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lunedì 21 novembre 2022

Teo Costa, il Roero che ti aspetti

Castellinaldo d'Alba visto da Guarene. Sullo sfondo,
il Cervino e il Monte Rosa.
Dalla torre di Barbaresco ammiravo il paesaggio circostante, pennellato da tutti i colori dell'autunno e incorniciato nella magnifica corona alpina imbiancata a fresco, e notavo la piega del Tanaro là sotto, e l'andamento verso nord della corrente, provocandomi una sorta di vertigine dovuta alla mia abitudine lombarda a vedere i fiumi scorrere verso sud. E allora mi sono detto perché non capovolgere anche la prospettiva vinicola e andare a scoprire cosa c'è sulla riva sinistra, nel Roero?.

Al di là dell'aspetto romantico e paesaggistico ero convinto che, per usare il caro vecchio Monopoli come metafora, passando dalle Langhe-Parco della Vittoria al Roero-piazza Giulio Cesare, anche i prezzi dei vini sarebbero stati più accessibili senza rinunciare neanche a una goccia di qualità.

Caduto l'occhio sul bricco di Guarene, dirimpettaio rispetto al feudo di Gaia, apro le mappe di Google in cerca di una cantina in zona e tra le proposte mi si accende una lampadina sul nome di Teo Costa in Castellinaldo. Deja vu o intuito chi lo sa, imposto il navigatore e si parte.

E' un primo pomeriggio di sabato, siamo nel pieno dell'alta stagione del tartufo - a Grinzane Cavour è in corso l'asta - e il cortile di Teo Costa ospita diverse auto immerse nella bruma profumata di vinaccia.

Entriamo in cantina e veniamo subito accolti dalla gentilezza di Viviana Costa che, insieme ai fratelli Manuel e Isabella, rappresenta la quinta generazione di questa famiglia di vitivinicoltori attiva dai tempi di Cavour.

La sala degustazione è molto accogliente e luminosa e offre un balcone sulle Alpi. Lo sguardo cade su alcune bestiole al pascolo nella radura sottostante. "Sono maiali neri piemontesi, che mio padre Roberto ha reintrodotto in questi anni incrociando diversi ceppi di maiale nero italiano per ripristinare questa antica razza autoctona". Muso e colletto bianchi per 200-250 kg di carne eccellente. 

"Mangiano di tutto, in questo periodo principalmente le vinacce di scarto della vinificazione".

L'ottimo salame e lo strepitoso prosciutto serviti in degustazione sono lo straordinario prodotto di questa seconda passione di casa Costa. Ma le sorprese sono appena cominciate.


Dall'Arneis al Barolo attraverso i territori della Barbera e del Dolcetto

La formula proposta è molto onesta e accattivante. La degustazione di 3 vini a scelta costa 20 euro, quella da 5 costa 30 euro. Con l'acquisto di almeno un cartone ciascuno il costo di degustazione viene azzerato. Sul tavolo scorreranno racconti del territorio, dettagli tecnici di vinificazione e grissini a volontà accompagnati dagli strepitosi salumi di nero piemontese e dal leggendario Bettelmatt, il  preziosissimo formaggio prodotto negli alpeggi dell'alta Val d'Ossola che solo un vero appassionato del buon gusto può pensare di proporre in degustazione. Anche in questo scommettiamo che c'è lo zampino del sig. Roberto.

Alla fine assaggeremo sei vini e compreremo un cartone di Roero, uno di Barbera d'Alba e una magnum di Barolo. Non sono rimasto impressionato né dall'Arneis degustato, che mi è sembrato "scappar via" un po' troppo velocemente dalla bocca, né dal Dolcetto, vinificato alla vecchia maniera senza passaggi in botte, per mantenere la sua natura di vino da tutto pasto e da tutti i giorni.

Al contrario, la Barbera d'Alba Docg Castellinaldo ha impressionato per potenza e ricchezza sia all'olfatto sia al gusto. Mi sono permesso di definirla una barbera "barolizzata", perché evidentemente la palestra del passaggio in botte le ha fatto spuntare dei muscoli da vino potente e complesso. Del resto qui si scolpisce questo volto importante alla barbera, per quella acidella, beverina e magari frizzantina chiedere nell'astigiano o nel Monferrato.

Molto buono anche il Roero Docg "Batajot", con le tipicissime note fruttate e terrose del nebbiolo e le speziature dell'affinamento, con un contorno vegetale davvero gradevole.

Dai vigneti in Novello ecco anche uno stupendo Barolo Docg "Monroj" da uve nebbiolo lampia, sontuoso vino da invecchiamento, affinato 30 mesi in botti di rovere grandi più altri sei in bottiglia, con le tipiche note tartufate e di idrocarburi e un ventaglio di aromi che si allarga sorso dopo sorso.

Tutti vini eccellenti, potenti e dall'ottimo rapporto qualità-prezzo. Una cantina dove tornare per godere dell'ospitalità e saggiare l'evoluzione dei suoi prodotti nel corso degli anni. "Arvedse" signori Costa!

lunedì 14 novembre 2022

Il Ribelle della Valvarrone

Anni fa, quattordici per la precisione, organizzai una gita in Val Varrone, angusta valle che da Premana, alta Valsassina, in un paio d'ore di scarpinata sale verso i pascoli a ridosso del Pizzo dei Tre Signori. Non ho la minima idea del motivo per cui mi spinsi ad optare per quella meta, avendo a disposizione nel territorio itinerari ben più noti e frequentati. Sta di fatto che, quel giorno di metà agosto del 2008, lasciata l'auto nei pressi delle rinomate coltellerie del piccolo borgo montano del lecchese, risalii la ripida mulattiera che attraverso i boschi, costeggiando il torrente, conduce fino all'imbocco della valle. Lì fui colto dalla meraviglia dei prati ancora in piena fioritura, a causa di una stagione particolarmente generosa in quanto a piogge.

Dopo un piatto di squisiti pizzoccheri presso il rifugio Casera Vecchia andai a fare visita alla poco distante Casera Nuova, dove scoprii un Grasso d'alpe tanto memorabile che l'avrei usato come termine di paragone per tutti gli altri formaggi che avrei assaggiato negli anni successivi, Bettelmatt e Compté compresi.

Stiamo parlando dell'Olimpo del formaggio d'alpeggio. Bene, quest'anno dopo Ferragosto sono ritornato in Valvarrone per vedere se quella meraviglia provata anni fa fosse ancora almeno in parte confermata. Per la verità mi sarei già accontentato di ritrovare il giovane casaro che allora in sella a una moto da cross radunava le greggi delle capre (perché in questo bitto senza dop c'è cca il 20% di latte di capra), giusto per la soddisfazione di sapere che lassù c'è ancora un presidio del gusto portato avanti dalle nuove generazioni.


Il presidio c'è ancora, il casaro è cresciuto - pure di stazza - e il prezzo del suo Grasso d'Alpe pure: da 10 euro al kg in 14 anni è passato a 18€/kg. La meraviglia è stata la stessa di allora: formaggio gustosissimo, pastoso e super aromatico nonostante la scarsa fioritura dei pascoli complice la stagione secca. Doppia meraviglia. In questi anni il "varrone" è cresciuto anche di lignaggio, entrando a far parte della ristretta famiglia dei "ribelli del Bitto".

A questo link ho trovato un interessante articolo del 2016 su questi casari di Delebio e sullo Storico Ribelle, di cui il Varrone è la massima espressione.

Un formaggio senza compromessi e ricercatissimo perché, oltre a essere squisito, a differenza del Bitto Dop che ha un disciplinare più "elastico" ed esteso geograficamente, non ammette l'impiego di mangimi e seguita ad essere prodotto esclusivamente in alpeggio con gli attrezzi tradizionali (caldera di rame e forme di legno) e la consueta doppia mungitura giornaliera con l'aggiunta di circa il 20% di latte di capra (che nel Bitto invece è facoltativa e non supera il 10%). Lunga vita ai ribelli.

Bruna Alpina

Capra Orobica


martedì 12 agosto 2014

Weingut Hanka, ospitalità renana

Il nostro breve tour nel Rheingau (vedi post precedente) è incominciato dal celeberrimo Kloster Eberbach, monastero benedettino al cui interno sono state girate le scene del film Il nome della rosa, al quale però dedicherò il prossimo post. Faccio quindi un salto avanti di una giornata e andiamo a Johannisberg, considerato da molti il territorio più vocato per il Riesling renano e località nel comune di Geisenheim, che ospita una delle più importanti scuole di enologia del mondo. Nota anch'essa per l'omonimo monastero da dove mosse i primi passi la viticoltura renana dopo l'input iniziale dato dai romani, Johannisberg è una piccola frazione di mezza collina, dove domina lo "Schloss", il castello, che si sviluppò dall'antico monastero. Qui, per caso, nel corso del 1700 nacque l'abitudine di vinificare le uve intaccate dalla muffa nobile, che danno quel tratto dolce così caratteristico dei vini renani, dagli "spatlese" ai vari "auslese".
Oggi il castello, che ancora offre il nome alle etichette dell'omonima casa vinicola, è sede di importanti eventi e conferenze. Noi siamo invece ridiscesi un pochino verso la strada principale e abbiamo fatto visita alla famiglia degli Hanka, il cui stile, in quanto ad ospitalità e capacità enologica, è quanto di meglio l'enonauta possa chiedere ai propri viaggi.


La presentazione dell'azienda ve la lascio leggere sul sito internet o sul profilo facebook, qui andiamo subito alla sostanza. Prima di tutto, rispetto ad altre zone d'Italia assai meno blasonate o alla super celebrata Borgogna, stupiscono la semplicità e la cordialità da parte di una famiglia che apre la porta di casa a due giovanotti la cui competenza potrebbe essere misera quanto la disponibilità economica. Invece Sigrid Hanka e suo figlio Sebastian, enologo, ci fanno accomodare a un tavolino e ci fanno assaggiare a nostro piacimento tutto ciò che indichiamo loro sulla lista della loro produzione. Proviamo un Riesling Trocken, uno Spatlese Feinherb, un Kabinett e un Auslese. Per pudore - e tasso alcolico ormai sopra i livelli di guardia - evitiamo di continuare la nostra "messa all'indice" verso i più impegnativi e costosi Beerenauslese e TBA. Ma siamo sicuri che i due non avrebbero fatto una grinza e avrebbero seguitato a servirci quanto richiesto.
C'è da dire, a onor del vero, che sarebbe stato alquanto strano se due italiani - mosche rare, a queste latitudini - saliti in macchina sin lassù per scoprire i gioielli di questa zona vinicola avrebbero bevuto senza caricarsi nulla nel bagagliaio. Ma tant'è. Viva l'ospitalità renana.

Geisenheimer Klauserweg Riesling Spatlese Feinherb 2013
I Riesling.. beh, che dire? Nulla al confronto con i Riesling didattici tutto "frutto ed elasticone" serviti durante le costose serate di degustazione in Italia. Questi sono vini eleganti, dove la componente aromatica e fruttata del riesling si incontra alla perfezione con le componenti minerali del terreno, e dove la nota dolce si sposa meravigliosamente con una freschezza che spinge la beva sempre un gradino più in là.
Personalmente io amo i Riesling più secchi, ma la freschezza e l'eleganza dei "botritizzati" manda a carte all'aria tutta la nostra scala di dolcezze a cui siamo abituati.
Alla fine ho comprato quattro Pradikat "feinherb" (amabili) e due Pradikat Riesling "3 Generationen", tutti del 2013, e due mezze bottiglie di Auslese del 2005. Di volta in volta dedicherò loro un post a parte.
Domenica ho "sacrificato" uno dei feinherb vendemmia tardiva per uno dei miei ricorrenti piatti estivi, un risotto con il pesce persico.
Davvero eccellente. Un vino profumato - il riesling è un'uva semi-aromatica - accanto a un piatto profumato è già un ottimo preambolo per un buon abbinamento. Che si esalta tra reciproche dolcezze vivacizzate dall'ottima acidità del vino e dalla sua importante struttura. Il finale stenta a venire e lascia in bocca un dolce ricordo che allontana e rimanda "a dopo" il rituale caffé.

lunedì 4 agosto 2014

Alla scoperta del Rheingau, culla del Riesling renano

Una sconfinata distesa di vigneti di colore verde tenue. E' questa la prima cosa che balza all'occhio percorrendo da est a ovest la strada a veloce scorrimento che collega la ricca città termale di Wiesbaden, porta della regione del Rheingau, e la piega che il Reno fa verso nord nei pressi del villaggio fluviale di Rudesheim, da dove parte la funivia che sale al belvedere del monumento del Niederwald (vedi foto), ricordo di uno dei tanti allori militari prussiani. A nord lo scudo naturale delle pendici del monte Taunus, a sud il bacino fluviale che in questo tratto si allarga fino a raggiungere un'ampiezza di 400 metri. Quasi un lago, color marrone e verde e torbido, dove le lunghe chiatte dell'industria fluviale renana si incrociano continuamente con i battelli turistici, e dove il sole riflette i propri raggi donando alla zona un microclima talmente dolce da essere accostato a quello mediterraneo.
La vegetazione è rigogliosa e i paesi con le tipiche case colorate in legno e cemento, con i tetti spioventi, sono dei giardini fioriti. Rose, principalmente, di ogni varietà e colore. E poi alisso, bocche di leone, begonie e girasoli, ed erbe aromatiche.
I terreni, in questa striscia collinare lunga poco più di 30 km, presentano una tale varietà di composizioni da permettere al riesling, che qui domina incontrastato i filari con quasi l'80% di presenza, di dare vita a un ventaglio di espressioni vinicole davvero entusiasmanti, favorito anche dalle diverse declinazioni sviluppate dalla tradizione vinicola locale.
Si va dalle versioni assolutamente secche e beverine di alcuni Riesling Kabinett "trocken" ("secco", appunto) per raggiungere le vette di complessità dei vari auslese botritizzati.
I suoli del Rheingau sono composti da scisti argillosi, quarzite, fillite, sedimenti del terziario e dal loess, la
polvere dell'era glaciale. Quest'ultimo, presente un po' ovunque, è alla base della delicatezza e della freschezza fruttata dei Riesling, così come la quarzite regala maggiore struttura ai Riesling della collina di Rüdesheim, e la marna argillosa a fondo valle rende la collina di Hochheim un'énclave per la produzione di eccezionali Pinot Nero che davvero poco hanno da invidiare ai grandi della cote de nuits.
Ma andiamo con ordine. Il viaggio inizia alla stazioncina di Walluf, direzione Kloster Eberbach, monumento monastico,cinematografico e, soprattutto, vinicolo. continua...

domenica 15 settembre 2013

L'autunno passa da Carema

Primo weekend di piogge autunnali in attesa di un'altra coda d'estate, prima polenta con arrosto di maiale e salsiccia, in compagnia di un nebbiolo "gentile", quello della Cantina dei Produttori Nebbiolo di Carema.

E' passato poco più di un mese dalla visita alla cantina lungo la via Nazionale di Carema, località dove un tempo sorgeva la dogana tra le Gallie e l'Italia, poi tappa obbligata lungo la via Francigena che collegava Canterbury a Roma e oggi ultimo avamposto piemontese prima di entrare in Val d'Aosta.


Tornato a casa ero andato a rileggermi le pagine di "Vino al vino", monumento del turista enogastronomico a firma dell'indimenticabile Mario Soldati, dedicate al vino di Carema. Lo scrittore-regista torinese a inizio anni '70 manifestava la propria preoccupazione per la sorte delle particolarissime strutture dei vigneti a pergola, scavati in terrazzamenti nella roccia  da cui si innalzano schiere di pilastrini, in pietra e calce, dalla forma tronco-conica, sormontati da un "cappello di pietra" dove poggiano i graticci che sostengono i tralci delle viti. Nel dialetto locale la struttura a pergola dei vigneti è chiamata "topia o tupiun", mentre si definiscono "pilun" i bianchi pilastri che la sorreggono e che ricordano lo stile romanico, e che sono delle vere e proprie stufe naturali che immagazzinano il calore del sole di giorno e lo rilasciano durante la notte.


Bene. Oggi quella meravigliosa architettura è ancora in piedi grazie soprattutto alla volontà dell'ottantina di soci che conferiscono le uve dei loro vigneti, 17 ettari in tutto, alla cantina, che le declina in due tipologie, il Carema Doc nelle versioni "base" e "Riserva".


Carema Doc 2010

Colore rosso rubino con riflessi granati, ha profumi molto intensi di amarene sotto spirito e di ribes, accompagnati da ampie note di rose e ciclamini, per andare a sfumare su sensazioni speziate ed eteree.
Servito a 18° C in bocca è morbido e caldo, di ottima acidità e con una marcata struttura tannica che appiccica alla bocca le sensazioni fruttate, invitando alla beva. Non stupisce per persistenza, tuttavia nel complesso un vino elegante e di carattere, impegnativo ma non troppo, legato a doppio filo al territorio pedemontano e al vitigno del nebbiolo.
Un vino, come lo definiva Soldati, "forte e simpatico come un gusto di sole e di roccia". Da gustare con arrosti di carne o brasati e con formaggi stagionati. 7 euro in cantina.
Voto: 82

domenica 25 agosto 2013

Gioioso matrimonio lacustre con altarino

In attesa di mettere insieme le idee sparse e le meravigliose foto sulla mia seconda scampagnata ferragostana in Borgogna - a proposito, Beaune a metà agosto è una strepitosa alternativa agli affollati lidi italici ma si conferma uno dei periodi meno felici per l'enoviaggiatore per via della chiusura per ferie di molti pregiati "domaines", in attesa del tour de force della vendemmia prevista quest'anno a partire dal 20 settembre - ecco qualche riga dedicata alla fine delle vacanze, per il resto spese tra la mia terra lariana e un'improvvisata sul Garda bresciano, a Desenzano e dintorni.

E qui devo subito fare una rapida ammenda: snobbate da sempre le località gardesane perché liquidate come "tristi e per famiglie tedesche in sandali e calzini", devo dire che mi è bastato un soggiorno tra Sirmione e Manerba per farmi promettere che ci tornerò presto per dedicarci un'intera vacanza, tale è la bellezza dei paesaggi, la delicatezza dei sapori, la ricchezza e la varietà dell'offerta turistica, e l'accoglienza dei gestori improntata sulla volontà di sfidare le località marittime con listini dall'ottimo rapporto qualità-prezzo.

La cantina della Valtenesi
Sulla via per lo splendido resort sulla collina dietro Moniga del Garda ho incrociato per caso il punto vendita dei vini della Civielle, la Cantina della Valtenesi costruita dal mitico valtellinese Nino Negri attorno al 1920.
Da amante del Lugana, ricordo ancora l'assaggio casuale del loro Pergola in un bar di Lecco, e non ho perso l'occasione per assaggiarlo di nuovo, a distanza di qualche anno, direttamente alla sorgente.
Annata 2012 buona ma al di sotto delle mie aspettative. Guidato dalla gentilissima  proprietaria ho deciso allora di portarmi via, oltre a una bottiglia di Lugana Doc Pergola 2012, anche altre cinque bottiglie di cinque diversi produttori di Lugana, che Civielle con una brillante operazione di scontistica riesce a vendere allo stesso prezzo operato in cantina dal produttore.

E così oggi, tornato alla base lecchese per riportare gatto e valige in quel di Pavia, ho fatto saltare il tappo del Lugana Doc 2012 della famiglia Olivini, destinandolo a una delle mie specialità, il risotto con il pesce persico.

Pesce di lago e Lugana, supremo abbinamento territoriale
Un piatto saporito e delicato al contempo, dove spicca la dolcezza del risotto, la delicatezza del pesce persico, l'aromaticità della salvia e l'untuosità del condimento. Il piatto tipico del lago di Como, ancor più "locale" dei missoltini che si ritrovano anche nei menu gardesani alla voce "aringhe di lago con polenta alla brace".
Insomma, una specialità che va davvero a nozze con un buon Lugana, come quello della famiglia Olivini.
Colore giallo paglierino brillante, profumato di fiori bianchi e limoni freschi, seguiti dalla pesca bianca e da una nota minerale. Ottimo il riscontro in bocca, un vino morbido e freschissimo, con una decisa nota agrumata che fila a braccetto con una finissima vena minerale che a tratti mi fa volare con la mente alla recente visita francese a Meursault e dintorni. Chiusura piacevolmente amarognola di buona persistenza.
Punteggio: 84.

Un matrimonio azzeccatissimo, insomma. Costo della cerimonia: 7 euro la bottiglia 36 euro al kg il pesce persico. E a questo punto vi svelo l'altarino: quello nella foto non è pesce persico ma tilapia, un "surrogato" del Vietnam. Buono e molto più economico, visto che si trova a 16 euro al kg, esattamente la metà del pregiato simile lariano. Per questo molti ristoratori comaschi e lecchesi, specie i risto-pizza che giocano al ribasso, fanno i furbetti..

lunedì 12 novembre 2012

L'eccellenza biologica in Oltrepo

Dopo varie vicissitudini lavorative che mi hanno per forza di cose allontanato non solo dal mondo della scrittura e dei blog ma anche da quello dell'enogastronomia vedo con piacere che Vinoscopio seguita ad essere visitato da passanti e aficionados. E allora non mi resta che ricominciare con estremo piacere proprio da dove un anno fa è ripartita la mia vita professionale, da Pavia.

Azienda Agricola Bisio Devis
Quando hai un amico o un parente che si diletta di biologico e biodinamico non c'è titolo di esperto di enogastronomia che tenga: occorre mettersi in seconda fila e seguire il segugio di turno, nella punta della preda prescelta. Da tempo quel salutista di mio cugino voleva fare un'incursione in Oltrepo per comprare della Bonarda biologica, e l'occasione si è presentata sul finir di vendemmia, un weekend di inizio autunno.
Meta prescelta: Bisio Devis, azienda dell'eccellenza biologica con vigneti a far da vassalli al castello di Montalto Pavese.

La degustazione in cantina è filata via liscia in maniera simpaticamente informale e ha fatto capire che, nonostante qui siamo in terra di Riesling, i prodotti meglio riusciti sono i rossi Bonarda e Barbera. Eccellente la prima per chi ama questo classico vivace dell'Oltrepo, tanto ricco di dolci richiami di piccoli frutti rossi da sfiorare la definizione di "amabile", ottima la seconda per chi desidera una briosità più fresca e beverina. Due ottimi compagni, insomma, di tutta la ricca tradizione gastronomica a base di maiale e dei tortelli di ogni genere e tipo, con la Bonarda sfiziosa alternativa al Lambrusco per accompagnare anche una buona pizza napoletana.
Da tenere in cantina e rivedere tra 1-2 anni invece il Riesling, che picchia ancora un po' troppa sull'acidità.
Molto buono, infine, il dolce Moscato, che in quanto a beva nulla ha da invidiare al più rinomato cugino astigiano.
Assolutamente competitivi i prezzi: 3,50 Bonarda e Barbera, 3,80 il Riesling.

martedì 24 maggio 2011

Montevecchia, una bellissima alla ricerca della propria identità

Non sarà più il "vin de Milàn" che aveva assaggiato Mario Soldati nei suoi viaggi enogastronomici che negli anni '60 lo avevano portato fino alle ultime propaggini dei depositi morenici del lecchese. Ma il vino di Montevecchia, nelle sue fedeli e molteplici reinterpretazioni seguite alla riscoperta della viticoltura in questo angolo di Toscana in terra brianzola, è sempre un buon pretesto per una visita al territorio.
Da oltre 15 anni il progetto vinicolo più ambizioso è quello dell'azienda La Costa, proprietaria di diverse cascine ristrutturate su e giù tra ordinati filari di ogni età e maestosi e profumatissimi cespugli di rosmarino. Elena Crippa, classe 1976, porta avanti con passione il sogno cominciato da suo padre, imprenditore milanese dai natali brianzoli, di tornare sui luoghi dell'infanzia e rimettere ordine a quelle colline dimenticate dai forestieri.
A spasso tra filari vecchi e nuovi, parla dei loro impianti a cordone speronato, dei vitigni, del terreno pietroso e ricco di minerali, del significato dell'agricoltura biologica a cui loro aderiscono senza per questo rinnegare i classici interventi in vigna con sostanze naturali come lo zolfo e il rame contro oidio e peronospora. Parla del pianto della vite e della nuova moda di alcuni coltivatori di raccogliere le lacrime di linfa che colano in primavera dai tagli delle potature, per produrre prodotti cosmetici.
Parla dell'allegagione, ovvero del passaggio dal fiore al frutto, e dei fatidici "3 giorni" in cui il tempo deve essere clemente per non dilavare la preziosa opera di impollinazione da parte del vento e degli insetti, dei delicatissimi fiori della vite, pianta ermafrodita. Spiega il significato dell'invaiatura e, di nuovo, sottolinea quanto il lavoro dell'uomo diventa piccolo e debole di fronte alle bizze della natura. Per poi, a vendemmia fatta e vinificazione avvenuta, lasciarsi andare a un sospiro di sollievo lungo qualche mese. Mica tanti, perché anche nella stagione fredda il viticoltore, a differenza della vigna, non dorme mai. E i vini? Valgono tutti questi patimenti?

Un bianco, due rossi e un dolce esperimento
Dai terrazzamenti fioriti scendiamo a cascina Galbusera Nera, dove c'è la cantina con la sala degustazioni.
TERRE LARIANE IGT BIANCO "SOLESTA" 2009
70% riesling, 30% chardonnay + pinot bianco
Un "SOLstizio d'ESTAte" giallo paglierino brillante e consistente, con un naso intenso, complesso e fine. Con il passare dei minuti gli effluvii di acacia e sambuco vengono affiancati da sentori fruttati di ananas e banana, mentre emerge decisa la nota minerale di grafite con un velo di "gomma da riesling". Bocca caldo, morbido, fruttato e polposo, con un finale ammandorlato sin troppo deciso, destinato certamente ad attenuarsi negli anni. E' infatti un bianco da invecchiamento con una componente alcolica ben decisa.
13 % alcol, affinamento botti di acacia. A seguire acciaio e bottiglia.

TERRE LARIANE IGT "SéRIZ" 2008
Annata disastrosa per via delle piogge, per questo blend tra merlot (70%), cabernet sauvignon e syrah, che prende il nome dalle pietre ollari tipiche dei depositi glaciali dalla Valtellina alla Brianza.
Colore rubino consistente, naso dominato dalle amarene e dalle more, accompagnate da sentori vegetali e di erbe aromatiche e da un pizzico di spezie. In bocca è caldo, morbido e balsamico ma lo vorremmo meno alcolico e più corposo e strutturato in tannini. Chiude su pepe verde.
Solo legno grande, poi acciaio e chiarifica. 13,5 % vol.

PINOT NERO "SAN GIOBBE" 2009
Anno dopo anno il pinot nero si lascia addomesticare e il San Giobbe si incammina a diventare il vino di punta dell'azienda, pur non essendo ancora iscritto alla recente Igt Terre Lariane e pur nato per caso visto che, all'origine, il sig. Giordano Crippa voleva farne uno spumante bianco.
Colore rubino scarico, di bella consistenza, naso di caramelle di frutti di bosco, rosa canina, cuoio, ciliegia sotto spirito e liquerizia. Buon riscontro in bocca, per un vino che si lascia bere con piacere.
Macerazioni non troppo lunghe, in parte con i raspi. No follature, vinificazione parte in acciaio parte in rovere. Affinamento in botti grandi.
13 % vol.

CALIDO 2010
Poco più che famigliare la produzione di questo Vendemmia tardiva da traminer e moscato di Scanzo vinificato in bianco.
Colore dorato intenso con riflessi ambrati, naso di arance candite e rosa canina, con note di smalto molto spinte. In bocca caldo, morbido e ben equilibrato tra dolcezza e acidità, chiude con una leggera sensazione di effervescenza per via del basso contenuto di solforosa che permette una leggera rifermentazione.
100 ml residuo zuccherino.

CONCLUSIONI: PERCHE' NON FARE SOLO CHARDONNAY E PINOT NERO?

Zona splendida, cascine meravigliose, vini buoni e in sicura crescita. Resta una constatazione: curioso notare come la mappa viticola di Montevecchia metta fianco a fianco su una collina vitigni assai diversi gli uni dagli altri, come riesling, chardonnay, merlot, cabernet, syrah e pinot nero che altrove, in regime però di monoculture distanti anche parecchie centinaia di km, danno vita ai vini più grandi della terra. Non sarebbe meglio, per esempio, lasciare che la Valcalepio si occupi dei bordolesi e concentrarsi solo su pinot nero e chardonnay? Dopotutto non sono in pochi a soprannominare queste colline moreniche del milanese esposte verso sud-est "la piccola Borgogna brianzola". Da lì l'azienda La Costa potrebbe in futuro abbandonare l'incoerenza della Igt Terre Lariane per diventare titolare in regime di "monopole" di una nuova Doc Montevecchia tutta per sé.

giovedì 23 settembre 2010

A spasso per la Bussia

Ventuno ettari in Monforte d'Alba, con vista sulle vigne di Prunotto poco più in basso e, a voltar lo sguardo verso la collina più in alto, sulla meravigliosa tenuta di Aldo Conterno, l'azienda Bussia Soprana è una delle rarissime realtà di quantità, oltre che di qualità, in terra di Barolo. Centomila bottiglie di Barolo l'anno, prodotte dalle uve delle vigne Colonnello, Mosconi, Gabutti e Bussia, e numeri da grande azienda anche per le varie Barbera, per il Dolcetto e il Langhe Rosso Zenit, da uve nebbiolo, barbera e cabernet sauvignon.
Proprio l'argomento del taglio è stato al centro di un acceso dibattito tra un compagno di visita in azienda e Silvano Casiraghi, imprenditore brianzolo dal 1992 titolare di Bussia Soprana.
Concedere che anche in un grande vino da monovitigno come il Barolo possa finire una piccola percentuale di altri vitigni finiti nel vigneto magari per errore del vivaista, poteva avere un senso una volta. Tutti si sentivano autorizzati a raccogliere e vinificare le uve tutte assieme. Oggi i disciplinari non consentono più nemmeno quel margine del 5%, che in molti casi magari raggiungeva pure tacitamente il 15-20%. "Come è successo a Montalcino con il sangiovese "tagliato" merlot", ci ricorda Silvano.
Oggi però, con i nuovi metodi elettronici di riconoscimento dell'uva nel vigneto, c'è poco da fare i furbi. O ci si adegua, o si rischia la gogna mediatica.
Ecco perché alcuni grandi come lo stesso Angelo Gaia a Barbaresco, hanno scelto di creare delle versioni langarole dei supertuscan, in cui vitigni locali e internazionali si fondono in prodotti invisi ai tradizionalisti ma di indubbia qualità.

La degustazione. Grandi Barolo ma che Barbera!
Quando versiamo e portiamo alla bocca un sorso di Barolo 2006, quello più giovane oggi in commercio, strabuzziamo gli occhi e Casiraghi ci anticipa:
"Bere oggi la 2006 è commettere un infanticidio". Proprio così. La sensazione evidente è proprio quella di aver commesso un delitto, come aver colto una mela acerba nel giardino dell'Eden. Ciò non toglie che è fin troppo evidente che si tratta di un vino di enorme potenzialità, e la fantasia vola a quando, tra qualche anno, i tannini si saranno evoluti e l'acidità si sarà ridotta fino a creare un ambiente ideale per valorizzare tutto l'infinito ventaglio di sensazioni gusto-olfattive tipiche del vitigno.
E stupisce trovarlo ancora giovane e in piena evoluzione a dieci anni dalla vendemmia. Anche la 2000, infatti, ci restituisce un vino un tantino scorbutico e spigolosetto, sebbene già di grande personalità.
La vera goduria comincia dalla 1998 a scendere. Dai 12-14 anni in avanti si può capire se un Barolo è degno del nome che porta. E i vari cru dell'azienda sono decisamente prodotti "a lungo termine". Potenti, strutturati, complessi ed eleganti, le migliori annate sono la 97-98-99, ma se abbiamo soldi e spazio in cantina la 2006 merita un investimento. Casiraghi giura che tra qualche anno sarà un vino fuori dal comune, figlio di una grande annata.
Noi ci fidiamo, ci lasciamo trasportare ad assaggiar l'uva matura tra i filari protetti da reti antigrandine garantite 15 anni, e ce ne torniamo in azienda per gli acquisti. Tutti si lanciano sul Barolo. Io no, con le poche finanze rimaste mi concedo qualche bottiglia della Barbera d'Alba Doc Mosconi 2007 bevuta a pranzo.
12 euro a bottiglia, è un magnifico esempio di come anche da queste parti di botti grandi e barriques la barbera possa venire da dio, anche se affinata solo in acciaio.
Unico neo della giornata, a parte le 50 euro buttate al ristorante, la visita cantina. Non pervenuta.