se non fosse che, svanita dopo qualche attimo l'effervescenza iniziale, ha cominciato subito ad emanare il vomitevole difetto. Niente, cena rovinata, bottiglia nel lavandino. Pinot nero pavese rimandato a settembre dell'anno prossimo, quando le cimici, si spera, svaniranno dal vino e torneranno nell'atmosfera.