sabato 27 dicembre 2008

Quazzolo, che Barbaresco!

Non è che ne abbia provati proprio tanti, di Barbaresco. Ma la bottiglia che ho aperto ieri a Santo Stefano mi è proprio piaciuta e ha reso ancora più buoni gli avanzi di Natale. Che, a chiamarli avanzi, si fa un torto a chi muore di fame.
Tra i piatti che sono sfuggiti alla fame atavica dei convitati natalizi c'era una saporitissima corona di costine di maiale, del branzino al forno, forse un po' troppo ricco di salsa, e dello spezzatino di tonno, cotto in un delizioso sughetto leggermente piccante.
Tolta la bottiglia dalla mia gelida cantina solo una mezz'ora prima del pranzo, l'ho subito stappata e messa in tavola.
Poi ne ho versato un goccio nel mio calice, per tenere la temperatura sotto controllo.
Complice il freddo che inibisce le sensazioni olfattive dei grandi rossi da invecchiamento, questo vino ci ha messo un po' a riprendersi. Poi, grado dopo grado, ha cominciato a ingranare e a fare le debite presentazioni. Approfittando di una temperatura ancora sotto i 16 gradi, prima di dare l'assalto alla corona di costine ho voluto metterlo a confronto con i due piatti strutturati di pesce. E qui c'è stata la sorpresa. Non avrei mai pensato che un simile abbinamento potesse essere così sublime.
Stupendo anche, con un paio di gradi in più, accompagnato al secondo di carne.
Insomma, Barbaresco beverino? Ma sì, perché no!

Barbaresco Docg 2005 di Quazzolo Carlo
Colore rosso granato scarico con riflessi aranciati, bello limpido e consistente.
Naso in crescendo, ricco di sentori di frutta rossa matura, di fiori secchi, bergamotto e spezie come la cannella e i chiodi di garofano.
Gusto pieno e avvolgente, secco e morbido, moderatamente fresco e tannico, di bella sapidità. Buono il riscontro gusto-olfattivo.
Insomma, un Barbaresco essenziale e ben fatto, dalla struttura tannica piuttosto esile che esclude la possibilità di un lungo invecchiamento. Tuttavia è di beva piacevolissima e ha una grande territorialità. Un grande piemontese Docg a un prezzo assolutamente alla portata (di carne o di pesce): 14 € all'enoteca regionale di Barbaresco.
Nicola Taffuri

venerdì 19 dicembre 2008

Un brindisi speciale con lo Sforzato

L'ultimo venerdì lavorativo prima delle vacanze di Natale è solitamente riservato alle cene aziendali, più o meno tristi e fantozziane, in cui gli inossidabili ottimisti sperano sempre in qualche premio di produzione mentre gli irriducibili realisti sanno bene che, nella migliore delle ipotesi, arriverà un panettone dell'anno precedente.
Forse dico queste cattiverie per invidia, perché il vecchio editore per il quale ho lavorato per cinque anni era solito fare, invece, un mega-sorteggione sì fantozziano ma con ricchi premi come I-pod da 8 GB, supertelevisori e weekend a spasso nelle capitali europee.
Io per ben quattro volte su cinque ho vinto delle bottiglie di vino di poco conto e, quando dall'urna finalmente benevola si è deciso a spuntare un "finesettimana a Parigi", sono stato tanto fesso che l'ho regalato in famiglia. Tant'è.
Insomma, diciamocela chiara, rispetto a una formale cena aziendale è sempre meglio una bella degustazione tra amici. Specie quando il tempo da lupi rende automatico cercare un po' di autoconsolazione con vini rossi come lo Sforzato, capace di scaldare il cuore e rinfrancare l'animo.
Anche questa volta riporto il racconto appassionato di Anna Campidori, organizzatrice e protagonista, con la sorella Paola, di una degustazione orizzontale di Sforzati del 2001 presso l'Hotel ristorante San Gerolamo di Vercurago (Lc).

"Lento incedere verso l'apoteosi" - di Anna Campidori
"Un inizio soft, considerato quello che sarebbe venuto dopo. La degustazione è cominciata, infatti, con un “semplice” Valtellina superiore, Primi Raggi di Ar.pe.pe., gentile espressione del nebbiolo di montagna. Mi ha colpito per la sua eleganza e bevibilità tanto che, trasgredendo alle regole della degustazione per cui sarebbe consigliato lasciare nel bicchiere un po’ di vino per un successivo assaggio, il mio calice, come tanti altri, è rimasto vuoto.
Dopo questa piacevole entrée ci siamo accomodati a tavola, dove ci aspettavano quattro invitanti bicchieri colmi di vino rosso granato che fino a poco prima avevano riposato pazientemente nella cantina di Campidori Selections. Erano ordinatamente disposti secondo l’ordine previsto per la degustazione: Canua di Sertoli Salis, Fruttaio Ca’ Rizzieri di Rainoldi, Albareda di Mamete Prevostini ed il 5 Stelle di Nino Negri, tutti dell’annata 2001.
I vini erano accompagnati da uno splendido piatto di formaggi: ammetto di essermi dovuta trattenere a fatica dal fare un immediato assaggio per non falsare i sapori degli sforzati.
Difficile comunque sovrastare vini di tale potenza!
Il nebbiolo, appassito sui graticci, si carica di sapore, di concentrazione, di alcolicità, diventando nello sforzato vino imponente e robusto, ma dall’immensa piacevolezza.
La cosa più interessante dell’orizzontale è stata constatare come un vino proveniente dalla stessa zona, della stessa annata, dello stesso vitigno utilizzato in purezza si esprimesse in modo tanto diverso.
A Canua di Sertoli Salis, più “beverino” rispetto agli altri, pulito, dal sapore di marasca ma mai “marmellatoso”, è seguito Fruttaio Carizzieri di Rainoldi, più robusto, che regalava al palato le dolci note di barrique in cui questo sforzato riposa per 15 mesi.
L’Albareda riempiva invece la bocca con sentori di uva passa, frutta in confettura, incantando con il suo tocco caldo e vigoroso.
Come tanti altri ospiti presenti alla serata, che già conoscevano e amavano gli sforzati, ho aspettato di gustarmi questi vini prima di passare all’ultimo assaggio: lo Sforzato 5 stelle di Nino Negri.
Un’attesa giustificata dalla consapevolezza di trovarmi di fronte ad uno sforzato completamente diverso dai precedenti, che ha invaso il palato con il vigore di fiume in piena, inondandolo con un’evoluzione di sapori di frutta matura, in confettura, liquirizia e note speziate. Robusto e imponente come le montagne della Valtellina, ma anche vellutato, morbido ed elegante.
Un finale trionfale coronato dal più azzeccato dei connubi: un fumante piatto di pizzoccheri."

martedì 16 dicembre 2008

Un rosso buono a 360 gradi

L'altro giorno, domenica, mi sono trascinato giù dal letto alle 11 passate, con in bocca ancora l'amaro delle 3 birre medie che mi ero bevuto qualche ora prima, durante e dopo il concerto pazzesco del gruppo pesarese dei Cheap Wine. In italiano, "vino economico". Del resto, quando ti offrono da bere, pare brutto non ricambiare, no?
Il cerchio alla testa e un vago senso di nausea mi hanno fatto subito pensare "oggi riso in bianco e patate lesse". Mentre scendevo le scale, tuttavia, il caldo e profumato tepore proveniente dalla cucina ha mandato lentamente in fumo, gradino dopo gradino, i miei propositi dietetici. Appurato che in pentola stava rosolando lentamente un enorme polpettone, mentre il forno era già pronto per accogliere due teglie di patate con aglio, rosmarino e aromi vari, ho deciso di prolungare la mia discesa alla realtà di un'altra rampa di scale. Sono andato in cantina a cercare un vino rosso in grado di celebrare degnamente l'amorevole sforzo culinario materno.
Dopo una breve occhiata alla cantinetta e l'amara - anche questa! - constatazione che sarebbe stato difficile averne a sufficienza per tutte le alzate di calici dell'incombente perido festivo, ho deciso di sacrificare per il mio polpettone con patate un vino rosso della tenuta Bosco del Merlo di Annone Veneto, dal 1977 fiore all'occhiello delle Cantine Paladin.

Gusto internazionale a tutto tondo
Il Ruber Capite è un Igt Delle Venezie, frutto di un particolare taglio bordolese di uve cabernet sauvignon, cabernet franc, merlot e malbech. Io ho assaggiato l'annata 2003 e, nonostante i 5 anni e più trascorsi dalla vendemmia, mi è sembrata essere ancora in grande forma.
Colore rosso granato molto scuro e consistente, profumi eleganti per finezza, intensità e complessità. Servito a 16 gradi si dà tempo al vino di svelarci poco alla volta le ricche sfumature aromatiche che lo caratterizzano. Le sensazioni fruttate di prugna e ciliegia matura si integrano bene con le note erbacee del cabernet franc, e vanno ad arricchirsi di pregevoli note speziate di cuoio, pepe verde e, soprattutto, di tabacco dolce.
In bocca rispetta in pieno le ottime aspettative avute al naso, è rotondo e facile da bere, anche in virtù di una componente alcolica aggraziata (13%). Buona la persistenza, davvero eccellente il "tete à tete" con il polpettone di vitello e salsiccia e con le patate al forno. Ah, dimenticavo. Ottimo pure con il pecorino di media stagionatura che ha fatto da dessert, prima del caffé finale. Niente ammazzacaffé, del resto ero a dieta, no?
Prezzo del vino: 18 euro in enoteca. Mica tanto cheap ma decisamente good...
Nicola Taffuri

martedì 9 dicembre 2008

Alla scoperta della ricetta del Braulio

L'amaro Braulio è uno dei liquori più antichi d'Italia. Nacque nel 1875, ben 100 anni prima del sottoscritto, dal genio di Francesco Peloni, che aveva deciso di seguire anch'egli la via del padre farmacista in quel di Bormio, nell'alta Valtellina.
Non bisogna quindi scandalizzarsi se i palati meno allenati alle degustazioni, quando bevono un sorso di amaro, azzardano frasi del tipo "sa di sciroppo per la tosse". Per forza, niente di più facile che l'abbia fatto un monaco, un alchimista o un moderno farmacista.
Mia sorella, per esempio, che in passato ha avuto qualche guaio con le tonsille, ha detto che il Braulio le fa schifo perché le ricorda il propoli. In realtà non le piace perché associa il suo sapore ai febbroni e ai mal di gola patiti da bambina, quando i nostri genitori le spalmavano le tonsille con l'alcolicissima "tintura delle api".
Effettivamente la nota di propoli è innegabile. Così come è altrettanto evidente l'aroma del ginepro, della menta, della canfora e della resina di pino. Ma quali sono gli ingredienti del Braulio?
La ricetta, ovviamente, è segreta. Del resto mica si può pretendere che, dopo anni e anni passati ad andar per bacche e a distillare radici, si sia disposti a cedere a chicchessia la ricetta del tanto agognato "elisir di lunga vita".
Di certo si sa che il segreto del Braulio sta nel gioco virtuoso tra l'acqua di Bormio, la sapiente distillazione di erbe, bacche e radici che crescono alle pendici del monte Braulio, nel Parco Nazionale dello Stelvio, e, infine, nell'invecchiamento del liquore in botti di legno di rovere di Slavonia.
Da tempo la forte richiesta commerciale ha imposto di andare a raccogliere gli ingredienti altrove. Il farmacista, insomma, si è fatto industriale. Però nulla ha tolto alla genuinità e alla tipicità del prodotto.
Del resto la stessa cosa è accaduta anche per un'altra specialità della Valtellina, la Bresaola, proveniente ormai interamente da tagli di manzi argentini.
Tornando alla ricetta, con un po' di attenzione e un pizzico di malizia non è così difficile cogliere alcuni degli ingredienti fondamentali. Il nostro campo di ricerca, infatti, dovrà per forza di cose essere limitato alla vegetazione di questa zona alpina.
Io scommetto su ginepro, genziana, achillea moscata, menta piperita.
Rilancio sul propoli e sull'artemisia, la stessa del Genepì (altro liquore alpino) e dell'assenzio, l'elisir proibito tanto amato dai poeti maledetti.
Infine butto sul tavolo la carta della rosa canina e quella della liquirizia.
Forza, compratevi una bottiglia (c.ca 9 € quella da 0,70 l.) e giocate con me. Non amo fare i solitari.
N.T.

giovedì 4 dicembre 2008

Ritorni di capra su fumi alcolici

Che nottata. Trascorsa attaccato alla bottiglia dell'acqua minerale, a ripensare a quanto era buono quel fatidico "bis" di superbo gorgonzola di capra servito a chiusura della serata, principale imputato per l'arsura notturna. Mi sono sentito come quel tizio della pubblicità del digestivo Brioschi che si sveglia di soprassalto con un cinghiale - che poi hanno sbagliato xché pare trattasi di facocero - sopra le coperte. Solo che nel mio caso l'animale era un caprone.

A spasso nel girone dei Golosi

La serata era cominciata con degli spuntini di lardo accompagnati egregiamente da una fresca flute di Clarius Rosé Brut della trentina Concilio. E uno.
Un piatto di antipasti super con bresaola d'anatra, salame di cinghiale, speck d'oca, fegato d'oca e altre prelibatezze dal sapore deciso e tendente al dolce ci hanno indirizzati verso lo Chardonnay Yarden, un israeliano di straordinaria struttura e freschezza. E due.
Poi un sorso, giusto uno!, d'acqua e via alla degustazione alla cieca di quattro rossi, cercando di indovinare in quale ordine erano stati serviti un Chianti, un Cabernet, un Aglianico e un Primitivo.
Ok, lo ammetto. A naso ho azzeccato solo il Cabernet, e che Cabernet, visto che era quello de Le Vigne di Zamò, straordinaria azienda del Collio Goriziano. Fortuna che le mie delusioni da aspirante sommelier hanno trovato degna consolazione con un filetto di manzo morbido come il burro, alto due dita e avvolto nello speck. Bagnato con, oltre al Cabernet: un Chianti Classico Riserva di Fattoria di Petrognano, dell'amico Pietro Pellegrini. Un Primitivo anzi "il" Primitivo di Conti Zecca, visto che nella tipologia è difficile trovare di meglio.
Discorso analogo per l'Aglianico del Vulture Il Repertorio di Cantine del Notaio, anch'esso un "must" assoluto nella sua denominazione. E con questi sono sei vini.
E' tempo di dessert. Dolci? Macché. Si va di formaggi, sei assaggi in tutto, tra i quali il più leggero era un caprino come si deve, mica di vacca ma di capra...
Immolato l'ultimo sorso di Chianti con un latteria della Valtellina, mi sono concentrato su quello che Fabio Folonaro, titolare e sommelier del Ristorante Il Tetto Bianzolo, il nostro Virgilio che ci ha condotti in questa passeggiata nel girone dei golosi, ha presentato come un "azzardo".
Un formaggio stagionato nelle vinacce, simile al Castelmagno. E, soprattutto, un rarissimo gorgonzola di capra. Da intingere nel miele o nella mostarda e da provare con un San Martino della Battaglia Passito. Delirio dei sensi che ha meritato un bis.
Dopodiché la sete di curiosità degli scalmanati convitati ha preso il sopravvento sul buonsenso che suggeriva "caffé doppio e tutti a casa". Abbiamo degustato la Tripple, una magnifica birra belga da 7,5°, poi uno Sherry, un Whisky torbato scozzese, ancora bollicine trentine con il Ferrari Perlé, e infine un bicchierino del Greco di Bianco di Vintripodi, un passito da centellinare enumerando una a una le sue mille sfumature.
A mente - quasi - lucida, non sono più tanto convinto che l'arsura notturna sia stata provocata da due pezzettini di delizioso gorgonzola di capra...espiatoria.

N.T.