giovedì 23 settembre 2010

A spasso per la Bussia

Ventuno ettari in Monforte d'Alba, con vista sulle vigne di Prunotto poco più in basso e, a voltar lo sguardo verso la collina più in alto, sulla meravigliosa tenuta di Aldo Conterno, l'azienda Bussia Soprana è una delle rarissime realtà di quantità, oltre che di qualità, in terra di Barolo. Centomila bottiglie di Barolo l'anno, prodotte dalle uve delle vigne Colonnello, Mosconi, Gabutti e Bussia, e numeri da grande azienda anche per le varie Barbera, per il Dolcetto e il Langhe Rosso Zenit, da uve nebbiolo, barbera e cabernet sauvignon.
Proprio l'argomento del taglio è stato al centro di un acceso dibattito tra un compagno di visita in azienda e Silvano Casiraghi, imprenditore brianzolo dal 1992 titolare di Bussia Soprana.
Concedere che anche in un grande vino da monovitigno come il Barolo possa finire una piccola percentuale di altri vitigni finiti nel vigneto magari per errore del vivaista, poteva avere un senso una volta. Tutti si sentivano autorizzati a raccogliere e vinificare le uve tutte assieme. Oggi i disciplinari non consentono più nemmeno quel margine del 5%, che in molti casi magari raggiungeva pure tacitamente il 15-20%. "Come è successo a Montalcino con il sangiovese "tagliato" merlot", ci ricorda Silvano.
Oggi però, con i nuovi metodi elettronici di riconoscimento dell'uva nel vigneto, c'è poco da fare i furbi. O ci si adegua, o si rischia la gogna mediatica.
Ecco perché alcuni grandi come lo stesso Angelo Gaia a Barbaresco, hanno scelto di creare delle versioni langarole dei supertuscan, in cui vitigni locali e internazionali si fondono in prodotti invisi ai tradizionalisti ma di indubbia qualità.

La degustazione. Grandi Barolo ma che Barbera!
Quando versiamo e portiamo alla bocca un sorso di Barolo 2006, quello più giovane oggi in commercio, strabuzziamo gli occhi e Casiraghi ci anticipa:
"Bere oggi la 2006 è commettere un infanticidio". Proprio così. La sensazione evidente è proprio quella di aver commesso un delitto, come aver colto una mela acerba nel giardino dell'Eden. Ciò non toglie che è fin troppo evidente che si tratta di un vino di enorme potenzialità, e la fantasia vola a quando, tra qualche anno, i tannini si saranno evoluti e l'acidità si sarà ridotta fino a creare un ambiente ideale per valorizzare tutto l'infinito ventaglio di sensazioni gusto-olfattive tipiche del vitigno.
E stupisce trovarlo ancora giovane e in piena evoluzione a dieci anni dalla vendemmia. Anche la 2000, infatti, ci restituisce un vino un tantino scorbutico e spigolosetto, sebbene già di grande personalità.
La vera goduria comincia dalla 1998 a scendere. Dai 12-14 anni in avanti si può capire se un Barolo è degno del nome che porta. E i vari cru dell'azienda sono decisamente prodotti "a lungo termine". Potenti, strutturati, complessi ed eleganti, le migliori annate sono la 97-98-99, ma se abbiamo soldi e spazio in cantina la 2006 merita un investimento. Casiraghi giura che tra qualche anno sarà un vino fuori dal comune, figlio di una grande annata.
Noi ci fidiamo, ci lasciamo trasportare ad assaggiar l'uva matura tra i filari protetti da reti antigrandine garantite 15 anni, e ce ne torniamo in azienda per gli acquisti. Tutti si lanciano sul Barolo. Io no, con le poche finanze rimaste mi concedo qualche bottiglia della Barbera d'Alba Doc Mosconi 2007 bevuta a pranzo.
12 euro a bottiglia, è un magnifico esempio di come anche da queste parti di botti grandi e barriques la barbera possa venire da dio, anche se affinata solo in acciaio.
Unico neo della giornata, a parte le 50 euro buttate al ristorante, la visita cantina. Non pervenuta.

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