giovedì 17 gennaio 2013

Una Forastera a Milano

Capita, con cadenza ormai mensile, di uscire per una pizza a Milano con i colleghi d'Avellino e dintorni che, come tanti altri ragazzi della Campania, si sono trasferiti da tempo nella metropoli lombarda per lavoro. Una volta erano le fabbriche ad attirare la manodopera "forestiera", oggi, a seguito della corsa alle lauree che ha intasato la domanda di lavoro nel nostro Paese, sono gli uffici.
Detto questo, è inevitabile che per un campano doc il richiamo per la propria terra sia irresistibile soprattutto quando si parla di pizza, e così da tempo abbiamo consacrato la pizzeria Sciuscià di via Procaccini come il luogo della nostra piacevole consuetudine.

L'ultima volta che ci siamo stati, ad accompagnare gli ottimi friarelli di antipasto e la successiva "bufala alla napoletana" con soffice cornicione "vista Vomero", abbiamo scelto un bianco tipico della Campania. Anzi, delle isole napoletane, di Ischia, per la precisione.
Ricordo che ne parlava con entusiasmo con la sua inconfondibile passione contagiosa il buon Guido Invernizzi, medico e sommelier docente AIS, durante una sua memorabile lezione sui vitigni autoctoni italiani.
Dissertava con tale godimento di "biancolella e forastera", che il binomio mi è rimasto in mente per anni e finalmente mi sono ritrovato a testarlo, almeno in parte, di persona.

Ischia Igt Forastera "Euposia" 2010 - Casa d'Ambra
Un bianco profumato di fiori, agrumi freschi e di erbe mediterranee, di buon corpo e dalla seducente struttura sapida, condita da un frutto gustoso dal finale leggermente amaricante. Un insieme che ben si presta a fare da spalla all'esplosione di sapore e aromi della pizza con la mozzarella di bufala.
Restando sugli autoctoni campani ma saltando sulla sponda dei rossi, il Gragnano della Penisola Sorrentina resta il miglior alleato della pizza, capace di giocarsela con il migliore dei Lambruschi in circolazione. Provare quello di Grotta del Sole per credere.

venerdì 4 gennaio 2013

Genuinità e tradizione nel cuore di Firenze

Spulciando tra gli appunti di degustazione che avevo preso negli scorsi mesi senza mai avere né il tempo né la voglia di trascriverli sul blog, ho recuperato questa foto fatta a casa durante un pranzo autunnale. Ritrae il mitico fischetto del Chianti vero, quello beverino senza grandi pretese di invecchiamento, che avevo acquistato a Firenze a giugno, durante la trasferta per il concerto di Bruce Springsteen all'Artemio Franchi. Concerto alluvionato, concerto fortunato. Perché il giorno dopo, per ricaricare le batterie bagnate prima di rimettersi in marcia alla volta di Trieste, dove il Boss avrebbe suonato la sera stessa, siamo andati in caccia di una trattoria fiorentina tipica "vera". In questi casi non resta che rivolgersi a chi ci vive e non ha alcun interesse nello sponsorizzare un locale piuttosto che un altro. E per esperienza ho scoperto che gli edicolanti sono una straordinaria risorsa di indicazioni.
E così anche in quell'occasione il giornalaio di turno ci ha azzeccato, dirottandoci verso la trattoria tipica richiesta. Buona, economica e non turistica. "Andate alle Mossacce, là in fondo a sinistra". Giusto a un tiro di tappo dalla cupola del Brunelleschi.

L'opinione in sintesi
Non sto a dilungarmi troppo. Dirò solo che il posto è alla buona ma molto carino e l'ospitalità squisita quanto le pietanze tipiche toscane, da gustare gomito a gomito con gente del luogo e qualche turista meravigliato di essere capitato nel cuore di Firenze in un locale prima di tutto per i fiorentini e solo in seconda battuta per i turisti, nonostante vanti un'ottima visibilità sul web. Qui, tra taglieri misti di affettati e formaggi toscani, minestre, ribollite e trippa alla fiorentina, si mangia la vera costata alla fiorentina, quella alta tre dita e che si scioglie in bocca.
A fare compagnia al pranzo d'altri tempi abbiamo preso un Nobile di Montepulciano, buono ma di cui non ricordo il nome. All'uscita, però, mi sono fatto dare un fiasco del vino della casa, il Chianti Docg Le Mossacce, per l'appunto. Che a distanza di mesi ho aperto e mi ha restituito intatta la genuinità di quella piacevole scoperta di inizio estate. Fresco, fruttato il giusto, di medio corpo e amabilmente speziato, beverino quanto basta da lasciarne giusto un dito sul fondo del fiasco senza lasciar passare inosservata la vena selvatica tipica del Chianti "d'antan". Quello che, a differenza dei barricati e "internazionalizzati" Chianti di oggi, non ci stancheremmo mai di bere, per gusto e per prezzo.