lunedì 21 marzo 2011

Un Arneis per brindare alla primavera

Ieri sono andato a prendere i primi raggi di sole primaverile dalle parti di Villa del Balbianello, sul lago di Como, e per evitare la coda dei milanesi che non conosce stagioni ma orari sì - micidiale il lasso 17-19 - ho deciso di fermarmi a mangiare qualcosa in un grazioso ristorantino a Lenno. Si chiama Trattoria S. Stefano ed è un localino a gestione famigliare con una cinquantina di coperti tra saletta e verandina, dall'atmosfera antica e dagli importanti riconoscimenti di Slow Food appiccicati belli in mostra in vetrina, accanto al menu.
Ci sediamo, diamo un'occhiata alla carta mentre la titolare ci anticipa l'assenza di parecchi piatti, evidentemente esauriti dal doppio turno di affamati turisti per pranzo, e scegliamo di farci un antipasto e un secondo.
Filetto di pesce in salsa verde e lavarello al burro e salvia con patatine fritte.
Da bere noto con piacere la presenza di bottiglie da 0,375 l. Prendo l'Arneis di Malvirà.

Roero Arneis Docg 2009 Malvirà
Colore giallo paglierino cristallino e abbastanza consistente, al naso rivela subito la vivace florealità di acacia e biancospino e la mineralità tipiche del vitigno, sensazioni che si ripresentano in bocca accompagnate da una piacevole nota agrumata di limoni freschi che va sfumando su un finale ammandorlato davvero piacevole. Un vino secco e abbastanza caldo, che gioca molto sull'acidità e sulla sapidità, capace di valorizzare con personalità ed eleganza i piatti di pesce di lago.
In carta 11 euro, un po' caruccio visto che la bottiglia intera di questo Arneis 'base' dei rinomati fratelli Roberto e Massimo Damonte si trova in enoteca a non più di 10 euro. Ma tant'è. Tutto ottimo. E pazienza se alla fine la signora si fa scappare 3 acque al posto di una. E' domenica sera, e per lei e l'anziano marito chef con tatuaggio da marinaio sul polso, sta per cominciare il giorno di riposo.

martedì 15 marzo 2011

Appunti dal Nuovo Mondo (pt.3): Clos Henri, New Zealand

..Nuovo Mondo che, per la verità, riserva ben poche sorprese interessanti soprattutto per quanto riguarda i rossi. Non male il Pinotage delle tenute sudafricane L'Avenir, del colosso francese Laroche. L'azienda ha vigneti in tutto il mondo, Cile compreso, dove produce un Carmenére che piacerà in Sudamerica ma che è decisamente lontano dai canoni europei di eleganza e raffinatezza. Ottime conferme, invece, dalla Nuova Zelanda, ormai consacrata a nuovo paradiso di vitigni internazionali tradizionalmente legati alla Francia, come il sauvignon, lo chardonnay e il pinot nero. L'azienda Clos Henri si trova nella punta settentrionale dell'isola sud, nella contea di Marlborough, ed è di proprietà di Henri Bourgeois, gran produttore di Sancerre e Pouilly Fumé lungo la Loira, e dunque profondo conoscitore delle doti del sauvignon. Quello prodotto agli antipodi è ben distante dalla complessa eleganza agrumata e minerale che esprime in madrepatria, e punta tutto sull'esuberanza del peperone verde e del frutto tropicale maturo. Comunque buono e tipico. Da applauso anche il suo pinot nero, uva scorbutica e caratteriale, generosissima con chi la sa addomesticare. Non all'altezza della Borgogna ma simile, questo neozelandese, ad alcuni dei migliori Pinot Nero che possiamo assaggiare in Alto Adige.

giovedì 10 marzo 2011

Appunti da Villa Cavenago (pt. 2)

..buon rapporto qualità prezzo ma niente di eccezionale da Terra Burdigala, azienda bordolese di cui assaggiamo il ROC DE JEAN LYS 2007, un Bordeaux Superieur 70% merlot e 30% cabernet franc. Meglio, decisamente meglio, i Bordeaux Grand Cru di Chateau Laroque, eleganti, strutturati e opulenti. Da lì ci voltiamo ed è un passo che siamo sul Rodano. Buono e ben fatto il Syrah CROZES-HERMITAGE 2007 di Domaine Combier, un concentrato di more e lamponi, pepe e violette sostenuto da un picevole nerbo acido.
A partecipare a questi banchi d'assaggio con un ristoratore passionale rischi davvero di mandare a monte qualsiasi ordine di degustazione. E così, dopo un altro grissino e un sorso d'acqua, ci ritroviamo prima in Grecia ad assaggiare un curioso bianco di Santorini da uve assyrtiko, fruttato e mineralissimo, quasi salato ma davvero piacevole per via dell'ottima freschezza, prima di teletrasportarci in Alsazia a gustare la potente struttura fruttata e minerale dei bianchi da pinot gris e riesling di Willm. Con una chiusura su un crémant, il metodo classico alsaziano. E allora perché non andare direttamente in Champagne? Troppo presto, c'è ancora qualcosa da scoprire nel Nuovo Mondo..continua..

mercoledì 9 marzo 2011

Tentazioni borgognone da Villa Cavenago (pt. 1)

Grande affluenza di ristoratori e ottima organizzazione anche per questa nuova anteprima primaverile dei vini distribuiti da Pellegrini. L'atmosfera è quella di una prestigiosa fiera del vino, inserita nella cornice nobiliare della splendida Villa Cavenago di Trezzo sull'Adda. L'anno scorso avevamo cercato di rendere omaggio a una selezione di vini italiani ed esteri, con il risultato di arenarci su prosecchi del nord e bianchi del sud e di perderci la créme della degustazione, ovvero i vini francesi, quelli del resto del mondo e i distillati.
E allora quest'anno la decisione è stata ferma. "Si parte dalla Francia".
Salvo poi una tanto rapida quanto gradevole sosta da Bisci per inchinarci di fronte al suo "Senex" 2003, uno straordinario Verdicchio di Matelica che si meriterà presto un post tutto suo. Diciamo che è stato il giusto aperitivo che ci ha introdotti nell'adiacente sala della Borgogna. Resto sempre più convinto, infatti, che l'unico bianco italiano capace di non sfigurare con i grandi chardonnay di Francia per complessità, eleganza e raffinatezza è proprio il Verdicchio, di Jesi ma soprattutto quello di Matelica.

E così dalle Marche entriamo nel regno del pinot nero e dello chardonnay. Precisamente a Meursault, in Cote de Beaune, terra di bianchi straordinari. Un paio d'anni fa durante un viaggio in Borgogna ci eravamo innamorati degli Chardonnay di Michel Bouzereau e di suo figlio Jean-Baptiste, il cui stile inconfondibile abbiamo ritrovato con immenso piacere nei vini di Ballot Millot & Fils, che scopriamo essere parenti stretti del buon Bouzereau. Bianchi di grande eleganza e raffinatezza, giocati su una concentrazione di agrumi e mineralità che acquistano forza e complessità salendo dai 'villages' fino ai 1er Cru senza mai concedere nulla allo scontato, al banale o allo stancante.
Per la goduria massima occorre però lasciare Meursault per andare nell'altra grande appellation dei sublimi bianchi di Borgogna, ovvero a Chassagne-Montrachet, che sul tavolo di degustazione è proprio lì a fianco, per assaggiare gli Chardonnay di Domaine Amiot Guy & Fils.
E da lì un salto indietro per pulire la bocca con grissino e sorso d'acqua per apprezzare anche i grandissimi pinot noir di entrambi i produttori.
Dopo questi primi assaggi eravamo già talmente soddisfatti da essere tentati di trasferirci in zona Champagne ma la vista del Syrah del Rodano e del banco dei bordolesi ci ha convinti a complicarci il cammino..continua

lunedì 7 marzo 2011

Domani degustazione a Villa Cavenago

Domani dopo pranzo si va a Villa Cavenago (Trezzo sull'Adda, Mi) per l'annuale appuntamento con i vini italiani e stranieri e con i distillati distribuiti da Pellegrini Vini. Ingresso solo su invito, riservato agli operatori. Qui trovate il comunicato stampa. Qui invece qualche appunto dall'anno scorso.

giovedì 3 marzo 2011

Freisa, una nuova procuginetta per il nebbiolo?

Come capita agli uomini, anche le uve alzano la cresta - e le 'ali', laddove ci sono - per rivendicare titoli nobiliari. Se non fosse che lo fanno sempre per bocca degli uomini. In questi giorni ho letto un articolo su una rivista specializzata, ok niente misteri su deVinis, il mensile dell'Ais, sul recupero dell'antica vigna di Villa della Regina, a Torino. Meno di un ettaro dove sono state impiantate 2700 barbatelle di freisa, con vista sulle Alpi e sulla Mole Antonelliana. L'autore getta tra le righe con non-chalance il fatto che nuovi studi ampelografici condotti da tale dottoressa Anna Schneider hanno rilevato una parentela di questa uva rossa tipica del Piemonte e in particolare del torinese (Doc Chieri) e dell'astigiano (Doc Asti) con il mitico nebbiolo, il re delle Langhe e grande notabile nella ristretta cerchia dei vitigni più pregiati del mondo. Parentela possibile, oppure una trovata pubblicitaria per attirare visitatori in questa restaurata vigna di città, rarità che la prima capitale d'Italia condivide con Parigi e Vienna?

Differenze da manuale
Ecco come i manuali specializzati descrivono questi due vitigni. A voi decidere se elevare la freisa a una sorta di procuginetta del nebbiolo o declassarla a Cenerentola in cerca del suo Principe azzurro.
NEBBIOLO: grappolo piramidale, alato, piuttosto allungato, abbastanza compatto. Acino medio-piccolo, rotondo o ellissoidale, con buccia sottile e consistente, molto 'pruinosa'. Ciclo vegetativo lunghissimo, vendemmia fino a novembre. Acini ricchissimi di acidi, zuccheri e polifenoli, per vini austeri e molto strutturati.
FREISA: grappolo medio, cilindrico, aperto quasi spargolo, acino medio, tondo con buccia pruinosa sottile e resistente, nero bluastro. Maturazione precoce, grande flessibilità in vinificazione per vini giovani o invecchiati, secchi o dolci, mossi o fermi.

lunedì 28 febbraio 2011

Il favorito di Napoleone Bonaparte

Certo, stappare una bottiglia di Jacquesson Cuvée 733 per accompagnare un comunissimo risotto al radicchio può sembrare quasi una bestemmia. Anche perché il gusto amarognolo dell'insalata rossa trevisana rischia di fare a gomitate con la spinta acidità che caratterizza questo prestigioso Champagne. Però sono davvero pochi i momenti per cui vale la pena stappare una bottiglia del genere, e ad aspettare di rischia di far andare a male il vino, specie se non si possiedono cantinette climatizzate. E poi alle volte è bello mettere alla prova le bollicine più raffinate e versatili del mondo anche con piatti all'apparenza 'difficili'. Per arrivare poi alla conclusione che no, fatta eccezione per i dolci al cioccolato e per le portate con aceto e limone, non esiste un piatto che non possa andare d'accordo con uno Champagne di classe.

Champagne Jacquesson Cuvée n°733

Nate nel 1798, le bollicine di Memmie Jacquesson divennero presto le preferite di Napoleone, che nel 1810 assegnò alla piccola maison di Dizy, alle porte di Aÿ, la "medaglia d'oro per la bellezza e la ricchezza delle sue cantine". Ancora oggi l'azienda ha mantenuto le ridotte dimensioni di allora che consentono agli attuali proprietari, i fratelli Chiquet, di lavorare in maniera assolutamente non industriale sulle 350mila bottiglie l'anno prodotte. Senza diserbanti né pesticidi, selezionando le migliori uve dai premier cru e grand cru della Valle della Marna e della Cote des blancs, e vinificandole senza filtrazioni. La cuvée numero 733 è figlia in buona parte dell'annata 2005, con la 'correzione' di vini di riserva delle annate 2004 e 2001. Dal primo assaggio è evidente che il vitigno prevalente è lo chardonnay, che occupa il 52% dell'uvaggio, completato da un 24% di pinot noir e 24% di pinot meunier.
Il colore è giallo dorato cristallino, il perlage è di una finezza straordinaria, e le minuscole bollicine liberano al naso raffinati sentori di agrumi freschi, fior d'arancio, magnolia e giacinto, rese ancora più fragranti dall'aroma del pane appena sfornato e dei biscotti al limone.
In bocca è generosissimo e di una freschezza assoluta, un Brut secchissimo - solo 2,5 gr/l di zuccheri aggiunti dopo il dégorgement - di una piacevolezza fuori dal comune.
Cremoso, complesso ed elegantissimo, ha una veste talmente delicata da rendere aggraziate anche le forme rustiche e spigolose di un risotto formaggio e radicchio.
In enoteca si trova a 45 euro, al ristorante 60 euro è un prezzo ancora onesto per uno Champagne che lascia il segno. In Italia lo distribuisce Pellegrini.