Se cercate traccia dell'azienda in internet vedrete scorrere un lungo elenco di offerte dei suoi vini in vari siti comparativi e nulla più sulla proprietà. Solo i più abili smanettoni, incuriositi dal mistero, arriveranno a scoprire che la misteriosa Cielle Vini, produttrice di vini trentini da supermercato con un eccellente rapporto qualità-prezzo, fa capo sempre a lei, La Vis.
In particolare, il Lago di Caldaro Doc Terresomme, che a più riprese nel corso degli ultimi mesi ho trovato in offerta all'Esselunga di Pavia al prezzo di poco più di 2 euro a bottiglia, mi è piaciuto tanto da comprarne nell'arco di quest'anno 12 bottiglie che hanno accompagnato vari piatti dalla primavera fino a questa imminente stagione invernale. La più recente l'ho stappata in occasione di una cenetta dai richiami asburgici che vedete in foto, abbinata a un bel salsicciotto altoatesino con patate, crauti e lenticchie, e ha fatto come sempre la sua egregia figura.
Questo rosso "quasi rosato" da uve schiava è il classico vino da tutto pasto, leggero, delicato e gradevolmente fruttato, di struttura esile, quasi per nulla tannico e di buona freschezza. Un vino da bere nella bella stagione quasi come bibita, che ben si presta ad accompagnare minestre di cereali e pietanze semplici di carne e di pesce, mi raccomando senza note acide 'ché il vino di acidità ne ha già abbastanza di sua, né amare, visto che la schiava "chiude" col caratteristico finale amarognolo.
E poi è tipico, non la confondi con nessun altro vitigno. Può piacere e può non piacere. A me personalmente piace un sacco perché mi ricorda lontanamente la preziosa delicatezza di piccoli frutti rossi, tipica di alcuni giovani pinot nero che capita di bere nei "villages" borgognoni.
mercoledì 21 novembre 2012
lunedì 12 novembre 2012
L'eccellenza biologica in Oltrepo
Dopo varie vicissitudini lavorative che mi hanno per forza di cose allontanato non solo dal mondo della scrittura e dei blog ma anche da quello dell'enogastronomia vedo con piacere che Vinoscopio seguita ad essere visitato da passanti e aficionados. E allora non mi resta che ricominciare con estremo piacere proprio da dove un anno fa è ripartita la mia vita professionale, da Pavia.
Azienda Agricola Bisio Devis
Quando hai un amico o un parente che si diletta di biologico e biodinamico non c'è titolo di esperto di enogastronomia che tenga: occorre mettersi in seconda fila e seguire il segugio di turno, nella punta della preda prescelta. Da tempo quel salutista di mio cugino voleva fare un'incursione in Oltrepo per comprare della Bonarda biologica, e l'occasione si è presentata sul finir di vendemmia, un weekend di inizio autunno.
Meta prescelta: Bisio Devis, azienda dell'eccellenza biologica con vigneti a far da vassalli al castello di Montalto Pavese.
La degustazione in cantina è filata via liscia in maniera simpaticamente informale e ha fatto capire che, nonostante qui siamo in terra di Riesling, i prodotti meglio riusciti sono i rossi Bonarda e Barbera. Eccellente la prima per chi ama questo classico vivace dell'Oltrepo, tanto ricco di dolci richiami di piccoli frutti rossi da sfiorare la definizione di "amabile", ottima la seconda per chi desidera una briosità più fresca e beverina. Due ottimi compagni, insomma, di tutta la ricca tradizione gastronomica a base di maiale e dei tortelli di ogni genere e tipo, con la Bonarda sfiziosa alternativa al Lambrusco per accompagnare anche una buona pizza napoletana.
Da tenere in cantina e rivedere tra 1-2 anni invece il Riesling, che picchia ancora un po' troppa sull'acidità.
Molto buono, infine, il dolce Moscato, che in quanto a beva nulla ha da invidiare al più rinomato cugino astigiano.
Assolutamente competitivi i prezzi: 3,50 Bonarda e Barbera, 3,80 il Riesling.
Azienda Agricola Bisio Devis
Quando hai un amico o un parente che si diletta di biologico e biodinamico non c'è titolo di esperto di enogastronomia che tenga: occorre mettersi in seconda fila e seguire il segugio di turno, nella punta della preda prescelta. Da tempo quel salutista di mio cugino voleva fare un'incursione in Oltrepo per comprare della Bonarda biologica, e l'occasione si è presentata sul finir di vendemmia, un weekend di inizio autunno.
Meta prescelta: Bisio Devis, azienda dell'eccellenza biologica con vigneti a far da vassalli al castello di Montalto Pavese.

Da tenere in cantina e rivedere tra 1-2 anni invece il Riesling, che picchia ancora un po' troppa sull'acidità.
Molto buono, infine, il dolce Moscato, che in quanto a beva nulla ha da invidiare al più rinomato cugino astigiano.
Assolutamente competitivi i prezzi: 3,50 Bonarda e Barbera, 3,80 il Riesling.
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martedì 24 maggio 2011
Montevecchia, una bellissima alla ricerca della propria identità
Non sarà più il "vin de Milàn" che aveva assaggiato Mario Soldati nei suoi viaggi enogastronomici che negli anni '60 lo avevano portato fino alle ultime propaggini dei depositi morenici del lecchese. Ma il vino di Montevecchia, nelle sue fedeli e molteplici reinterpretazioni seguite alla riscoperta della viticoltura in questo angolo di Toscana in terra brianzola, è sempre un buon pretesto per una visita al territorio.
Da oltre 15 anni il progetto vinicolo più ambizioso è quello dell'azienda La Costa, proprietaria di diverse cascine ristrutturate su e giù tra ordinati filari di ogni età e maestosi e profumatissimi cespugli di rosmarino. Elena Crippa, classe 1976, porta avanti con passione il sogno cominciato da suo padre, imprenditore milanese dai natali brianzoli, di tornare sui luoghi dell'infanzia e rimettere ordine a quelle colline dimenticate dai forestieri.
A spasso tra filari vecchi e nuovi, parla dei loro impianti a cordone speronato, dei vitigni, del terreno pietroso e ricco di minerali, del significato dell'agricoltura biologica a cui loro aderiscono senza per questo rinnegare i classici interventi in vigna con sostanze naturali come lo zolfo e il rame contro oidio e peronospora. Parla del pianto della vite e della nuova moda di alcuni coltivatori di raccogliere le lacrime di linfa che colano in primavera dai tagli delle potature, per produrre prodotti cosmetici.
Parla dell'allegagione, ovvero del passaggio dal fiore al frutto, e dei fatidici "3 giorni" in cui il tempo deve essere clemente per non dilavare la preziosa opera di impollinazione da parte del vento e degli insetti, dei delicatissimi fiori della vite, pianta ermafrodita. Spiega il significato dell'invaiatura e, di nuovo, sottolinea quanto il lavoro dell'uomo diventa piccolo e debole di fronte alle bizze della natura. Per poi, a vendemmia fatta e vinificazione avvenuta, lasciarsi andare a un sospiro di sollievo lungo qualche mese. Mica tanti, perché anche nella stagione fredda il viticoltore, a differenza della vigna, non dorme mai. E i vini? Valgono tutti questi patimenti?
Un bianco, due rossi e un dolce esperimento
Dai terrazzamenti fioriti scendiamo a cascina Galbusera Nera, dove c'è la cantina con la sala degustazioni.
TERRE LARIANE IGT BIANCO "SOLESTA" 2009
70% riesling, 30% chardonnay + pinot bianco
Un "SOLstizio d'ESTAte" giallo paglierino brillante e consistente, con un naso intenso, complesso e fine. Con il passare dei minuti gli effluvii di acacia e sambuco vengono affiancati da sentori fruttati di ananas e banana, mentre emerge decisa la nota minerale di grafite con un velo di "gomma da riesling". Bocca caldo, morbido, fruttato e polposo, con un finale ammandorlato sin troppo deciso, destinato certamente ad attenuarsi negli anni. E' infatti un bianco da invecchiamento con una componente alcolica ben decisa.
13 % alcol, affinamento botti di acacia. A seguire acciaio e bottiglia.
TERRE LARIANE IGT "SéRIZ" 2008
Annata disastrosa per via delle piogge, per questo blend tra merlot (70%), cabernet sauvignon e syrah, che prende il nome dalle pietre ollari tipiche dei depositi glaciali dalla Valtellina alla Brianza.
Colore rubino consistente, naso dominato dalle amarene e dalle more, accompagnate da sentori vegetali e di erbe aromatiche e da un pizzico di spezie. In bocca è caldo, morbido e balsamico ma lo vorremmo meno alcolico e più corposo e strutturato in tannini. Chiude su pepe verde.
Solo legno grande, poi acciaio e chiarifica. 13,5 % vol.
PINOT NERO "SAN GIOBBE" 2009
Anno dopo anno il pinot nero si lascia addomesticare e il San Giobbe si incammina a diventare il vino di punta dell'azienda, pur non essendo ancora iscritto alla recente Igt Terre Lariane e pur nato per caso visto che, all'origine, il sig. Giordano Crippa voleva farne uno spumante bianco.
Colore rubino scarico, di bella consistenza, naso di caramelle di frutti di bosco, rosa canina, cuoio, ciliegia sotto spirito e liquerizia. Buon riscontro in bocca, per un vino che si lascia bere con piacere.
Macerazioni non troppo lunghe, in parte con i raspi. No follature, vinificazione parte in acciaio parte in rovere. Affinamento in botti grandi.
13 % vol.
CALIDO 2010
Poco più che famigliare la produzione di questo Vendemmia tardiva da traminer e moscato di Scanzo vinificato in bianco.
Colore dorato intenso con riflessi ambrati, naso di arance candite e rosa canina, con note di smalto molto spinte. In bocca caldo, morbido e ben equilibrato tra dolcezza e acidità, chiude con una leggera sensazione di effervescenza per via del basso contenuto di solforosa che permette una leggera rifermentazione.
100 ml residuo zuccherino.
CONCLUSIONI: PERCHE' NON FARE SOLO CHARDONNAY E PINOT NERO?
Zona splendida, cascine meravigliose, vini buoni e in sicura crescita. Resta una constatazione: curioso notare come la mappa viticola di Montevecchia metta fianco a fianco su una collina vitigni assai diversi gli uni dagli altri, come riesling, chardonnay, merlot, cabernet, syrah e pinot nero che altrove, in regime però di monoculture distanti anche parecchie centinaia di km, danno vita ai vini più grandi della terra. Non sarebbe meglio, per esempio, lasciare che la Valcalepio si occupi dei bordolesi e concentrarsi solo su pinot nero e chardonnay? Dopotutto non sono in pochi a soprannominare queste colline moreniche del milanese esposte verso sud-est "la piccola Borgogna brianzola". Da lì l'azienda La Costa potrebbe in futuro abbandonare l'incoerenza della Igt Terre Lariane per diventare titolare in regime di "monopole" di una nuova Doc Montevecchia tutta per sé.
Da oltre 15 anni il progetto vinicolo più ambizioso è quello dell'azienda La Costa, proprietaria di diverse cascine ristrutturate su e giù tra ordinati filari di ogni età e maestosi e profumatissimi cespugli di rosmarino. Elena Crippa, classe 1976, porta avanti con passione il sogno cominciato da suo padre, imprenditore milanese dai natali brianzoli, di tornare sui luoghi dell'infanzia e rimettere ordine a quelle colline dimenticate dai forestieri.
A spasso tra filari vecchi e nuovi, parla dei loro impianti a cordone speronato, dei vitigni, del terreno pietroso e ricco di minerali, del significato dell'agricoltura biologica a cui loro aderiscono senza per questo rinnegare i classici interventi in vigna con sostanze naturali come lo zolfo e il rame contro oidio e peronospora. Parla del pianto della vite e della nuova moda di alcuni coltivatori di raccogliere le lacrime di linfa che colano in primavera dai tagli delle potature, per produrre prodotti cosmetici.
Parla dell'allegagione, ovvero del passaggio dal fiore al frutto, e dei fatidici "3 giorni" in cui il tempo deve essere clemente per non dilavare la preziosa opera di impollinazione da parte del vento e degli insetti, dei delicatissimi fiori della vite, pianta ermafrodita. Spiega il significato dell'invaiatura e, di nuovo, sottolinea quanto il lavoro dell'uomo diventa piccolo e debole di fronte alle bizze della natura. Per poi, a vendemmia fatta e vinificazione avvenuta, lasciarsi andare a un sospiro di sollievo lungo qualche mese. Mica tanti, perché anche nella stagione fredda il viticoltore, a differenza della vigna, non dorme mai. E i vini? Valgono tutti questi patimenti?
Un bianco, due rossi e un dolce esperimento
Dai terrazzamenti fioriti scendiamo a cascina Galbusera Nera, dove c'è la cantina con la sala degustazioni.
TERRE LARIANE IGT BIANCO "SOLESTA" 2009
70% riesling, 30% chardonnay + pinot bianco
Un "SOLstizio d'ESTAte" giallo paglierino brillante e consistente, con un naso intenso, complesso e fine. Con il passare dei minuti gli effluvii di acacia e sambuco vengono affiancati da sentori fruttati di ananas e banana, mentre emerge decisa la nota minerale di grafite con un velo di "gomma da riesling". Bocca caldo, morbido, fruttato e polposo, con un finale ammandorlato sin troppo deciso, destinato certamente ad attenuarsi negli anni. E' infatti un bianco da invecchiamento con una componente alcolica ben decisa.
13 % alcol, affinamento botti di acacia. A seguire acciaio e bottiglia.
TERRE LARIANE IGT "SéRIZ" 2008
Annata disastrosa per via delle piogge, per questo blend tra merlot (70%), cabernet sauvignon e syrah, che prende il nome dalle pietre ollari tipiche dei depositi glaciali dalla Valtellina alla Brianza.
Colore rubino consistente, naso dominato dalle amarene e dalle more, accompagnate da sentori vegetali e di erbe aromatiche e da un pizzico di spezie. In bocca è caldo, morbido e balsamico ma lo vorremmo meno alcolico e più corposo e strutturato in tannini. Chiude su pepe verde.
Solo legno grande, poi acciaio e chiarifica. 13,5 % vol.
PINOT NERO "SAN GIOBBE" 2009
Anno dopo anno il pinot nero si lascia addomesticare e il San Giobbe si incammina a diventare il vino di punta dell'azienda, pur non essendo ancora iscritto alla recente Igt Terre Lariane e pur nato per caso visto che, all'origine, il sig. Giordano Crippa voleva farne uno spumante bianco.
Colore rubino scarico, di bella consistenza, naso di caramelle di frutti di bosco, rosa canina, cuoio, ciliegia sotto spirito e liquerizia. Buon riscontro in bocca, per un vino che si lascia bere con piacere.
Macerazioni non troppo lunghe, in parte con i raspi. No follature, vinificazione parte in acciaio parte in rovere. Affinamento in botti grandi.
13 % vol.
CALIDO 2010
Poco più che famigliare la produzione di questo Vendemmia tardiva da traminer e moscato di Scanzo vinificato in bianco.
Colore dorato intenso con riflessi ambrati, naso di arance candite e rosa canina, con note di smalto molto spinte. In bocca caldo, morbido e ben equilibrato tra dolcezza e acidità, chiude con una leggera sensazione di effervescenza per via del basso contenuto di solforosa che permette una leggera rifermentazione.
100 ml residuo zuccherino.
CONCLUSIONI: PERCHE' NON FARE SOLO CHARDONNAY E PINOT NERO?
Zona splendida, cascine meravigliose, vini buoni e in sicura crescita. Resta una constatazione: curioso notare come la mappa viticola di Montevecchia metta fianco a fianco su una collina vitigni assai diversi gli uni dagli altri, come riesling, chardonnay, merlot, cabernet, syrah e pinot nero che altrove, in regime però di monoculture distanti anche parecchie centinaia di km, danno vita ai vini più grandi della terra. Non sarebbe meglio, per esempio, lasciare che la Valcalepio si occupi dei bordolesi e concentrarsi solo su pinot nero e chardonnay? Dopotutto non sono in pochi a soprannominare queste colline moreniche del milanese esposte verso sud-est "la piccola Borgogna brianzola". Da lì l'azienda La Costa potrebbe in futuro abbandonare l'incoerenza della Igt Terre Lariane per diventare titolare in regime di "monopole" di una nuova Doc Montevecchia tutta per sé.
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sabato 30 aprile 2011
Ottima bevuta pasquale con 16 euro
Quando lavoravo a Milano nella redazione di un mensile di enogastronomia uno dei pezzi più pallosi che mi spettavano di diritto, in qualità di ultimo dei redattori in ordine di importanza, bravura e considerazione, era quello dedicato a "Bere bene con meno di 50 euro". Si trattava, in sostanza, di inventare una storiella attorno a un menu di diverse portate accompagnate da vini differenti e con un ottimo rapporto qualità prezzo. La regola era, appunto, che bisognava riuscire a comprare 5-6 bottiglie in enoteca senza superare la soglia dei 50 euro. Ho rispolverato questo giochetto per Pasqua ma, invece che in enoteca, sono andato a far spesa all'Ipercoop di Cantù, il supermercato tra le province di Como e Lecco che ha la migliore selezione di vini.
Sapendo che eravamo una decina dei quali solo 3-4 discreti bevitori e che il menu pasquale avrebbe previsto antipasti, torte salate alle verdure, lasagne alle verdure e lasagne di carne, arrosto di vitello, agnello al forno con patate, colomba artigianale e pastiera napoletana, ho scelto cinque etichette:
Muller Thurgau Spumante Brut "Lilium" Concilio, Conegliano e Valdobbiadene Docg Prosecco Extra Dry Carpené Malvolti, Gutturnio Doc 2010 Casabella, Alto Adige Doc Pinot Nero 2009 Erste & Neue, Moscato liquoroso di Pantelleria Doc 2008 Carlo Pellegrino. In tutto ho speso poco più di 22 euro e mi sono pure beccato i complimenti di amici e parenti che hanno apprezzato la scelta dei vini. Non solo. Furbescamente sono riuscito a risparmiare il Pinot Nero, mio preferito, per un'altra occasione di minor condivisione.
Servito molto freddo, a non oltre 7°, gli aromi fruttati e erbacei del Brut di Concilio sono come una salda stretta di mano che invita a sedersi e cominciare a stuzzicare i primi bocconi degli antipasti, per poi continuare con la fresca morbidezza dell'Extra Dry di Carpené Malvolti, eccellente esempio di Prosecco a tutto pasto che mette d'accordo tutti i palati, da quelli più raffinati a quelli abituati alla gassosa. Sul Gutturnio vale il parere del mio vecchio zio, che da una vita si fa spedire i vini da un produttore dell'Oltrepo, che ha dichiarato "questo sembra quasi più buono di quello che prendo io!". Saltiamo, come anticipato, il Pinot Nero e passiamo al vino da dessert. Ecco, qui il palato allenato sorride apprezzando il gusto ruffiano del moscato liquoroso di Pellegrino, molto simile al vero e proprio Passito di Pantelleria sebbene meno alcolico e meno ricco di aromi e gusto. Resta comunque un ottimo vino dolce, perfetto per valorizzare il sapore della pastiera napoletana e per ripulirci la bocca dal velo della ricotta richiamando il gusto della frutta candita e del fior d'arancio.
Diamo un'occhiata allo scontrino: quattro ottimi vini stappati, 16 euro spesi. Mica male, no?
Sapendo che eravamo una decina dei quali solo 3-4 discreti bevitori e che il menu pasquale avrebbe previsto antipasti, torte salate alle verdure, lasagne alle verdure e lasagne di carne, arrosto di vitello, agnello al forno con patate, colomba artigianale e pastiera napoletana, ho scelto cinque etichette:
Muller Thurgau Spumante Brut "Lilium" Concilio, Conegliano e Valdobbiadene Docg Prosecco Extra Dry Carpené Malvolti, Gutturnio Doc 2010 Casabella, Alto Adige Doc Pinot Nero 2009 Erste & Neue, Moscato liquoroso di Pantelleria Doc 2008 Carlo Pellegrino. In tutto ho speso poco più di 22 euro e mi sono pure beccato i complimenti di amici e parenti che hanno apprezzato la scelta dei vini. Non solo. Furbescamente sono riuscito a risparmiare il Pinot Nero, mio preferito, per un'altra occasione di minor condivisione.
Servito molto freddo, a non oltre 7°, gli aromi fruttati e erbacei del Brut di Concilio sono come una salda stretta di mano che invita a sedersi e cominciare a stuzzicare i primi bocconi degli antipasti, per poi continuare con la fresca morbidezza dell'Extra Dry di Carpené Malvolti, eccellente esempio di Prosecco a tutto pasto che mette d'accordo tutti i palati, da quelli più raffinati a quelli abituati alla gassosa. Sul Gutturnio vale il parere del mio vecchio zio, che da una vita si fa spedire i vini da un produttore dell'Oltrepo, che ha dichiarato "questo sembra quasi più buono di quello che prendo io!". Saltiamo, come anticipato, il Pinot Nero e passiamo al vino da dessert. Ecco, qui il palato allenato sorride apprezzando il gusto ruffiano del moscato liquoroso di Pellegrino, molto simile al vero e proprio Passito di Pantelleria sebbene meno alcolico e meno ricco di aromi e gusto. Resta comunque un ottimo vino dolce, perfetto per valorizzare il sapore della pastiera napoletana e per ripulirci la bocca dal velo della ricotta richiamando il gusto della frutta candita e del fior d'arancio.
Diamo un'occhiata allo scontrino: quattro ottimi vini stappati, 16 euro spesi. Mica male, no?
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lunedì 11 aprile 2011
Un tempio del viandante in Val Masino
Resistono, più ci si allontana dalle città e dalle grandi arterie di comunicazione, quei piccoli templi del gusto dove da diverse generazioni si celebra la squisita tradizione della cucina casereccia. Quella delle massaie, che passano le giornate tra l'orto, la cucina e un amorevole scapaccione ai figli destinati ad ereditare la tradizione di famiglia. Un lascito impegnativo di cui bisogna essere quanto mai orgogliosi di questi tempi in cui imbranate conduttrici televisive vendono milioni di copie dei loro best-seller di ricette quotidiane spacciando i mondeghili per misteriose prelibatezze preistoriche.
Quando si ha la fortuna di capitare in uno di questi santuari del gusto è consigliabile rimandare qualsiasi impellenza "a dopo", mettere le gambe sotto alla tavola e lasciarsi guidare dal menu del giorno in un viaggio della memoria alla riscoperta dei sapori genuini che resistono ancora oggi lontano dalle città.
La gloriosa e orgogliosa Valtellina è una zona ricchissima di questi posti, arroccati qua e là dal versante assolato dei vini a quello quasi perennemente in ombra, oscurato dai ripidi contrafforti delle Orobie il cui primo bastione è il Legnone, all'imbocco della valle. Ricco di fattorie e allevamenti ma povero dal punto di vista vinicolo e frutticolo, il tratto basso della Valtellina che da Delebio porta ad Ardenno coincide con la Costiera dei Cech, ovvero con quella linea di paesini antichi a mezza costa del versante baciato da un sole che in virtù dell'inclinazione riesce a far cuocere i muretti a secco anche in pieno inverno. Cino, Siro, Cercino, Mello, Poira, Civo, Caspano (sui cui muri delle case secolari si leggono ancora scritte sbiadite come W Badoglio W il Re). L'ultimo, all'imbocco della perpendicolare Val Masino, prima di scendere ad Ardenno, è Cevo.
Qui, a pochi metri dalla strada protetta da una rete paramassi e dalla confluenza di due vorticosi torrenti, c'è L'albergo ristorante Ponte del Baffo, gestito da più generazioni della stessa famiglia. E', insomma, quanto di meglio può offrire una locanda del viandante, in termini di qualità, accoglienza, ospitalità e genuinità della cucina. Ai fornelli smanettano due arzille signore che hanno superato di slancio le ottanta primavere a forza di pizzoccheri, sciatt, bitto, casera e verdure dell'orto, e che non sanno nemmeno che cosa significhi la parola "colesterolo". Però la titolare, la signora Angela, ammette di mangiare tante noci, che pare aiutino a smaltire i grassi saturi. In sala la nipote si prodiga nella spiegazione dei piatti e della loro tradizione. Fatta di cucina di terra, e quindi salumi, formaggi, grano saraceno, manzo, cervo, funghi porcini, con la meravigliosa eccezione nel pescato che tutte le mattine arriva guizzando direttamente nelle reticelle dei pescatori locali: le eccellenti trote del fiume Masino, cucinate in tutte le salse.
Ecco il mio menu:
crespella al pomodoro e casera: voto 8.
sciatt più piccoli del formato usuale, per garantire la perfetta fusione del formaggio alleggerendo i tempi della frittura: voto 10.
trota in carpione: voto 9.
Vino sfuso di casa Nera, con la quale la locanda lavora da oltre sessant'anni: voto 7.
Prezzo: 24 euro acqua, caffé e grappa alle erbe locali inclusi.
Ideale per le coppie così come per le famiglie e le compagnie, prezzi a scalare sulla quantità dei convitati.
Quando si ha la fortuna di capitare in uno di questi santuari del gusto è consigliabile rimandare qualsiasi impellenza "a dopo", mettere le gambe sotto alla tavola e lasciarsi guidare dal menu del giorno in un viaggio della memoria alla riscoperta dei sapori genuini che resistono ancora oggi lontano dalle città.
La gloriosa e orgogliosa Valtellina è una zona ricchissima di questi posti, arroccati qua e là dal versante assolato dei vini a quello quasi perennemente in ombra, oscurato dai ripidi contrafforti delle Orobie il cui primo bastione è il Legnone, all'imbocco della valle. Ricco di fattorie e allevamenti ma povero dal punto di vista vinicolo e frutticolo, il tratto basso della Valtellina che da Delebio porta ad Ardenno coincide con la Costiera dei Cech, ovvero con quella linea di paesini antichi a mezza costa del versante baciato da un sole che in virtù dell'inclinazione riesce a far cuocere i muretti a secco anche in pieno inverno. Cino, Siro, Cercino, Mello, Poira, Civo, Caspano (sui cui muri delle case secolari si leggono ancora scritte sbiadite come W Badoglio W il Re). L'ultimo, all'imbocco della perpendicolare Val Masino, prima di scendere ad Ardenno, è Cevo.
Qui, a pochi metri dalla strada protetta da una rete paramassi e dalla confluenza di due vorticosi torrenti, c'è L'albergo ristorante Ponte del Baffo, gestito da più generazioni della stessa famiglia. E', insomma, quanto di meglio può offrire una locanda del viandante, in termini di qualità, accoglienza, ospitalità e genuinità della cucina. Ai fornelli smanettano due arzille signore che hanno superato di slancio le ottanta primavere a forza di pizzoccheri, sciatt, bitto, casera e verdure dell'orto, e che non sanno nemmeno che cosa significhi la parola "colesterolo". Però la titolare, la signora Angela, ammette di mangiare tante noci, che pare aiutino a smaltire i grassi saturi. In sala la nipote si prodiga nella spiegazione dei piatti e della loro tradizione. Fatta di cucina di terra, e quindi salumi, formaggi, grano saraceno, manzo, cervo, funghi porcini, con la meravigliosa eccezione nel pescato che tutte le mattine arriva guizzando direttamente nelle reticelle dei pescatori locali: le eccellenti trote del fiume Masino, cucinate in tutte le salse.
Ecco il mio menu:
crespella al pomodoro e casera: voto 8.
sciatt più piccoli del formato usuale, per garantire la perfetta fusione del formaggio alleggerendo i tempi della frittura: voto 10.
trota in carpione: voto 9.
Vino sfuso di casa Nera, con la quale la locanda lavora da oltre sessant'anni: voto 7.
Prezzo: 24 euro acqua, caffé e grappa alle erbe locali inclusi.
Ideale per le coppie così come per le famiglie e le compagnie, prezzi a scalare sulla quantità dei convitati.
venerdì 1 aprile 2011
Primavera tempo di banchetti
Ai primi di marzo sono stato invitato a un matrimonio con tanto di banchetto nuziale in un noto ristorante brianzolo specializzato in questo tipo di eventi. Sui tavoli c'erano due vini, un bianco e un rosso. Il rosso era un Dolcetto di Terre del Barolo davvero assai poco gradevole, tanto che tutti si sono lanciati su un Bianco di Custoza che, invece, si è subito presentato assai beverino e ci ha fatto compagnia per tutto il pranzo.
Custoza Doc "Elite" 2009 Az. Agr. Giarola
Giallo paglierino scarico, brillante e di media consistenza, per questo blend di uve bianche lavorate da questa azienda a due passi dalla sponda veronese del Garda: garganega con l'aggiunta di tocai, cortese, trebbiano toscano.
Al naso ha una discreta complessità aromatica, è floreale e agrumato, con una nota sapida che torna con evidenza in bocca, accompagnata da un'ottima freschezza. Un vino semplice, elegante e piacevole, troppo debole per elevare un normale pasto a qualcosa di indimenticabile, ma anche sufficientemente ben fatto da rendere gradite tutte le portate degli irrinunciabili banchetti da grandi eventi. E' il classico bianco che, dopo averne svuotate diverse bottiglie, suscita nei convitati le classiche espressioni del tipo "però, mica male 'sto vinello!".
Custoza Doc "Elite" 2009 Az. Agr. Giarola
Giallo paglierino scarico, brillante e di media consistenza, per questo blend di uve bianche lavorate da questa azienda a due passi dalla sponda veronese del Garda: garganega con l'aggiunta di tocai, cortese, trebbiano toscano.
Al naso ha una discreta complessità aromatica, è floreale e agrumato, con una nota sapida che torna con evidenza in bocca, accompagnata da un'ottima freschezza. Un vino semplice, elegante e piacevole, troppo debole per elevare un normale pasto a qualcosa di indimenticabile, ma anche sufficientemente ben fatto da rendere gradite tutte le portate degli irrinunciabili banchetti da grandi eventi. E' il classico bianco che, dopo averne svuotate diverse bottiglie, suscita nei convitati le classiche espressioni del tipo "però, mica male 'sto vinello!".
lunedì 28 marzo 2011
Una belga ambrata alla liquerizia
Rapida escursione nel mondo delle birre, che in quanto a sfumature e varietà è assai più complesso anche di quello del vino, per via anche della possibilità di aromatizzare il prodotto 'base' con gli aromi più disparati. L'altra sera ho stappato una delle birre belghe che un mio amico che lavora in un pub mi aveva regalato per Natale. Prodotta a Wevelgem dal birrificio artigianale Brouwerij De Ranke, è un'ambrata importante - 7% alcol - che nasce da una tripla fermentazione e con un complesso sapore dolceamaro. Amaro che è dato dal luppolo ma anche dalla liquirizia usata per arricchire il bouquet aromatico di questa birra.
In bocca spiccano note di scorza d'arancia candita, chinotto, miele di castagno, castagnaccio e appunto, della liquerizia che dà una coerenza amarognola a un gusto elegante che dura in persistenza e che non stanca per via della buona freschezza. La bottiglia da 33 cl si trova a circa 3,50 €.
In bocca spiccano note di scorza d'arancia candita, chinotto, miele di castagno, castagnaccio e appunto, della liquerizia che dà una coerenza amarognola a un gusto elegante che dura in persistenza e che non stanca per via della buona freschezza. La bottiglia da 33 cl si trova a circa 3,50 €.
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