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venerdì 3 gennaio 2014

Una punzecchiatura per Bastianich

Star della ristorazione mondiale, produttore di vini, superstar della trasmissione Masterchef e musicista rock nei - pochi - ritagli di tempo. Non li avevo ancora provati, i vini di Joe Bastianich, eclettico 45enne italoamericano con la passione per la buona tavola, i cani e la musica rock. Dopo averlo sfiorato nell'estate del 2010 quando per mie vicissitudini personali ho dovuto declinare la proposta di andare ad intervistarlo a Milano in occasione dei primi ciak della serie d'esordio di Masterchef Italia, dopo averlo sbeffeggiato, 3 giugno 2013, da una transenna di San Siro dove il buon Joe si era infilato di sfroso per assistere cocktail in mano al concerto di Springsteen prima di essere allontanato dalla security ("Joe, che dilusione!"), finalmente ci siamo incontrati.
Enologicamente, intendo.

Venezia Giulia Igt "Vespa Rosso" 2010, Bastianich Winery
Questo bel rosso "da arrosti" nasce da un mélange di uve merlot, refosco, cabernet sauvignon e cabernet franc, coltivate nei vigneti di Buttrio e Premariacco, sui Colli Orientali del Friuli una ventina di km a est da Udine. In tutto l'azienda Bastianich, fondata nel 1997, è costituita da 35 ettari di vigneto. I vigneti del Vespa Rosso beneficiano del calore proveniente dal mare e si trovano in un territorio ideale per la produzione di vini corposi e strutturati. Ecco l'annata 2010, gustata in queste festività per accompagnare un'anatra all'arancia.
Colore rosso rubino scuro, limpido e consistente, al naso rivela una buona complessità olfattiva di discreta finezza. Frutti rossi maturi e sottobosco, spezie e una pennellata erbacea tipica delle uve e del territorio, conditi da un sentore di legno dolce. Sensazioni che tornano in bocca in una struttura calda e morbida, di discreta acidità e persistenza. Pregevoli le note fruttate e speziate, personalmente odio la percezione decisa del legno d'affinamento, non perfettamente integrata nel vino. L'invecchiamento nei tonneaux e il successivo passaggio in barriques si fa un po' troppo sentire. L'impressione finale è quella di un buon prodotto fatto anche bene ma ancora incapace di emozionare. Un vino ambizioso le cui vere radici, forse, non sono nel Friuli degli avi di Bastianich ma in quel gusto americano un po' omologato che non rende piena giustizia a un terroir straordinario. Con un prezzo, 30 euro cca in enoteca, altrettanto poco italiano e molto da turista born in the Usa.
Voto: 82.

venerdì 4 gennaio 2013

Genuinità e tradizione nel cuore di Firenze

Spulciando tra gli appunti di degustazione che avevo preso negli scorsi mesi senza mai avere né il tempo né la voglia di trascriverli sul blog, ho recuperato questa foto fatta a casa durante un pranzo autunnale. Ritrae il mitico fischetto del Chianti vero, quello beverino senza grandi pretese di invecchiamento, che avevo acquistato a Firenze a giugno, durante la trasferta per il concerto di Bruce Springsteen all'Artemio Franchi. Concerto alluvionato, concerto fortunato. Perché il giorno dopo, per ricaricare le batterie bagnate prima di rimettersi in marcia alla volta di Trieste, dove il Boss avrebbe suonato la sera stessa, siamo andati in caccia di una trattoria fiorentina tipica "vera". In questi casi non resta che rivolgersi a chi ci vive e non ha alcun interesse nello sponsorizzare un locale piuttosto che un altro. E per esperienza ho scoperto che gli edicolanti sono una straordinaria risorsa di indicazioni.
E così anche in quell'occasione il giornalaio di turno ci ha azzeccato, dirottandoci verso la trattoria tipica richiesta. Buona, economica e non turistica. "Andate alle Mossacce, là in fondo a sinistra". Giusto a un tiro di tappo dalla cupola del Brunelleschi.

L'opinione in sintesi
Non sto a dilungarmi troppo. Dirò solo che il posto è alla buona ma molto carino e l'ospitalità squisita quanto le pietanze tipiche toscane, da gustare gomito a gomito con gente del luogo e qualche turista meravigliato di essere capitato nel cuore di Firenze in un locale prima di tutto per i fiorentini e solo in seconda battuta per i turisti, nonostante vanti un'ottima visibilità sul web. Qui, tra taglieri misti di affettati e formaggi toscani, minestre, ribollite e trippa alla fiorentina, si mangia la vera costata alla fiorentina, quella alta tre dita e che si scioglie in bocca.
A fare compagnia al pranzo d'altri tempi abbiamo preso un Nobile di Montepulciano, buono ma di cui non ricordo il nome. All'uscita, però, mi sono fatto dare un fiasco del vino della casa, il Chianti Docg Le Mossacce, per l'appunto. Che a distanza di mesi ho aperto e mi ha restituito intatta la genuinità di quella piacevole scoperta di inizio estate. Fresco, fruttato il giusto, di medio corpo e amabilmente speziato, beverino quanto basta da lasciarne giusto un dito sul fondo del fiasco senza lasciar passare inosservata la vena selvatica tipica del Chianti "d'antan". Quello che, a differenza dei barricati e "internazionalizzati" Chianti di oggi, non ci stancheremmo mai di bere, per gusto e per prezzo.

venerdì 13 agosto 2010

Puledro morellino

Se sul vitigno non ci sono dubbi, visto che sempre del toscanissimo sangiovese si tratta (della varietà "piccolo", mentre a Montepulciano e Montalcino va il "grosso"), sull'origine del nome ancora si discute. Morellino come il colore del vino, rosso rubino scuro (un po' come è accaduto per il Brunello), oppure Morellino come la razza dei cavalli montati dai butteri, i cowboys maremmani? Nel dubbio, io ho abbinato il rosso di Scansano, prodotto nell'entroterra grossetano tra i fiumi Albegna e Ombrone, con del filetto di puledro alla griglia.

Un maremmano schietto e loquace
Prodotto dalla Cantina Coop. Vignaioli del Morellino di Scansano, storica cantina sociale nata nel 1978 assieme alla Doc (dal 2007 Docg) e oggi composta da circa 152 soci conferitori, questo figlio della vendemmia 2008 ha colore rosso rubino molto limpido e brillante, con riflessi scuri e discreta consistenza.
Servito in un calice di media ampiezza a 15-16°C, conquista subito con gli aromi varietali del vitigno, che rimandano alle marasche e ai piccoli frutti di bosco, su tutti il ribes, accompagnati da sfumature terrose e di rosa canina e da un'accattivante nota speziata.
In bocca è fresco, il tannino scivola sul palato senza graffiare, accompagnato da tutte le piacevoli sensazioni percepite al naso: frutta rossa, pepe nero e alla fine la piacevole sensazione di rigirarsi tra la lingua il succulento nocciolo di un'amarena matura.
Invita alla beva e invoglia a mangiare. Perfetto con le carni alla brace e con le "casciotte" di pecora fresche o mediamente stagionate tipiche dell'Italia centrale, io la mia mezza bottiglia (3,90 € al Bennet di Lecco) l'ho onorata con del filetto di puledro al sangue. Un po' troppo dolciastra per questo vino "da costata fiorentina" ma comunque binomio assolutamente più che dignitoso.