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lunedì 28 febbraio 2011

Il favorito di Napoleone Bonaparte

Certo, stappare una bottiglia di Jacquesson Cuvée 733 per accompagnare un comunissimo risotto al radicchio può sembrare quasi una bestemmia. Anche perché il gusto amarognolo dell'insalata rossa trevisana rischia di fare a gomitate con la spinta acidità che caratterizza questo prestigioso Champagne. Però sono davvero pochi i momenti per cui vale la pena stappare una bottiglia del genere, e ad aspettare di rischia di far andare a male il vino, specie se non si possiedono cantinette climatizzate. E poi alle volte è bello mettere alla prova le bollicine più raffinate e versatili del mondo anche con piatti all'apparenza 'difficili'. Per arrivare poi alla conclusione che no, fatta eccezione per i dolci al cioccolato e per le portate con aceto e limone, non esiste un piatto che non possa andare d'accordo con uno Champagne di classe.

Champagne Jacquesson Cuvée n°733

Nate nel 1798, le bollicine di Memmie Jacquesson divennero presto le preferite di Napoleone, che nel 1810 assegnò alla piccola maison di Dizy, alle porte di Aÿ, la "medaglia d'oro per la bellezza e la ricchezza delle sue cantine". Ancora oggi l'azienda ha mantenuto le ridotte dimensioni di allora che consentono agli attuali proprietari, i fratelli Chiquet, di lavorare in maniera assolutamente non industriale sulle 350mila bottiglie l'anno prodotte. Senza diserbanti né pesticidi, selezionando le migliori uve dai premier cru e grand cru della Valle della Marna e della Cote des blancs, e vinificandole senza filtrazioni. La cuvée numero 733 è figlia in buona parte dell'annata 2005, con la 'correzione' di vini di riserva delle annate 2004 e 2001. Dal primo assaggio è evidente che il vitigno prevalente è lo chardonnay, che occupa il 52% dell'uvaggio, completato da un 24% di pinot noir e 24% di pinot meunier.
Il colore è giallo dorato cristallino, il perlage è di una finezza straordinaria, e le minuscole bollicine liberano al naso raffinati sentori di agrumi freschi, fior d'arancio, magnolia e giacinto, rese ancora più fragranti dall'aroma del pane appena sfornato e dei biscotti al limone.
In bocca è generosissimo e di una freschezza assoluta, un Brut secchissimo - solo 2,5 gr/l di zuccheri aggiunti dopo il dégorgement - di una piacevolezza fuori dal comune.
Cremoso, complesso ed elegantissimo, ha una veste talmente delicata da rendere aggraziate anche le forme rustiche e spigolose di un risotto formaggio e radicchio.
In enoteca si trova a 45 euro, al ristorante 60 euro è un prezzo ancora onesto per uno Champagne che lascia il segno. In Italia lo distribuisce Pellegrini.

domenica 28 novembre 2010

A tu per tu con un mito

Non capita spesso di trovarsi faccia a faccia con un enologo di fama internazionale. E Régis Camus è senza dubbio uno dei più grandi winemaker della storia dello Champagne. In forza dal 1994 alla storica maison Piper Heidsieck (1785), dal 2002 ha ereditato dal suo maestro Daniel Thibault il ruolo di chef de cave nella prestigiosa casa spumantistica di Reims. Da allora è stato premiato per ben cinque volte come "Winemaker dell’anno" dall’UK International Wine Challenge (2004, 2007, 2008, 2009, 2010). Sempre nel 2010 la competizione internazionale britannica ha eletto il suo Charles Heidsieck Brut Vintage 2000 come il migliore Champagne dell’anno. Nonostante i trionfi e un potere pressocché assoluto sull'impronta da dare ai 9milioni di bottiglie che escono ogni anno dai due marchi Piper Heidsieck (8 milioni) e Charles Heidsieck (1 milione) che egli stesso ha voluto unificare e vinificare nel medesimo stabilimento, Régis mantiene sempre quell'espressione sardonica da mente illuminata e relativista e snocciola aneddoti divertenti come a dire: "Suvvia, stiamo sempre parlando di bollicine". Già, ma che bollicine! Qui siamo a livelli di qualità eccelsi. Questo è lo Champagne. Tutto il resto, fuori dalla denominazione, non è altro che "sparkling wine", come tiene a sottolineare la responsabile marcketing dell'azienda, a proposito delle neonate bollicine inglesi.
Per lo Champagne ci vuole quella terra lì, 150 km a est di Parigi, fredda e umida fuori ma scaldata nel ventre da uno strato di gesso spesso parecchie decine di metri, dove i romani scavarono miniere a forma di piramidi (le crayères, le 'gessaie') e dove, a partire dal 1600, vennero create le prime cantine di invecchiamento del neonato 'vino rifermentato'.
Lì sotto, infatti, la temperatura è sempre intorno agli 11°C, la luce filtra fioca dalle poche aperture nel terreno, 20 metri più in alto, e il gesso morbido attutisce la pur minima vibrazione. E' lì che, prima su cataste e poi sulle pupitres in attesa della sboccatura, riposano "sur liés", sui lieviti, tutte le bottiglie della maison. Minimo 24 mesi il Brut di Piper, 36 quello di Charles. Per arrivare ai minimo 5 e 8 anni per i rispettivi Millesimati. Come quello, per l'appunto, fresco vincitore a Londra.
E poi ci vogliono quel tris di vitigni chardonnay, pinot nero e pinot meunier che solo a Reims e dintorni trovano le condizioni ideali per dare vita ai vins clairs, ovvero alle basi, i vini fermi che, assemblati e addizionati di lieviti e zuccheri, rendono possibile il miracolo del metodo champenois.
Ed è proprio qui che, da settembre a giugno, interviene lo chef de cave. Assaggiando, testando, confrontando le caratteristiche dei vini fermi prodotti dalla vinificazione separata dei tre vitigni, provenienti dagli oltre 200 cru da cui si rifornisce l'azienda. Solo un 10% dei vigneti, infatti, è di proprietà della maison; le altre uve vengono acquistate da contadini 'récoltants'. Ogni giorno Régis e la sua ristretta squadra di collaboratori assaggiano e confrontano i vari campioni di vino. E in un gioco a esclusione danno le pagelle e decidono come comporre le varie cuvée. Quali vini e di quali cru destinare a Charles e quali a Piper. Quali quelli che possono dare vita a dei millesimi memorabili e quali quelli tanto eccelsi da andare a rimpinguare le riserve destinate a correggere negli anni a seguire le annate meno fortunate. Come quella scipita e annacquata del 2001, oppure quella torrida e surmatura del 2003.
Altro compito dello chef de cave è proprio quello di mantenere il prodotto sempre ad altissimi livelli di qualità, anno dopo anno, e di renderlo sempre riconoscibile.
Il tutto, come dice Régis, "vestendo l'austero pinot nero con gli aromi floreali e fruttati dello chardonnay e con il colore e l'allegria del pinot meunier".
Per un vino unico e inimitabile. Perché, è lui a ricordarcelo, "sempre di vino stiamo parlando".