mercoledì 30 gennaio 2008

Emozione pura


Vitigno internazionale per antonomasia, il merlot ha una grande diffusione anche in Italia.
Dal Friuli alla Sicilia, quasi ogni viticoltore si confronta con questa uva a bacca rossa capace di dare grandissimi vini a latitudini anche molto diverse tra loro.
I risultati, tuttavia, non sono sempre gli stessi.
Se, a detta di molti, non è impresa troppo ardua riuscire a bere un buon Merlot, non è affatto facile scovare quello capace di lasciare il segno, e magari finire nell'immaginaria "top ten" dei nostri vini preferiti.
Insomma, tra bontà ed eccellenza c'è la stessa differenza che passa tra un bel dipinto e un'opera d'arte.
Eccolo qua, allora, il piccolo capolavoro che abbiamo potuto assaggiare in occasione della sua presentazione alla stampa.
Si chiama "Il Puro", è un Piave Doc Merlot del 2006, è prodotto dalla Casa Vinicola veneta Astoria, ed è fresco di conquista del premio come Miglior Merlot d'Italia, un riconoscimento ottenuto alla fine di un prestigioso concorso enologico tenutosi in ottobre ad Aldeno, in Trentino.
Facciamo la sua conoscenza.

La degustazione
Entra in scena con un bel vestito rosso rubino molto intenso e brillante con dei riflessi porpora indicativi della sua giovane età.
La sua opera di seduzione continua con l'eleganza degli intensi profumi fruttati che ricordano i mirtilli e le amarene sotto spirito, accompagnati da sentori di pepe nero e liquirizia.
In bocca abbiamo subito la conferma di trovarci a che fare con un vino corposo e di grande piacevolezza. Ritornano le ottime sensazioni fruttate e speziate percepite al naso, è fresco e giustamente astringente per via di un tannino vispo che tuttavia non disturba affatto. Buona anche la persistenza che ci invita a bere un altro sorso.
Nulla da dire. "Il Puro" è davvero un Merlot ben riuscito, da gustare con qualsiasi piatto a base di carni bianche e rosse, arrosto o alla griglia, serbandone magari un goccio per la fine del pasto. Sarà altrettanto ottimo, infatti, con la Fontina valdostana oppure, tanto per restare nella zona di produzione del vino, con il formaggio Piave.
In enoteca si trova a circa 10 euro, poco per un Merlot di simile fattura. Possiamo berlo ora ma il consiglio è di dimenticarcene qualche bottiglia in cantina. Convinti che, se oggi ci ha sedotti, tra 2-3 anni saprà farci innamorare.
Nicola Taffuri

martedì 29 gennaio 2008

Altro che fratello minore del Brunello

Molti appassionati di vino sono soliti definire il Rosso di Montalcino Doc come il "fratello minore del Brunello". Stesso terreno, medesimo vitigno, il sangiovese grosso, quasi sempre stessi vigneti.
Variabili come la minore resa dei vigneti, la maggiore selezione delle uve, i tempi di affinamento più lunghi permettono al Brunello di elevarsi al di sopra del Rosso.
Tuttavia, nonostante la rigidità dei disciplinari di produzione, i vignaioli hanno un certo margine di libertà che consente loro di allargare o restringere la forbice esistente tra i due vini.
E così capita di assaggiare Rossi di Montalcino molto semplici e beverini, e altri, invece, tanto corposi e strutturati da riuscire a stare al passo con un Brunello di classe.
Davvero eccellente e meritevole delle migliori attenzioni, per esempio, è il Rosso di Montalcino Doc 2005 dell'azienda La Rasina, di Marco Mantegoli.
La degustazione
Colore rosso porpora molto scuro, i profumi sono intensi ed eleganti e ricordano le ciliegie mature e i frutti di bosco come il lampone. A seguire si apprezzano i sentori speziati di chiodi di garofano e pepe nero, e un lieve aroma di cuoio, molto tipico di vitigni come il sangiovese.
In bocca è sapido, morbido, corposo e ben strutturato, con un tannino giustamente astringente, anche in virtù di un'età ancora giovanile. Ottima la corrispondenza con i sentori fruttati e speziati percepiti al naso, eccellente anche la persistenza.
Insomma, con soli 19 euro, tanti ne costa in enoteca, possiamo portarci a casa un vino che non ha niente da invidiare a un ben più costoso Brunello di buona qualità.


Nicola Taffuri

giovedì 10 gennaio 2008

Toglietemi tutto ma non la Becherovka

Erano due anni e mezzo che non prendevo un aereo. Da quella vacanza in Turchia non mi ero più arrischiato a mettere le chiappe sopra alle nuvole. Solo Praga poteva farmi cambiare idea. La prospettiva di trascorrere nuovamente qualche giorno spensierato sorseggiando Assenzio, birra Pilsen e Becherovka nei caldi e fumosi localini della gelida capitale ceca mi aveva fatto tornare la voglia di volare.
Volo Alitalia, partenza dalla Malpensa, Terminal 1. Valigia sul nastro, bagaglio con beauty-case in mano. Controlli di routine e via, volo praticamente perfetto, fatta eccezione per la solita sensazione di precipitare in fase di atterraggio. Al ritorno, invece, si è consumata la mia piccola tragedia. Al momento dell'imbarco la polizia ceca ha aperto lo zaino e lo ha depredato meticolosamente di shampoo e boccette varie comprate scelleratamente nella farmacia del mio paese, per un valore complessivo di circa 30 euro. Fin qui pace, osservo colpevolmente la tragica sorte dei miei prodotti estetici, pensando al sorriso compiaciuto della farmacista al mio ritorno.
Ma quando il ciccione con gli occhiali addetto al controllo afferra la bottiglia da mezzo litro di Becherovka comprata due minuti prima con gli ultimi spiccioli e la butta nella cesta insieme a creme antirughe, shampoo e schiume da barba non ci ho visto più. Ho fatto quello che il mio professore di italiano del liceo diceva di non fare mai. Ho pregato, ho implorato il bastardone di ridarmi la bottiglia. Nulla da fare, troppo alto il rischio che si trattasse di una bomba chimica o incendiaria.
Se non altro questo imprevisto mi ha distratto dalle mie ansie da aereo e il volo è filato via liscio meditando sul misero destino del mio liquore preferito. Meno male che c'è eBay.
Il liquore aromatico di Karlovy Vary
"La Karlovarská becherovka è una delle specialità tradizionali di Karlovy Vary, località a nord di Praga. Si tratta di un liquore digestivo dal gusto dolce-amaro (38% di alcol, 10% di zucchero), nato intorno al 1805, quando a Karlovy Vary giunse a scopo terapeutico un certo conte con il suo medico personale, il dottor Frobrig, di origine inglese. I due alloggiarono nei pressi del Mercato, nella casa "Alle tre allodole ", appartenente al farmacista Josef Becher, nipote di David, il celeberrimo farmacista di Karlovy Vary. Proprio nella sua farmacia delle Tre allodole nacque l’amicizia tra il medico e il farmacista, amicizia che produsse l’innovativa ricetta del dott. Frobrig, da lui stesso definita come "l’elisir di lunga vita ", a base di venti erbe medicinali locali. Il dottor Frobig donò la ricetta all’amico, in ricordo della loro amicizia. Dopo due anni di prove e di miglioramenti, Josef Becher cominciò nel 1807 a produrre il liquore, non col nome di "elisir di lunga vita", ma prima come "“Amaro inglese” ", poi come ”Amaro digestivo” " ed infine come "Original Karlsbader Becherbitter" - liquore digestivo. Nel 1841 la ditta passò a suo figlio Jan, il quale fece brevettare la tipica bottiglia verde piatta e trasformò l’originaria produzione artigianale a livello industriale. La fama della Becherovka cominciò a diffondersi in tutto il mondo. Il segreto di produzione è noto solo a pochissime persone e nessuno al mondo, né falsificatori, né produttori di mestiere, è mai riuscito a riprodurre la vera Becherovka di Karlovy Vary, al cui originalissimo gusto concorrono non soltanto le venti "erbe medicinali segrete ", ma anche l’acqua minerale di Karlovy Vary, il legno di rovere delle vecchie botti ovali e l’atmosfera e la temperatura delle cantine".


Nicola Taffuri

martedì 1 gennaio 2008

Dolce con dolce

Di questi tempi di grandi abbuffate di fine anno capita spesso di arrivare a fine pasto e avere lo stomaco tanto pieno che anche il più piccolo dei pasticcini fa fatica a trovare spazio tra affettati, cotechini, branzini, cappesante, cozze e capponi ripieni.
Per me che considero i dolci un gradevole ma non indispensabile accessorio della mia vita rinunciare al dessert di fine pasto non è affatto un problema, ma per molti il momento dolce rappresenta il clou di tutto il pranzo. E allora via di paste, pasticcini, torroni, tronchetti, pandori e panettoni, brindando allegramente con una bottiglia di Spumante. Brut, Extrabrut, Dry, Extradry, Dolce non importa. Ciò che conta è che faccia il botto. Un delitto. Far saltare il tappo, infatti, è come esplodere un petardo in una cristalleria: provoca un forte trauma alle delicate bollicine del vino che sfuggono a tutta velocità nell'aria, lasciandoci il bicchiere praticamente sgasato.
E poi non tutti gli Spumanti vanno bene per il dessert. Con il dolce ci vuole un vino dolce. Magari un passito se ci troviamo di fronte torroni e altri dolci duri e senza creme. Meglio, invece, un bell'Asti Spumante o anche un Prosecco Dry con i dolci alle creme, con pandoro e panettone.
Ecco spiegato perchè, dopo il brindisi, il nostro Spumante Brut se ne restava mestamente nel bicchiere e ci curavamo solo del dolce. Perchè la forte acidità del vino faceva a cazzotti con la dolcezza del cibo.
Quindi, lo ripeto, ricordiamoci bene: dolce con dolce.

Nicola Taffuri