Ormai siamo agli sgoccioli con il corso 
Ais. A fine aprile mega-esamone generale e poi via, tutti a 'mbriacarsi in giro x il mondo. Un mondo di colori, carnagioni, lacrime amare e sorrisi brillantati, volti rugosi cotti dal sole, lifting e paillettes, unghie sporche di terra, cantine fantascientifiche e piccoli laboratori alchimistici. Un universo di colori, profumi e sapori che alle volte, alle latitudini più disparate, ci fa esclamare 
"Quant'è piccolo il mondo!". Da anni ormai il miglior 
Sauvignon non è più quello della Loira ma quello neozelandese, così come il 
Syrah australiano le suona tranquillamente a quelli dell'alta valle del Rodano e di tagli bordolesi capaci di stare al passo con un buon 
Bordeaux ne è pieno il Pianeta, da Bolgheri alla California. Così come in Cile possiamo bere una buona 
Bonarda e qualcuno, in altri continenti, comincia pure a cimentarsi con il mitico 
nebbiolo, il più grande vitigno italiano, fino a pochi anni fa escluso dagli interessi degli investitori esteri.
 Globalizzazione
Globalizzazione? Forse. Ma, se ci pensiamo bene, la tendenza globalizzatrice non ha sempre fatto parte della storia della civiltà? Da quando esistono i commerci le società si sono sempre scambiate prodotti di ogni genere, agricoli, manifatturieri e persino "merce umana". Il 
riso ce l'hanno portato mille anni fa gli Arabi assieme allo 
zafferano (--> az-za-faran), così come il 
pomodoro, il 
mais e la 
patata , i 
peperoni e le 
melanzane sono gentile omaggio degli indios d'America, il 
grano è originario della Cina, mentre gran parte della frutta così come ogni vitigno di 
vitis vinifera sativa, quella commestibile e adatta per fare il vino, proviene dall'Asia Minore. E questo solo per citare gli esempi più clamorosi di questo tipo di antica globalizzazione che ha salvato nel corso dei secoli miliardi di persone dalla 
carestia e dalla 
denutrizione. In tempi più recenti il commercio globale ha pure consentito a storiche economie locali non solo di sopravvivere, ma anche di trarre grandi profitti vendendo altrove prodotti di alta qualità che altrimenti sarebbero rimasti confinati in un anonimato ad uso e consumo della gente del posto. Penso alla 
Valtellina e alla sua Bresaola fatta interamente con manzi provenienti da Brasile e Argentina, così come il 
grano saraceno dei pizzoccheri e degli 
sciatt viene oggi importato dalla Cina, peraltro sua vera terra d'origine.
La globalizzazione ha cominciato ad assumere una connotazione 
negativa con l'inarrestabile intensificazione dei traffici aerei e con l'imposizione sul mercato di poche 
cultivar geneticamente modificate e rinforzate chimicamente da parte delle 
multinazionali alimentari, chimiche e farmaceutiche. E' a quel punto che il millenario scambio di merci ed esperienze è deragliato su un campo minato, andando dietro alla perversa tirannide del mercato globale ma dimenticando le sacre 
leggi della Natura e dei suoi 
tempi. In nome di un mercato vorace e impaziente e delle sue spietate strategie di marketing, la nuova globalizzazione non porta più ricchezza ma impoverisce ciò che abbiamo di più prezioso: la 
VARIETA'. Inaridisce la 
biodiversità premiando pochissime specie vegetali e animali superresistenti e superproduttive, e allo stesso tempo devasta le economie locali asservite alla produzione di monocolture da destinare agli insaziabili mercati occidentali. 
A noi. La 
forma mentis di chi favorisce tutto ciò è la stessa di chi vorrebbe che ognuno parlasse la stessa lingua e predicasse la medesima religione, prendesse gli stessi medicinali e guardasse gli stessi programmi televisivi. 
In nome del profitto e del consenso, ci dimentichiamo che quello che ci ha salvato dall'estinzione è stata proprio la ricchezza e la 
varietà, di razza e di cultura, anche alimentare. La salvezza non può passare che da un rinnovato rispetto dei 
cicli stagionali e delle 
economie locali, cercando di portare in tavola sempre e comunque i prodotti del territorio provenienti da aziende di piccole o medie dimensioni. Quelle che non sono soggette alla tirannide delle multinazionali finanziarie. 
Slowfood lo dice da più di vent'anni e ha fondato pure una rete internazionale che si chiama 
Terramadre. Oggi finalmente pare che essere "
bio" e "
local" sia diventato trendy e il consumatore stia interessandosi anche a questa nuova moda, una volta tanto virtuosa. A dimostrazione di ciò vale la pena segnalare il fenomeno dei numerosi 
Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) che stanno sorgendo in tutta Italia.
Nicola Taffuri