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lunedì 21 novembre 2022

Teo Costa, il Roero che ti aspetti

Castellinaldo d'Alba visto da Guarene. Sullo sfondo,
il Cervino e il Monte Rosa.
Dalla torre di Barbaresco ammiravo il paesaggio circostante, pennellato da tutti i colori dell'autunno e incorniciato nella magnifica corona alpina imbiancata a fresco, e notavo la piega del Tanaro là sotto, e l'andamento verso nord della corrente, provocandomi una sorta di vertigine dovuta alla mia abitudine lombarda a vedere i fiumi scorrere verso sud. E allora mi sono detto perché non capovolgere anche la prospettiva vinicola e andare a scoprire cosa c'è sulla riva sinistra, nel Roero?.

Al di là dell'aspetto romantico e paesaggistico ero convinto che, per usare il caro vecchio Monopoli come metafora, passando dalle Langhe-Parco della Vittoria al Roero-piazza Giulio Cesare, anche i prezzi dei vini sarebbero stati più accessibili senza rinunciare neanche a una goccia di qualità.

Caduto l'occhio sul bricco di Guarene, dirimpettaio rispetto al feudo di Gaia, apro le mappe di Google in cerca di una cantina in zona e tra le proposte mi si accende una lampadina sul nome di Teo Costa in Castellinaldo. Deja vu o intuito chi lo sa, imposto il navigatore e si parte.

E' un primo pomeriggio di sabato, siamo nel pieno dell'alta stagione del tartufo - a Grinzane Cavour è in corso l'asta - e il cortile di Teo Costa ospita diverse auto immerse nella bruma profumata di vinaccia.

Entriamo in cantina e veniamo subito accolti dalla gentilezza di Viviana Costa che, insieme ai fratelli Manuel e Isabella, rappresenta la quinta generazione di questa famiglia di vitivinicoltori attiva dai tempi di Cavour.

La sala degustazione è molto accogliente e luminosa e offre un balcone sulle Alpi. Lo sguardo cade su alcune bestiole al pascolo nella radura sottostante. "Sono maiali neri piemontesi, che mio padre Roberto ha reintrodotto in questi anni incrociando diversi ceppi di maiale nero italiano per ripristinare questa antica razza autoctona". Muso e colletto bianchi per 200-250 kg di carne eccellente. 

"Mangiano di tutto, in questo periodo principalmente le vinacce di scarto della vinificazione".

L'ottimo salame e lo strepitoso prosciutto serviti in degustazione sono lo straordinario prodotto di questa seconda passione di casa Costa. Ma le sorprese sono appena cominciate.


Dall'Arneis al Barolo attraverso i territori della Barbera e del Dolcetto

La formula proposta è molto onesta e accattivante. La degustazione di 3 vini a scelta costa 20 euro, quella da 5 costa 30 euro. Con l'acquisto di almeno un cartone ciascuno il costo di degustazione viene azzerato. Sul tavolo scorreranno racconti del territorio, dettagli tecnici di vinificazione e grissini a volontà accompagnati dagli strepitosi salumi di nero piemontese e dal leggendario Bettelmatt, il  preziosissimo formaggio prodotto negli alpeggi dell'alta Val d'Ossola che solo un vero appassionato del buon gusto può pensare di proporre in degustazione. Anche in questo scommettiamo che c'è lo zampino del sig. Roberto.

Alla fine assaggeremo sei vini e compreremo un cartone di Roero, uno di Barbera d'Alba e una magnum di Barolo. Non sono rimasto impressionato né dall'Arneis degustato, che mi è sembrato "scappar via" un po' troppo velocemente dalla bocca, né dal Dolcetto, vinificato alla vecchia maniera senza passaggi in botte, per mantenere la sua natura di vino da tutto pasto e da tutti i giorni.

Al contrario, la Barbera d'Alba Docg Castellinaldo ha impressionato per potenza e ricchezza sia all'olfatto sia al gusto. Mi sono permesso di definirla una barbera "barolizzata", perché evidentemente la palestra del passaggio in botte le ha fatto spuntare dei muscoli da vino potente e complesso. Del resto qui si scolpisce questo volto importante alla barbera, per quella acidella, beverina e magari frizzantina chiedere nell'astigiano o nel Monferrato.

Molto buono anche il Roero Docg "Batajot", con le tipicissime note fruttate e terrose del nebbiolo e le speziature dell'affinamento, con un contorno vegetale davvero gradevole.

Dai vigneti in Novello ecco anche uno stupendo Barolo Docg "Monroj" da uve nebbiolo lampia, sontuoso vino da invecchiamento, affinato 30 mesi in botti di rovere grandi più altri sei in bottiglia, con le tipiche note tartufate e di idrocarburi e un ventaglio di aromi che si allarga sorso dopo sorso.

Tutti vini eccellenti, potenti e dall'ottimo rapporto qualità-prezzo. Una cantina dove tornare per godere dell'ospitalità e saggiare l'evoluzione dei suoi prodotti nel corso degli anni. "Arvedse" signori Costa!

martedì 13 settembre 2022

Cenere e vino

Picon, viento y océano. Sta tutta qua Lanzarote, la più selvaggia delle Isole Canarie, forgiata dai vulcani, morsa dalle onde dell'Atlantico e modellata dagli Alisei - quelli che diedero una spintarella a Cristoforo Colombo nel suo viaggio verso il nuovo mondo, per intenderci - che soffiano quasi incessantemente sulle sue coste. Un'isola estrema dall'aspetto lunare con un cuore ricco di meraviglie, proprio come la verde olivina incastonata nella nerissima pietra lavica che ricopre interamente l'isola.
L'ultima catastrofica eruzione fu quella che diede origine al parco vulcanico del Timanfaya, principale attrazione dell'isola valorizzata, come le altre perle locali, da quel geniaccio di Cesar Manrique

Vigneti a La Geria. Sullo sfondo, 
il profilo dell'imponente Caldera Blanca.
Dal 1730 al 1736 le eruzioni coprirono interamente la parte agricola di Lanzarote, costringendo nei decenni successivi gli abitanti rimasti ad abbandonare la coltura cerealicola puntando sulla viticoltura.
Una manciata di ettari in mano a pochi proprietari, spesso legati al potentato ecclesiastico, che hanno adattato la nuova coltura alle condizioni climatiche: viti basse, interrate in piccole fosse di cenere protette dal vento da muretti di pietra lavica. Queste piccole conche aiutano anche a trattenere per quanto possibile l'umidità notturna o delle rare piogge stagionali.
Risultato: poca uva di eccellente qualità, i cui aromi sono amplificati dalle forti escursioni termiche tra il giorno e la notte, come si conviene a una terra posta all'altezza del Sahara, che ogni tanto allunga sull'isola il suo alito caldo tramite la calima.
In un ambiente del genere la scelta del vitigno non poteva che ricadere su una malvasia, uva aromatica già rodata in territori estremi simili, come la nostra Pantelleria.


Lanzarote Doc Malvasia Rubicon 2021
La cantina Rubicon si trova a La Geria, piccola località nel cuore vitivinicolo di Lanzarote, nella zona centro sud, a ridosso del parco vulcanico del Timanfaya. La sua malvasia secca del 2021 è un mirabile esempio di quello che può regalare questa terra solo all'apparenza sterile. Colore giallo paglierino limpido con riflessi dorati, consistente, conquista subito per l'incredibile potenza ed eleganza dei suoi intensi profumi fruttati. Pesca gialla, ananas e mango cedono il posto al pompelmo maturo per sfumare su venature più minerali che ricordano lo zolfo e la polvere pirica. Sensazioni che si ripresentano in bocca, incastonate nel tessuto alcolico importante (13,5°) e che restano a lungo per sfumare su un finale dolceamaro. Un vino sorto dall'inferno per rallegrare la vita dei residenti e dei turisti che decidono di concedersi una pausa all'ombra di uno degli eucalipti fuori dalla bodega.
Per poi portarsi a casa qualche bottiglia da accompagnare a un pesce al forno, a un piatto di crostacei, a un formaggio duro stagionato o a qualche fetta di pata negra
L'ultimo sorso è per chiudere gli occhi e sognare di essere ancora lì, tra picòn, viento y océano. Prezzo in cantina: 10 euro.

martedì 11 novembre 2014

Trattoria rara a Pavia


La cosa curiosa è che,fino a dieci minuti prima di capitarci x caso davanti,si stava discutendo sull'assoluta mancanza a Pavia di una genuina e onesta trattoria-osteria, quando, inaspettatamente, ci siamo ritrovati davanti all'insegna de L'angolo di casa, in Piazza XXIV Maggio, 1.
Lontana dallo squallido struscio, posta in una piazzetta a un crocevia dei vicoli che dal Ticino - e dai parcheggi - salgono nel centro storico, questo locale unisce splendidamente quella sobrietà e quel calore tipico dei locali di una volta, a una gestione giovane attenta ai particolari come una cucina casereccia genuina, la musica soffusa e piacevole e una scelta dei vini fatta con criteri precisi. Certo, su alcune cose si può ancora migliorare, per esempio sulla doratura dello gnocco fritto e sulla scelta dei salumi da accompagnarvi, dando più spazio a prosciutto e culatello sacrificando la meno nobile mortadella, ma se non altro il rapporto qualità prezzo è super competitivo in una città dai locali pretenziosi quale è Pavia. Ottimi i ravioli di brasato e i dolci fatti in casa. E il vino? Onorando l'abbinamento territoriale abbiamo optato per un autoctono pavese, quell'uva rara che, unita alla croatina e alla barbera, rientra in percentuali minori nell'uvaggio della Bonarda e che, in purezza, non avevo mai assaggiato prima.

Provincia di Pavia Igt Pietro Torti Uva Rara 2013
Colore rosso violaceo molto scuro e denso, di discreta consistenza, al naso si presenta con un intenso aroma di viole e piccoli frutti rossi su un tessuto speziatissimo e selvatico. Un bouquet che è la nota distintiva dei rustici rossi della zona, e che è gradevolissima se ben equilibrata, come in questo caso. In bocca ha un frutto di eccellente freschezza che invita alla beva e aiuta a gustare meglio tutto ciò che la tradizione padana può offrirci a tavola, a partire dai salumi ai quali si accompagna bene anche per la not speziata, passando per tortelli e tortellini per arrivare, chi ce lo vieta, anche a qualche bollito misto. Davvero un ottimo vino tipico e rispettoso del terroir.

lunedì 10 novembre 2014

Cimice didattica

Curioso, che proprio quest'anno climaticamente strano anche per la scarsa presenza delle consuete cimici che sono solite intrufolarsi nelle nostre abitazioni attraverso il bucato steso e ritirato, è capitato di portare in tavola un vero e proprio succo di cimice.
Il cavallo di Troia è stato un Pinot Nero dell'Oltrepo, che mi è stato regalato e presentato come vero succo d'uva...

Ora, estimatori e detrattori a parte dell'espressione pavese di quell'uva scontrosa e volubile che è il pinot nero, interessa in questa circostanza prendere nota di uno dei più didattici difetti del vino di cui si parla nei corsi di degustazione, e che tuttavia, per fortuna, non è così come frequente come la classica "puzza di tappo" o di "straccio bagnato".


Difetto di fermentazione
Come possiamo facilmente leggere su internet, la colpa di questa terribile sensazione olfattiva è dovuta a un ceppo di alcoli superiori che si sviluppano durante la fermentazione, riconducibili a una sorta di sensazioni "erbacee distorte" che ricordano in maniera inequivocabile, appunto, la puzza delle cimici quando vengono schiacciate.
Il problema è che questo Pinot Nero pavese all'inizio si è presentato nel bicchiere con una bella effervescenza accompagnata da degli odori "confusi" ma per nulla sgradevoli. Se non fosse che, svanita dopo qualche attimo l'effervescenza iniziale, ha cominciato subito ad emanare il vomitevole difetto. Niente, cena rovinata, bottiglia nel lavandino. Pinot nero pavese rimandato a settembre dell'anno prossimo, quando le cimici, si spera, svaniranno dal vino e torneranno nell'atmosfera. 

venerdì 21 marzo 2014

Epifanie primaverili a Castel Grumello

Ci sono dei momenti in cui si è talmente assorti nelle proprie faccende lavorative che si finisce per perdere il contatto con la realtà. Ma basta poco, anche solo una gocciolina d'acqua caduta da un pergolato apparentemente rinsecchito, per smontare in un millisecondo il castello di carte sopra cui siamo saliti e  riportarci con i piedi per terra a ricordarci chi siamo e da dove veniamo.
Peccato che queste joyciane epifanie capitino di rado. Ebbene, una mi è piovuta nel piatto qualche giorno fa, durante un assolato pranzo di lavoro a Sondrio, in verità un duecento metri sopra il capoluogo valtellinese, precisamente sotto un berceau del ristoro sospeso tra le vigne di Nino Negri e il panoramico Castel Grumello, di proprietà del FAI.
A maniche di camicia rimboccate sotto un sole già cocente a metà marzo, si parlava di mutui, di politica e società con due pezzi grossi della Banca popolare di Sondrio, quando una gocciolina è caduta sul telefonino appoggiato sulla tavola. Poi un'altra sul coltello e un'altra ancora sulla testa. Preoccupato dello scherzo di qualche passero in volo radente sopra la torre diroccata del castello, alzo lo sguardo strizzando gli occhi al sole e mi accorgo che, invece, sono protagonista del fenomeno più commovente per un viticoltore: il pianto della vite.
La linfa che dalle radici ricomincia a pulsare nella pianta finisce per trovare sfogo nei tagli delle potature più recenti. E' la più preziosa testimonianza dell'eterna rinascita della natura, che fa da contrasto con un corpo ancora secco e apparentemente privo di vita.

Per brindare a un simile evento in compagnia dei tradizionali kiscioeul, le frittelline di grano saraceno ripiene di Casera (varianti locali degli sciatt del fondovalle), e di una tagliata di manzo da tagliarsi con lo sguardo, abbiamo scelto il vino più territoriale possibile, perché proveniente dai vigneti terrazzati poco sotto di noi, sulla collina rocciosa del Sassorosso.

Valtellina Superiore Docg "Sassorosso" 2009 A.Pelizzatti
Da uve chiavennasca, locale varietà del nebbiolo, questa etichetta entrata a far parte negli anni Ottanta della grande famiglia vinicola di Nino Negri e del GIV, è un grandioso rappresentante del "cru" del Grumello, uno dei 5 supervaltellinesi insieme al Sassella, all'Inferno, al Maroggia e al Valgella. Colore rosso granato scarico, ha profumo etereo di piccoli frutti rossi e di viole appassite, accompagnati da un coro di note speziate dolciamare di cannella, tabacco e cacao. In bocca è caldo e armonioso, asciutto e di ottima acidità, sapido e con una persistenza che, sorso dopo sorso, tiene il ritmo delle goccioline che seguitano a cadere, rare e leggere, sulla tavola.
Un vino territoriale buono e commovente, da non lasciarne sul fondo della bottiglia nemmeno una lacrima.
Voto: 88.

lunedì 2 settembre 2013

Un Lugana dall'ottimo rapporto qualità-prezzo


Secondo capitolo dedicato al Lugana, il bianco gardesano prodotto tra Brescia e Verona con le uve del trebbiano di Lugana, localmente noto come turbiana, che altro non è che la stessa varetà di verdicchio che dà prestigio alla tradizione vinicola delle Marche.
Il Lugana Doc è tradizionalmente associato alla cucina di pesce di lago, o comunque d'acqua dolce, per via dell'ottima struttura alcolica e sapida e della spiccata acidità agrumata che ben valorizzano la decisa tendenza dolce e grassa di gran parte delle preparazioni a base di lavarello, pesce persico, trote, tinche, ecc.ecc.
Ciò non toglie, chiaramente, che questo vino possa allietare qualsiasi piatto a base di verdure e carni bianche. Evitiamo magari di svilirlo su pur squisite minestre di verdura e sulla classica pizza. Si tratta infatti di un bianco, come detto, soltamente "importante", con una componente alcolica minima del 13%, che rischierebbe di fare la voce grossa con pietanze non altrettanto strutturate. E parliamo della versione base, figuriamoci la "Superiore" e la "Riserva"!
Piuttosto beviamolo da solo, come aperitivo. Ed è stato proprio nel corso di un semplice aperitivo in un bar nel centro di Lecco che ho scoperto il "Pergola" della Civielle, la "Cantina della Lugana e della Valtènesi".

Ritrovato presso il punto vendita della cantina nella mia recente visita a Manerba, l'ho riassaggiato sul posto e mi ha deluso un pochino per colpa della temperatura di servizio un po' altina. L'ho stappato domenica a pranzo bello freddo di frigorifero x accompagnare un risotto limone e rosmarino seguito da una trota al curry con patate e, che dire, notevole.

Lugana Doc "Pergola" 2012
Colore giallo paglierino brillante con riflessi verdolini, ha spiccati aromi agrumati, di limoni freschi e pompelmo, seguito da note floreali e da un tocco di erba fresca appena tagliata. In bocca è dotato di una buona struttura alcolica che scalda la bocca, ha una bellissima acidità sostenuta anche dalle decise sensazioni agrumate che corrono parallele alla buona sapidità. Il finale amarognolo ha discreta persistenza. Davvero un buon vino a 6,70 €. Per i miei gusti l'avrei preferito con almeno mezzo grado alcolico di meno e con una sapidità ancora più marcata, ma sono, appunto, gusti personali.
Punteggio: 80.

giovedì 17 gennaio 2013

Una Forastera a Milano

Capita, con cadenza ormai mensile, di uscire per una pizza a Milano con i colleghi d'Avellino e dintorni che, come tanti altri ragazzi della Campania, si sono trasferiti da tempo nella metropoli lombarda per lavoro. Una volta erano le fabbriche ad attirare la manodopera "forestiera", oggi, a seguito della corsa alle lauree che ha intasato la domanda di lavoro nel nostro Paese, sono gli uffici.
Detto questo, è inevitabile che per un campano doc il richiamo per la propria terra sia irresistibile soprattutto quando si parla di pizza, e così da tempo abbiamo consacrato la pizzeria Sciuscià di via Procaccini come il luogo della nostra piacevole consuetudine.

L'ultima volta che ci siamo stati, ad accompagnare gli ottimi friarelli di antipasto e la successiva "bufala alla napoletana" con soffice cornicione "vista Vomero", abbiamo scelto un bianco tipico della Campania. Anzi, delle isole napoletane, di Ischia, per la precisione.
Ricordo che ne parlava con entusiasmo con la sua inconfondibile passione contagiosa il buon Guido Invernizzi, medico e sommelier docente AIS, durante una sua memorabile lezione sui vitigni autoctoni italiani.
Dissertava con tale godimento di "biancolella e forastera", che il binomio mi è rimasto in mente per anni e finalmente mi sono ritrovato a testarlo, almeno in parte, di persona.

Ischia Igt Forastera "Euposia" 2010 - Casa d'Ambra
Un bianco profumato di fiori, agrumi freschi e di erbe mediterranee, di buon corpo e dalla seducente struttura sapida, condita da un frutto gustoso dal finale leggermente amaricante. Un insieme che ben si presta a fare da spalla all'esplosione di sapore e aromi della pizza con la mozzarella di bufala.
Restando sugli autoctoni campani ma saltando sulla sponda dei rossi, il Gragnano della Penisola Sorrentina resta il miglior alleato della pizza, capace di giocarsela con il migliore dei Lambruschi in circolazione. Provare quello di Grotta del Sole per credere.

mercoledì 21 novembre 2012

Una Schiava per ogni stagione

Se cercate traccia dell'azienda in internet vedrete scorrere un lungo elenco di offerte dei suoi vini in vari siti comparativi e nulla più sulla proprietà. Solo i più abili smanettoni, incuriositi dal mistero, arriveranno a scoprire che la misteriosa Cielle Vini, produttrice di vini trentini da supermercato con un eccellente rapporto qualità-prezzo, fa capo sempre a lei, La Vis.
In particolare, il Lago di Caldaro Doc Terresomme, che a più riprese nel corso degli ultimi mesi ho trovato in offerta all'Esselunga di Pavia al prezzo di poco più di 2 euro a bottiglia, mi è piaciuto tanto da comprarne nell'arco di quest'anno 12 bottiglie che hanno accompagnato vari piatti dalla primavera fino a questa imminente stagione invernale. La più recente l'ho stappata in occasione di una cenetta dai richiami asburgici che vedete in foto, abbinata a un bel salsicciotto altoatesino con patate, crauti e lenticchie, e ha fatto come sempre la sua egregia figura.
Questo rosso "quasi rosato" da uve schiava è il classico vino da tutto pasto, leggero, delicato e gradevolmente fruttato, di struttura esile, quasi per nulla tannico e di buona freschezza. Un vino da bere nella bella stagione quasi come bibita, che ben si presta ad accompagnare minestre di cereali e pietanze semplici di carne e di pesce, mi raccomando senza note acide 'ché il vino di acidità ne ha già abbastanza di sua, né amare, visto che la schiava "chiude" col caratteristico finale amarognolo.
E poi è tipico, non la confondi con nessun altro vitigno. Può piacere e può non piacere. A me personalmente piace un sacco perché mi ricorda lontanamente la preziosa delicatezza di piccoli frutti rossi, tipica di alcuni giovani pinot nero che capita di bere nei "villages" borgognoni.

giovedì 3 marzo 2011

Freisa, una nuova procuginetta per il nebbiolo?

Come capita agli uomini, anche le uve alzano la cresta - e le 'ali', laddove ci sono - per rivendicare titoli nobiliari. Se non fosse che lo fanno sempre per bocca degli uomini. In questi giorni ho letto un articolo su una rivista specializzata, ok niente misteri su deVinis, il mensile dell'Ais, sul recupero dell'antica vigna di Villa della Regina, a Torino. Meno di un ettaro dove sono state impiantate 2700 barbatelle di freisa, con vista sulle Alpi e sulla Mole Antonelliana. L'autore getta tra le righe con non-chalance il fatto che nuovi studi ampelografici condotti da tale dottoressa Anna Schneider hanno rilevato una parentela di questa uva rossa tipica del Piemonte e in particolare del torinese (Doc Chieri) e dell'astigiano (Doc Asti) con il mitico nebbiolo, il re delle Langhe e grande notabile nella ristretta cerchia dei vitigni più pregiati del mondo. Parentela possibile, oppure una trovata pubblicitaria per attirare visitatori in questa restaurata vigna di città, rarità che la prima capitale d'Italia condivide con Parigi e Vienna?

Differenze da manuale
Ecco come i manuali specializzati descrivono questi due vitigni. A voi decidere se elevare la freisa a una sorta di procuginetta del nebbiolo o declassarla a Cenerentola in cerca del suo Principe azzurro.
NEBBIOLO: grappolo piramidale, alato, piuttosto allungato, abbastanza compatto. Acino medio-piccolo, rotondo o ellissoidale, con buccia sottile e consistente, molto 'pruinosa'. Ciclo vegetativo lunghissimo, vendemmia fino a novembre. Acini ricchissimi di acidi, zuccheri e polifenoli, per vini austeri e molto strutturati.
FREISA: grappolo medio, cilindrico, aperto quasi spargolo, acino medio, tondo con buccia pruinosa sottile e resistente, nero bluastro. Maturazione precoce, grande flessibilità in vinificazione per vini giovani o invecchiati, secchi o dolci, mossi o fermi.