venerdì 21 marzo 2014

Epifanie primaverili a Castel Grumello

Ci sono dei momenti in cui si è talmente assorti nelle proprie faccende lavorative che si finisce per perdere il contatto con la realtà. Ma basta poco, anche solo una gocciolina d'acqua caduta da un pergolato apparentemente rinsecchito, per smontare in un millisecondo il castello di carte sopra cui siamo saliti e  riportarci con i piedi per terra a ricordarci chi siamo e da dove veniamo.
Peccato che queste joyciane epifanie capitino di rado. Ebbene, una mi è piovuta nel piatto qualche giorno fa, durante un assolato pranzo di lavoro a Sondrio, in verità un duecento metri sopra il capoluogo valtellinese, precisamente sotto un berceau del ristoro sospeso tra le vigne di Nino Negri e il panoramico Castel Grumello, di proprietà del FAI.
A maniche di camicia rimboccate sotto un sole già cocente a metà marzo, si parlava di mutui, di politica e società con due pezzi grossi della Banca popolare di Sondrio, quando una gocciolina è caduta sul telefonino appoggiato sulla tavola. Poi un'altra sul coltello e un'altra ancora sulla testa. Preoccupato dello scherzo di qualche passero in volo radente sopra la torre diroccata del castello, alzo lo sguardo strizzando gli occhi al sole e mi accorgo che, invece, sono protagonista del fenomeno più commovente per un viticoltore: il pianto della vite.
La linfa che dalle radici ricomincia a pulsare nella pianta finisce per trovare sfogo nei tagli delle potature più recenti. E' la più preziosa testimonianza dell'eterna rinascita della natura, che fa da contrasto con un corpo ancora secco e apparentemente privo di vita.

Per brindare a un simile evento in compagnia dei tradizionali kiscioeul, le frittelline di grano saraceno ripiene di Casera (varianti locali degli sciatt del fondovalle), e di una tagliata di manzo da tagliarsi con lo sguardo, abbiamo scelto il vino più territoriale possibile, perché proveniente dai vigneti terrazzati poco sotto di noi, sulla collina rocciosa del Sassorosso.

Valtellina Superiore Docg "Sassorosso" 2009 A.Pelizzatti
Da uve chiavennasca, locale varietà del nebbiolo, questa etichetta entrata a far parte negli anni Ottanta della grande famiglia vinicola di Nino Negri e del GIV, è un grandioso rappresentante del "cru" del Grumello, uno dei 5 supervaltellinesi insieme al Sassella, all'Inferno, al Maroggia e al Valgella. Colore rosso granato scarico, ha profumo etereo di piccoli frutti rossi e di viole appassite, accompagnati da un coro di note speziate dolciamare di cannella, tabacco e cacao. In bocca è caldo e armonioso, asciutto e di ottima acidità, sapido e con una persistenza che, sorso dopo sorso, tiene il ritmo delle goccioline che seguitano a cadere, rare e leggere, sulla tavola.
Un vino territoriale buono e commovente, da non lasciarne sul fondo della bottiglia nemmeno una lacrima.
Voto: 88.

venerdì 3 gennaio 2014

Una punzecchiatura per Bastianich

Star della ristorazione mondiale, produttore di vini, superstar della trasmissione Masterchef e musicista rock nei - pochi - ritagli di tempo. Non li avevo ancora provati, i vini di Joe Bastianich, eclettico 45enne italoamericano con la passione per la buona tavola, i cani e la musica rock. Dopo averlo sfiorato nell'estate del 2010 quando per mie vicissitudini personali ho dovuto declinare la proposta di andare ad intervistarlo a Milano in occasione dei primi ciak della serie d'esordio di Masterchef Italia, dopo averlo sbeffeggiato, 3 giugno 2013, da una transenna di San Siro dove il buon Joe si era infilato di sfroso per assistere cocktail in mano al concerto di Springsteen prima di essere allontanato dalla security ("Joe, che dilusione!"), finalmente ci siamo incontrati.
Enologicamente, intendo.

Venezia Giulia Igt "Vespa Rosso" 2010, Bastianich Winery
Questo bel rosso "da arrosti" nasce da un mélange di uve merlot, refosco, cabernet sauvignon e cabernet franc, coltivate nei vigneti di Buttrio e Premariacco, sui Colli Orientali del Friuli una ventina di km a est da Udine. In tutto l'azienda Bastianich, fondata nel 1997, è costituita da 35 ettari di vigneto. I vigneti del Vespa Rosso beneficiano del calore proveniente dal mare e si trovano in un territorio ideale per la produzione di vini corposi e strutturati. Ecco l'annata 2010, gustata in queste festività per accompagnare un'anatra all'arancia.
Colore rosso rubino scuro, limpido e consistente, al naso rivela una buona complessità olfattiva di discreta finezza. Frutti rossi maturi e sottobosco, spezie e una pennellata erbacea tipica delle uve e del territorio, conditi da un sentore di legno dolce. Sensazioni che tornano in bocca in una struttura calda e morbida, di discreta acidità e persistenza. Pregevoli le note fruttate e speziate, personalmente odio la percezione decisa del legno d'affinamento, non perfettamente integrata nel vino. L'invecchiamento nei tonneaux e il successivo passaggio in barriques si fa un po' troppo sentire. L'impressione finale è quella di un buon prodotto fatto anche bene ma ancora incapace di emozionare. Un vino ambizioso le cui vere radici, forse, non sono nel Friuli degli avi di Bastianich ma in quel gusto americano un po' omologato che non rende piena giustizia a un terroir straordinario. Con un prezzo, 30 euro cca in enoteca, altrettanto poco italiano e molto da turista born in the Usa.
Voto: 82.

giovedì 26 dicembre 2013

Un Moscato di montagna

 Le feste di fine anno sono un momento unico per assaggiare vini e stappare bottiglie che amici, parenti e anche noi stessi abbiamo "tenuto da parte" in attesa della proverbiale "occasione giusta". Bottiglie che abbiamo in cantina da anni, così come, più semplicemente, souvenirs di recenti vacanze.
Come il Moscato secco di Chambave che mio cugino aveva preso in Val d'Aosta durante un soggiorno estivo a Courmayeur. Destinato da mesi ad accompagnare i tradizionali antipasti di mare del pranzo di Natale: salmone, cappesante, scampi e cozze gratinate.

Vallée d'Aoste Doc Chambave Muscat 2012 "La crotta di vegneron"
Le uve di Moscato Bianco, utili alla vinificazione del Vallée d’Aoste Chambave Muscat DOC, raggiungono la giusta maturazione nei vigneti dislocati sulle colline di Chambave, Pontey, Verrayes, Saint-Denis, Châtillon e Saint-Vincent. Qui, a 30 km dal fondovalle e dal confine con il Piemonte, la cantina cooperativa "La crotta di vegneron" raccoglie le uve dei 120 soci produttori e le vinifica declinandole in 15 vini della macro Doc Valle d'Aosta, dal Petit Rouge al Fumin, fino, appunto, al Muscat de Chambave.
Colore giallo paglierino brillante con riflessi dorati e di bella consistenza, al naso svela un ventaglio di profumi di fiori gialli, pesca e frutta tropicale, da cui emerge nitido l'aroma del litchi a coprire le note di erbe aromatiche che ci aspetteremmo più evidenti da un moscato. Sensazioni che si ripresentano in bocca in un corpo caldo, fruttato, morbido e di ottima acidità, con una decisa vena amarognola finale ricorrente nei vini da uve aromatiche. Un Moscato, per chi non conosce la tipologia, senza dubbio "spiazzante", tanto che si potrebbe facilmente confondere con un Gewurztraminer altoatesino. Infatti l'ho apprezzato decisamente di più con la fontina di fine pasto piuttosto che con le entrée di pesce, eccezion fatta per gli scampi. Per queste molto meglio lo Spumante Fripon Extra Dry, altro souvenir altoatesino da uve prié blanc e muller thurgau, le più alte d'Europa perché coltivate vis-à-vis con il ghiacciaio del Monte Bianco.
Voto: 80.

lunedì 18 novembre 2013

Connubio Sirmione - squacquerone

Metti l'ennesima domenica grigia, di pioggerella e temperatura mite. Metti la voglia di consolarsi in tavola con un buon piatto di mezze maniche con squacquerone, prosciutto crudo e rucola. Cosa manca? Un bel bianco, ed ecco allora spuntare dalla cantina uno dei Lugana presi a fine agosto all'Enoteca della Civielle, a Moniga del Garda. Il Ca'Lojera 2012 prodotto a Sirmione dalla famiglia Tiraboschi, proprietaria, appunto, dei 18 ettari della celebre azienda "Casa dei lupi".

Lugana Doc "Ca'Lojera" 2012
Intanto già l'etichetta è assai invitante perché rimanda a uno stile rustico e tradizionale che vuole prendere subito le distanze da qualsiasi idea di "prodotto industriale di massa". 120mila bottiglie suddivise in 9 etichette dal Lugana base fino al Merlot Monte della Guardia passando per un rosato e due spumanti non sono molte, e permettono all'azienda di mantenere sempre le radici ben piantate nella propria tradizione senza rischiare di fare il passo più lungo della gamba.
Il colore è giallo paglierino brillante e i profumi rimandano subito al sole e alle limoniere del Garda, con quell'aroma di agrumi freschi, melone bianco, biancospino ed erbe mediterranee, meravigliosamente intessuto su una pregevole linea minerale. Sensazioni che tornano alla bocca sostenute da una viva vena fresca che lascia in bocca una gradevolissima nota finale di scorzetta di limone.
Un vino di buon corpo, rotondo e generoso, che appaga l'assaggio senza lasciare spazio a indugi di sorta.

Abbinamento peraltro azzeccatissimo perché i 13 gradi del vino si stemperano nell'acquosità dello squacquerone, mentre l'acidità e l'aromaticità spingono a tutta la delicatezza e i profumi del piatto. Ottimo anche, a seguire, in compagnia di un pollo masala, nonostante per la decisa speziatura di questo piatto sarebbe stato ancora meglio la versione Superiore del Ca' Lojera, quella affinata in barrique. Solo acciaio invece per il base.
Voto: 86.

giovedì 31 ottobre 2013

Il muschiatello della Loira

Ricordo con quanta enfasi e passione Guido Invernizzi, medico, sommelier e docente Ais, decantava le virtù di uve e vini "minori", dalla forastera di Ischia, al Gragnano di Sorrento fino al Muscadet della Loira. Buona la prima, imprescindibile il secondo, specie se di aziende come Grotta del Sole. E il "muschiatello" francese?
Trovato qualche giorno fa al supermercato a circa 9 euro e acchiappato al volo per fare compagnia a un pranzo a base di cozze.

Muscadet Sèvre et Maine AOC Ackerman 2011
I mitili, del resto, sono il naturale accostamento gastronomico di questo bianco tipico dell'ultimo tratto "atlantico" della Loira, il cui estuario va a gettarsi nell'oceano nei pressi di Saint-Nazaire, pochi km dopo aver attraversato Nantes. Prodotto con uve del vitigno a bacca bianca "melon de Bourgogne", forse "fuggito" dalla nobile Borgogna per trovare apprezzamento sulle tavole dei marinai, è un vino bianco leggero e molto, molto citrino, con vaghi sentori di muschio (da qui il nome), tanto che si presta alla grande per accompagnare alcune delle specialità dell'Atlantico, come crostacei, ostriche e saint-jacques, le "cappesante".
La spiccata acidità del vino e la sua discreta sapidità, infatti, ben si prestano ad esaltare il sapore delicato di queste prelibatezze a tendenza dolce e grassa, tanto che potremmo definirlo uno dei meglio riusciti abbinamenti territoriali per contrapposizione.
Io l'ho provato con un piatto di cozze in una preparazione troppo saporita per via dell'aggiunta di sale e peperoncino. Non male ma decisamente molto meno azzeccato dell'uso atlantico, più naturale e meno condito. Ad ogni modo un vino senz'altro curioso che però è assai difficile da apprezzare in un contesto geografico estraneo al suo.
Voto: 74.



martedì 15 ottobre 2013

Ageno, l'inganno è servito

In due anni di vita pavese non posso dire di aver conosciuto la metà dei ristoratori del centro storico e dintorni ma un'idea piuttosto precisa me la sono fatta: per mangiare bene a un prezzo onesto bisogna fuggire dalla città. Preso atto della tendenza cafon-fighetta di Pavia e dei suoi costi, mi sono finalmente deciso ad andare a passare una serata all'Infernot, un'enoteca della centralissima via Mascheroni, dietro il tribunale, di cui avevo sentito parlare bene da persone però poco attendibili.
Un po' "milanese" da fuori, molto graziosa e paradossalmente "sobria" all'interno. Accogliente e cordiale Manlio Manganaro, il riccioluto oste e titolare, sommelier Ais preparatissimo nella presentazione del menu e nella spiegazione dei vini, dei piatti e degli abbinamenti.
A far compagnia a un affettato di salumi misti, dal culatello alla mocetta valdostana fino al salame dei monti Nebrodi e a un crostone al lardo e miele, la mia compagna di bevute sceglie un profumatissimo Lacrima di Morro d'Alba, mentre io accetto la sfida del calice nero, un vino misterioso servito dietro al banco in un calice di cristallo nero come un cielo senza stelle. Convinto dell'assurdità della diceria che, privati della vista del colore, si possa  arrivare addirittura a confondere un bianco per un rosso e viceversa.
Io mai.

Emilia Igt "Ageno" 2008 La Stoppa
Touché. Colpito dai decisi aromi speziati e di pellame e affondato dal gusto tannico. Anche se, a mia discolpa, devo dire che quella freschezza marcata di agrumi come chinotto e bergamotto mi aveva mandato in tilt i sensi, tanto che, non fosse stata per la serietà del locale, avrei potuto sospettare un volgare mischione bianco + rosso.
Pace. Mi sono divertito. I piatti erano buoni, il prezzo nella media e la compagnia ottima. Però l'Ageno, che vino è? Un blend di uve bianche tra cui spicca la malvasia di Candia aromatica, che vengono lasciate a macerare per 30 giorni proprio per estrarre la massima concentrazione di aromi e di tannini, rinforzati ulteriormente dai sei mesi in barriques e dai due anni di affinamento in bottiglia, per poter dare vita a poco più che un vino "didattico", adatto a farsi gioco dei polli come il sottoscritto. Se volete giocare con gli amici - o, meglio, con i "nemici" - provatelo, costa circa 20 euro a bottiglia e all'Infernot viene servito a 6,50 il calice (nero). Voto: 74. Se volete bere qualcosa di buono, invece, scegliete altro. Questi ibridi lasciano un po' il tempo che trovano. A proposito, tra una cosa e l'altra non ho guardato bene la carta dei vini. Di conseguenza, ci rivediamo presto, caro Manlio.

mercoledì 9 ottobre 2013

Rosso e pesce, basta con i pregiudizi

Premesso che in tutto il mondo non è mai esistita la rigida divisione bianchi e rossi quando si parla di abbinamenti, in Italia, complici anche le scarne e scontatissime indicazioni in etichetta, il connubio rosso + pesce fatica ancora ad essere sdoganato. Il vino bianco, spesso frizzantino, è ancora il coniuge incontrastato di qualsivoglia piatto di pesce, mai fedifrago della tradizione.
In realtà, basta da una parte evitare preparazioni troppo acide, vedi marinature e condimenti "limonosi", e dall'altra vini rossi con struttura tannica evidente, e la relazione scandalosa è possibile. A un'altra condizione: la temperatura di servizio deve essere più bassa che per un rosso "da carne".
Vediamo un esempio.

Borgogna AOC Passtoutgrain Domaine Albert de Sousa 2012
Questo vino viene da Mersault ed è fatto con il gamay, l'uva rossa che in Borgogna è tenuta a margine del mare di pinot nero e che dà vita a vini beverini e fermi, diversamente da quanto avviene poco più a sud, tra Lione e Macon, dove viene usata per il mitico Beaujolais nouveaux, il vino "novello" per antonomasia.
Diversa la vinificazione e la fermentazione, molto simili le sensazioni di frutta fresca. Ribes su tutti, e lamponi e fragoline di bosco. Spiccata acidità, tenore alcolico moderato, di "soli" 12 gradi, e componente tannica non pervenuta, con un pregevole finale leggermente amarognolo per un mix di sensazioni che ricordano i rossi del Lago di Caldaro, quelli da schiava gentile che i tedeschi in vacanza nella bassa atesina bevono a litri in estate, in compagnia, guarda caso, delle preparazioni di pesce di lago.
Io l'ho provato con dei filetti di orata in padella con le erbette e verdure grigliate di contorno. Notevole.
Da servire tra i 12 e i 14° C.
Voto: 75